Sorrisi sotto i baffi prussiani di Tito Sansa

Sorrisi sotto i baffi prussiani A BERLINO UNA MOSTRA SMITIZZA MOLTI «EROI», RENDENDOLI PIÙ' UMANI Sorrisi sotto i baffi prussiani Si intitola in francese «Le musée sentimental de Prusse» una delle quaranta esposizioni con le quali l'ex capitale tedesca celebra una pagina di storia rimasta tabù per trentanni - Una grande epoca attraverso le piccole cose: Bismarck rappresen tato da un barattolo di aringhe; una rosa in mano di Bertha Krupp; i levrieri di Federico il Grande e molte sorprese DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BERLINO — «Ma che Paese simpatico era questa Prussia» si pensa terminando la visita del Berlin Museum, che accoglie una delle quaranta esposizioni con cui l'ex capitale celebra in queste settimane (fino al 15 novembre) — con un 'orgia di mostre, conferenze, tavole rotonde, concerti, film — una pagina della propria storia rimasta tabù per oltre trent'anni. E bisogna aggiungere: «I prussiani erano anche spiritosi, pieni di "humour"». L'immagine che gli storici ci hanno dato della Prussia (uniformi, armi, battaglie) e dei suoi abi¬ tanti (obbedienti, disciplinati, laboriosi, efficienti, sparagnini, burberi) sembra quasi frutto di prevenzioni. E le proteste della stampa sovietica — Sovietskaja Rossija, Novosti e Pravda — che hanno definito il revival prussiano «parte di una campagna di riabilitazione del militarismo» appaiono esagerate e ingiustificate. Le Musée sentimental de Prusse è il titolo dato all'esposizione. E già il fatto che sia in lingua francese e non in tedesco suona allettante, simpatico, vi traspare l'intenzione (peraltro negata dagli autori) di presentare la Prus¬ sia e i suoi abitanti nei suoi aspetti umani, «dalla visuale del cane bassotto», demitizzarla, evidenziare una grande epoca con l'aiuto di piccole cose quotidiane e sovente ordinarie. «Storia da toccare con la mano» ha detto un critico, secondo il quale per capire un popolo vai più il vaso da notte di un Kaiser che la sua corona, più un'ordinanza contro gli schiamazzi notturni e contro l'impiego di manodopera straniera che l'originale di un trattato di pace. Meticolosamente ordinato alfabeticamente dalla «a» alla -zeta», il museo sentimentale è una sorta di specchio o n l a i o a i . e a deformante, di caricatura, e non vi è dubbio che gli autori di esso — lo svizzero-romeno Daniel Spoerri, maestro di danza e di cucina, plasmatore di oggetti e fondatore del Nouveau réalisme francese che fa da contrappunto alla pop art americana, e la sua collaboratrice Marie-Louise Plessen — si siano divertiti un mondo, nel mescolare cose banali e piene di significato, triviali e preziose. Senza riguardo per alcuno, hanno demitizzato molte figure eroiche, rendendole più umane. Bismarck, il «cancelliere di ferro», è rappresentato da un barattolo di aringhe, delle quali era ghiottissimo, per cui portano il suo nome (l'accostamento con la bistecca in Germania è sconosciuto), Stresemann dall'omonimo abito da cerimonia, Voltaire da bucce di arance secche, quelle che portò con sé quando fuggì da Berlino allorché seppe che Federico il Grande aveva detto di lui: «Si spreme l'arancia e poi si getta la buccia, quando si è inghiottito il suo succo». E i terribili Lange Kerle, i soldati prussiani, scelti alti più di due metri, che seminarono il terrore negli eserciti nemici, sono rappresentati dai Wuerstchen che portano il loro nome. Di Gaspare Spontini, perseguitato per anni quando lavorava alla corte di Prussia, non c'è invece traccia. Bertha Krupp, presente nel museo principale con la Dicke Bertha, il colossale cannone con il quale la Prussia si presentò (con dubbio gusto) all'esposizione universale di Parigi del 1867, spaventando i francesi già tre anni prima della guerra, è raffigurata con una rosa in mano. Di Federico il Grande si apprende che i suoi cani levrieri Biche e Alcmene dormivano nel suo letto e che quando la prima si ammalò il re chiamò da tutta Europa trenta dottori alla sua cuccia, e che essi viaggiavano in una carrozza» tirata da sei cavalli e che il lacchè addetto alle bestie — riferisce Eduard Vehse nella sua Storia della corte di Prussia — doveva dare del lei ai cani: «Biche, la prego di comportarsi bene» e «Alcmene. abbia la compiacenza di non abbaiare». E guai a mancare loro di rispetto. Grandi risparmiatori, i re di Prussia davano il buon esempio. Per la corrispondenza usavano più volte la medesima busta, ve n'è una del Kaiser Guglielmo al Reichskanzler Bismarck, passata più volte dall'uno all'altro. Ma per l'esercito non si risparmiava: su una popolazione di 2 milioni 200 mila abitanti la Prussia primordiale aveva oltre 250 mila soldati, che in tempo di pace venivano addetti ai lavori più umili, insieme con le vedove. Erano felici, come risulta da una lettera, dalla quale non si comprende se la loro felicità fosse dovuta al lavoro o all'assenza di guerre. Per mantenere questa enorme forza armata, naturalmente una gran fetta del bilancio dello Stato era riservata alla difesa: 5 milioni e mezzo di talleri su un totale di 7 milioni di entrate fiscali. Nel suo testamento il granduca Federico Guglielmo scrisse (e le sue parole potrebbero venire applicate ancora oggi): «Le alleanze sono una buona cosa, ma un proprio esercito è meglio, ci si può fidare». La tolleranza era grande in Prussia, vi insistono tutte le esposizioni di Berlino. Gli ebrei potevano costruire sinagoghe e commerciare, ma erano obbligati nelle «grandi occasioni» (nascite, matrimoni, morti) a comperare i prodotti delle Imperiali Manifatture Prussiane (a Moses Mendelssohn fu assegnata una scimmia di porcellana), gli ugonotti fuggiti dalla Francia furono accolti a braccia aperte, benché (come si legge in una lettera) contribuissero a «guastare i buoni costumi con il caffè, il tè, il cioccolato, i vini fini e i profumi e la leggerezza di spirito». Soltanto gli zingari erano sgraditi ai prussiani, ma i benevoli espositori del Musée sentimental non ce lo rivelano. Per apprenderlo bisogna andare in un'altra esposizione sulla Prussia, quella organizzata con scopi didattici nella Berlino comunista, sull'Unter den Linden, dall'altra parte del «muro». Se sorpresi a lavorare di frodo, gli zingari venivano mandati a morte, e i loro figli rinchiusi in campo di concentramento, evidentemente non un'invenzione nazista. «Suum cuique» (a ciascuno il suo) era scritto sulle porte dei Lager hitleriani. Anche questa non era una novità, era il motto con cui Federico I di Prussia fregiò lo stemma dell'ordine cavalleresco dell'Aquila Nera. Ma di queste mestizie recenti il mu- seo sentimentale non fa menzione. Preferisce, sotto il cartelle «igiene», rendere nota un'ordinanza con cui nel 1892 il capo della polizia obbligò le tipografie dei giornali di Colonia a fare un'analisi chimica degli inchiostri di stampa perché «è stato osservato che nelle latrine vengono usati giornali, i cui inchiostri velenosi provocano forti pruriti, nervosismo e zufolio negli orecchi». Uno degli editori, Neven Du Mont, scrisse: «Alla sua cortese richiesta numero 5611 mi permetto di replicare che non sono in grado di dare una risposta»- Delle lotte di classe, delle insurrezioni popolari del '48, delle repressioni, dei milioni di morti, del nazismo di stampo prussiano non c'è traccia alcuna. Ma da un museo che vuole essere «sentimentale» non lo si può pretendere. La Prussia di Spoerri e della Plessen è una Prussia di buontemponi, nella quale perfino Federico il Grande (benevolmente chiamato «vecchio Fritz») si concede alle spiritosaggini tuttora di attualità. Quando per esempio dice: «Chi vuole avere un assaggio di ciò che prova chi sta per venire impiccato, ha soltanto da bere un bicchiere di vino del Reno». Ma non precisa, il «vecchio Fritz», se il vino fosse troppo acido o (come ora) affatturato con lo zucchero. Una Prussia simpatica e umana, quella del Berlin Museum. Ma c'è tuttavia chi la trova troppo «parziale», troppo «di sinistra» e lamenta: «Questa città e questo Paese avrebbero assoluto bisogno di un nuovo generale Moltke e di un nuovo cancelliere Bismarck». «Esaltazione del militarismo, revanscismo nazionalista»; protesta la stampa comunista. Forse hanno torto tanto gli uni quanto gli altri, perché prendono questa Prussia sentimentale troppo sul serio. Non c'è né denigrazione né esaltazione, ma soltanto un tentativo di rendere gradevole un Paese che certo non lo era. Tito Sansa Berlino. Bismarck raffigurato in una cartolina diffusa alla sua morte (tra i materiali di «Le musée sentimental de Prusse»)