La disperazione di Ferreri ha incontrato Bukowsky di Stefano Reggiani

La disperazione di Ferreri ha incontrato Bukowsky VENEZIA CINEMA: fuori concorso «Storie di ordinaria follia» e il cinese «La terra selvaggia», in gara «Ti ricordi di Dolly Bell» La disperazione di Ferreri ha incontrato Bukowsky Ben Gazzara poeta ubriacone a Los Angeles insegue le donne e trova Ornella Muti con mania suicida - La storia di una donna contesa di Ling Zi e l'opera prima dello jugoslavo Kusturica sugli Anni 60 DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE VENEZIA — Porcaccione, ubriacone, parolacciaro, insidiatore di bambine, amatore instancabile, spregiatore dei facili miti («non sono uno che sì masturba sul sogno americano»), filosofo spicciolo del negativo negli intervalli di lucidità, poeta nel resto del tempo, intreccio di autore e di personaggio Charles Bukowsky, americano di nascita tedesca, è uno scrittore che ha avuto, dopo i cinquantanni, molto successo in Europa. Adesso lo chiamano santone, si tirano in ballo naturalmente Celine. Kerouac, Hemingway ed Henry Miller (che ci sembra il riferimento più pertinente). Insomma, c'è bisogno ogni tanto di uno che chiami per nome la palude puzzolente in cui viviamo, che si ubriachi (il vino è meglio della droga), che lanci poesie come proverbi della malattia collettiva, del casino inappellabile. Bukowsky può apparire a volta a volta simpatico, datato, inutile o detestabile, ma era giusto che un regista come Marco Ferreri nella sua ininterrotta e quasi ilare marcia sul litorale del caos e della disperazione lo incontrasse e lo catturasse. Da alcuni racconti bukowskiani Ferreri ha tratto il suo Storie di ordinaria follia che è arrivato alla mostra fuori concorso particolarmente atteso ed anche preceduto da dubbi e indiscrezioni per la difficoltà dell'impresa (le parolacce, le scene sessuali, le scene di sangue e di automutilazione). Interessatamente o no, da Ferreri molti si aspettano sempre lo scandalo; ma lui, il regista, vive ormai in una dimensione dove lo scandalo e l'attualità sono un solo malinconico impasto, dove le parolacce e i coiti non sono che il sospiro prima della rassegnazione. Non si può (e non si deve) neppure dire se Storie di ordinaria follia sia riuscito o no, Ferreri secerne ormai i suoi film come un umore personale, amaro e inalterabile, come la saliva del mostro prima del pasto che aborrisce e agogna. Ha già impostato il problema in L'ultima donna e Ciao maschio, adesso potrebbe raccontare le conseguenze all'infinito con una sorprendente vitalità negativa, non una sola «ordinaria follia», ma cento e mille. Tanto, la maestria dell'immagine, quell'asciuttezza e concisione degli episodi sono una qualità fissa, indistruttibile del regista. Ben Gazzara è il poeta ubriacone (sempre bere dalla bottiglia nel sacchetto di carta) che a Los Angeles insegue le sue occasioni, cioè le donne. Una volta trova una biondona che lo attira in casa e vuol essere presa con la forza (poi lo denuncia alla polizia), un'altra volta chiede a una grassona di farlo rientrare testa e tutto nel grembo materno (lei poverina ci prova, non conosce i paradossi dei poeti). L'incontro buono, anzi cattivo è con Ornella Muti che fa la battona ed ha la mania suici da e il gusto mutilatorio. Al bar s'infila uno spillone nella guancia e si trapassa da parte a parte. A letto dopo aver fatto l'amore con Gazzara nel modo affamato di chi cerca sicurezza si chiude con lo stesso spillone la vagina, cosi avrà finito anche di sperare negli uomini. Nel periodo in cui Gazzara sarà a New York (preso come un pollo nelle stie di una casa editrice in cerca di genii) la Muti si ucciderà. Come sono belle le spiagge della California e come sono terribili senza di lei, Gazzara sta ubriaco e istupidito davanti al mare, abbracciando ai fianchi una ragazzina. Per Ferreri il mare e le donne sembrano l'unico limite l'unica attenuante del caos. Anche se le donne vengono ritualmente vilipese e oltrag giate. Dopo il turpiloquio, dopo il sangue c'è questo delta di assurda serenità nella fol lia ordinaria (Ben Gazzara è la Muti, altri non potevano fare nelle mani di Ferreri). Al la sceneggiatura aveva parte cipato anche Sergio Amidei. Lo jugoslavo Emir Kusturica ha portato alla mostra un'opera prima, Ti ricordi di Dolly Bell, che era preceduta da molti, favorevoli commenti. Vorremmo aggiungere anche il nostro apprezzamento, pur trattenuti da qualche riserva: questa storia non nuova di una giovinezza che diventa maturità attraverso il dolore e l'amore chiedeva un supplemento di resa figurativa, di concitazione narrativa. Invece un'ombra d'impaccio diluisce la vicenda, forse colpa dell'epoca prescelta e del luogo. Siamo alla periferia di Sarajevo negli Anni Sessanta, il sedicenne Dino ascolta con i suoi amici le canzoni italiane («Con ventiquattromila baci») e guarda al circolo sociale Europa di notte, primo film del turbamento collettivo con la spogliarellista Dolly Bell. Il gran mondo diventa il piccolo mondo: una prostituta da amare si chiamerà Dolly Bell, si formerà un'orchestra per catturare i baci italiani. Dino coltiva in segreto lo studio dell'ipnosi e discute di politica con suo padre, vecchio materialista, convinto che «il comunismo si può raggiungere anche senza l'ipnosi». Un felice contorno di personaggi, piccola malavita, parenti rompiscatole, bulli timidi, delegati di partito, accompagna la maturazione del protagonista. Alla scomparsa del padre tutto sarà d'improvviso diverso e invecchiato: ti ricordi di Dolly Bell? Bisognerà che un distributore italiano comperi il film La terra selvaggia («Yuan ye») della regista Ling Zi, presentato dalla Cina fuori concorso. Non solo è la prima produzione cinese indipendente, non solo riprende un'opera del commediografo Cao Yu's sul «Medioevo» durato fino agli Anni Quaranta, non solo sembra uno straordinario impasto di stilizzazione e di melodramma occidentale, ma offre l'opportunità di discutere sulla condizione universale della donna (quando non sia libera). Una donna contesa tra una famiglia dispotica e un amante vendicatore s'illude di trovare nella fuga la libertà. Invece trionfa la violenza (ucciso il marito dall'amante poi suicida, ucciso il figlioletto dalla suocera cieca) non resta speranza. Dice una didascalia: tutto è cambiato con la rivoluzione, con la Repubblica popolare, ma bisogna sempre riflettere sui vizi che ci portiamo dietro, sui pericoli in agguato. La lotta delle donne prosegue, anche dopo il Medio Evo. Stefano Reggiani Ben Gazzara e Marco Ferreri al Lido di Venezia: animata conferenza stampa per il loro film