Il giocattolo dei ragazzi-registi di Lietta Tornabuoni

Il giocattolo dei ragazzi-registi DAGLI STATI UNITI A VENEZIA: CHE PUBBLICO CERCA IL CINEMA D'AVVENTURA Il giocattolo dei ragazzi-registi Alla Mostra «I predatori» di Spielberg e Lucas aggiungono nuovi scenari a un filone di successo - Americani e nazisti, durante la guerra, in gara per ritrovare la potenza biblica - Il film ha già incassato in Usa più di 31 milioni di dollari (circa 37 miliardi di lire) in tre mesi: un record - Una regressione della nostalgia verso le forme del divertimento infantile - L'intrigo continua DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE VENEZIA — Giungla. Piante fitte, grandi foglie succose d'un verde oscuro e madido. Vapori paludosi, liane, strìdere d'uccelli esotici, strilli di scimmie nervose. Fmscii serpentini. Allarme, inquietudine. La fila dei portatori indigeni si sbanda e rallenta, in preda a misterioso timore: «Vamos, vamos muchachos, mas rapido», li incita la guida, con la fronte lustra del sudore della paura. Scritta: «Sud America, 1934». Impavido, l'archeologo nordamericano, armato soltanto della sua fedele frusta, s'infila in un cunicolo, raggiunge una grotta: «Nessuno è mai uscito vivo di qui». Polvere dei secoli, tarantole di velluto nero maculate di rosso, una mummia che rovina e cade sul violatore della Storia strìngendolo nel suo abbraccio funesto, un silenzio che non dice nulla di buono («non c'è più pericolo», «è questo che mi spaventa»): e nell'ombra riluce vivida, finalmente, l'antica statuetta d'oro sempre cercata, tanto desiderata da tanti che sono morti per possederla... E' l'inizio de I predatori dell'arca perduta, film-evento a Venezia e dovunque. Dice il regista, Steven Spielberg, quello dello Squalo, di Incontri ravvicinati del terzo tipo, dello straordinario 1941: «Non un'esposizione di fatti e certo non è un documento storico. Vuol essere uno spettacolo eso lieo che ha lo scopo di emozionare, atterrire, colpire l'attenzione». Scopo raggiunto: in dieci settimane I predatori, primo nella lista dei film che han no avuto maggiori incassi, ha guadagnato negli Stati Uniti trentuno milioni e mezzo di dollari. Dice il produttore George Lucas, quello di Guerre stellari e de L'impero colpisce ancora «E' il primo film di serie B mi liardario», e si capisce che la Mostra del cinema di Venezia lo presenti stasera nella sua rassegna «Mezzogiorno/mezzanotte»: condensa tutti i fenomeni che caratterizzano il film-giocattolo americano contemporaneo, manierismo degli stereotipi, nostalgia indotta, processo di puerilizzazione della cultura popolare, antiumanesimo e profonda sincerità sentimentale e grande capacità professionale degli autori. Spielberg e Lucas raccontano d'aver ideato I predatori dell'arca perduta durante una vacanza alle Hawaii, immaginandolo come il primo film di una trilogia d'avventure esoticoarcheologiche. Primissima ispirazione, naturalmente, la Bibbia, dove (Esodo, 25,10 e seguenti) Dio ordina a Mose di costruire l'Arca dandogli tutte le indicazioni con una minuziosità da artigiano fiscale: «Farai dunque un'arca di legno di acacia: la sua lunghezza sarà di due cubiti e mezzo. La rivestirai d'oro puro, dentro e fuori, e farai sopra di essa una ghirlanda d'oro tutt'intorno. Fonderai per essa quattro anelli d'oro e li metterai ai suoi quattro piedi. Farai stanghe di legno d'acacia e le rivestirai d'oro. Farai passare le stanghe attraverso gli anelli ai lati dell'arca, per portare l'arca per mezzo di esse... Farai un coperchio d'oro puro: la sua lunghezza sarà di due cubiti e mezzo, la sua larghezza di un cubito e mezzo. Poi farai due cherubini d'oro lavorati al martello, alle due estremità del coperchio... E nell'arca metterai la testimonianza che ti darò». Ossia le Tavole della legge, sulla cui pietra il dito del Signore ha scritto i comandamenti: l'arca dell'Alleanza è nella Bibbia il simbolo del patto di Dio con il prediletto popolo di Israele. Nel film, è un talismano che nel 1936 Hitler vuole ad ogni costo possedere («un esercito che avesse l'Arca alla sua testa sarebbe invincibile»), che ordina ai suoi archeologhi nazisti di trovare e portargli; i servizi segreti americani danno così l'incarico di contendergliela a Indiana Jones detto Indy, avventuroso professore d'archeologia d'un pie colo college del New England. Come archeologo buono, Spielberg e Lucas hanno scelto Harrison Ford, già interprete di senah tv fortunati quali Ironside o Gunsmoke e del personaggio di Han Solo nella saga delle Guerre stellari, perché «è laconico, ma in certo modo un tipo affabile», perché ha una rassicurante medietà televisiva: del resto anche altri attori, la ragazza dell'eroe Karen Alien, il fedele amico arabo dell'eroe John Rhys-Davies, arrivano da successi tv portando con sé l'innocuità e familiarità televisiva. Il film è stato girato a La Rochelle in Francia, negli studi cinematografici di Londra, nel deserto di Tunisia, alle Hawaii, ed è inutile dar retta all'epopea di miliardi spesi, pitoni cobra e boa impiegati (seimila, vivi), tarantole scritturate (cinquanta, col loro istruttore), vecchi sottomarini tedeschi della seconda guerra mondiale recuperati, pericoli e difficoltà affrontati durante la produzione: come Coppola e Cimino, come De Palma o anche Fassbinder, come tutti i cineasti rampanti della generazione che costituisce un'alternativa non povera a Hollywood, Lucas e Spielberg hanno quel talento megalomane per la pubblicità consistente nel raccontare bugie enormi. Spielberg, in più, racchiude un mistero, per gli studiosi europei che hanno sempre definito quello americano spettacolare un «cinema di produzione» contrapposto al «cinema d'autore»: Spielberg, ingegnere di grandi macchinespettacolo, è sicuramente anche un autore. Un re del manierismo, di quella narrazione combinatoria che usa scene, personaggi, immagini, stereotipi, battute di vecchi film o di vecchi fumetti non come citazioni, ma come un ovvio patrimonio dell'ini- maginario collettivo, analogo a personaggi o situazioni delle favole. Nei Predatori c'è infatti tutto: la carta geografica su cui una mobile riga traccia l'itinerario del viaggio, le ombre d'uomini col feltro in testa che si proiettano sul muro, la spia araba con un occhio solo e la scimmietta sulla spalla, la ragazza che si nasconde dentro un gran cesto di paglia nel mercato orientale, gli ammonimenti iettatori («questo è un luogo che l'uomo non può permettersi di profanare: la morte ne è sempre seguita»), le folate d'un vento misterioso che spegne le torce o fa oscillare-tintinnare i lampadari, gli ufficiali nazisti feroci che ascoltano il grammofono suonare Wagner nel deserto, le mummie, la rocca isolata in mezzo al mare che nasconde all'interno una sonante officina bellica, l'eroe travestito da arabo col barracano, il nazista sadico vestito di pelle nera, la coppia prigioniera legata al palo schiena contro schiena. Magari, con qualche aggiornamento di linguaggio disinvolto: «Volete acqua? Non c'è problema». Un film-catalogo ispirato, spiegano gli autori, «alla serie a puntate, cose brevi, mezz'ora, che negli Anni Trenta venivano presentate il sabato pomeriggio nei cinema americani a completamento del programma», ma anche a fumetti, romanzi e film d'avventure dell'epoca. Nei Trenta Lucas e Spielberg, oggi trentenni, non erano nati: ma la Nostalgia non è più quella d'un tempo. Nel costante saccheggio del passato, rimescolamento del tempo e appiattimento della Storia caratteristico dei mass-media, si può benissimo provare nostalgia per cose mai vissute o godute direttamente, ma soltanto viste: alla tv, al cinema, sui giornali. Una Nostalgia di carta, di pellicola, di nastro magnetico è forte quanto la nostalgia del- l'esperienza, si sostituisce ad essa. O con essa convive, in una cultura popolare americana, valida anche per le colonie culturali, che sembra sempre più puerilizzata. Racconta Enzo Ungari, direttore della rassegna «Mezzogiorno/mezzanotte»: «L'anno scorso, insieme con Lizzani, siamo andati a trovare George Lucas in California. Nel suo studio, a un certo punto, ci ha mostrato una serie di scomparti: come in un sacrario, ciascuno conteneva la statuata d'un diverso personaggio di Walt Disney. L'incontro tra Lucas e Spielberg per I predatori dell'arca perduta avviene in nome del comune amore per il cartone animato: inteso non come tecnica, ma come mondo irreale. Lucas fa un cinema di macchine, un cinema tecnologico di robot e navi spaziali. Spielberg ha confidato di odiare il rapporto con gli attori: che vuol dire il rapporto con gli altri, con la realtà. I loro film sono puritani, il protagonista dell'fusa, paragonato al modello del maschio cinematografico, è un Topolino-Gordon totalmente asessuato: siamo nella dimensione perversa e polimorfa, ma non sensuale, dell'infanzia. Anche ad altri livelli il cinema americano contemporaneo è supersemplificato: se si pensa che negli Anni Venti l'equivalente di Coppola era Stroheim, si capisce che pure Apocalypse now è un film per bambini». E da dove viene, secondo lui, questo cinema fiabesco del gigantismo innocente? «Dalla televisione. I registi americani di questo gruppo e di questa generazione sono stati nutriti e allevati dalla tv, però vogliono essere diversi dalla tv e fanno di tutto per non somigliarle: un classico conflitto figlio-padre». Ma Lucas di Guerre stellari, produttore dell'Arca perduta, ha un vantaggio, dice Enzo Ungari: «Infantile e antiumanistico che sia, il suo inconscio coincide con le aspettative del mercato contemporaneo». Lucas e Spielberg riuniti hanno un altro vantaggio, decisivo: «Ci credono. E i veri grandi successi cinematografici popolari non si basano sul miliardo, ma su una passione autentica, un sentimento profondo. Non tutti ce l'hanno. Loro, sì». Lietta Tornabuoni (Servisi sulla Mostra del Cinema a pagina 17).