Discorso sul risveglio di Luigi Firpo

Discorso sul risveglio f Cattivi Pensieri Ai Luigi Firpo Discorso sul risveglio Uno dei lussi delle vacanze, per chi non le trasforma in un prolungamento esasperato della nostra quotidiana frenesia, è quello di vivere senza obblighi né scadenze, ritrovando i ritmi dimenticati della nostra primitiva indolenza. Soprattutto il risveglio mattutino può essere goduto come una prelibata delizia, sol che abbiamo avuto la saggezza di accucciarci in un angolino al riparo da radio e motorette, ricuperando la divina maestà del silenzio. Senza cartellini da timbra, compiti da adempiere, appuntamenti da non mancare, possiamo finalmente entrare in un tempo diverso, pacioso, disteso, che rifiuta la brutalità rozza, la violenza meccanica della sveglia. L'idea che si possa passare d'un sol tratto, in un istante, in virtù del trillare d'un campanello, dalle profondità abissali del sonno alla veglia lucida ed efficiente, appartiene alla concezione dell'uomo-automa, semplice meccanismo a comando in cui si possa aprire o chiudere l'interruttore di corrente, premere un tasto, attivare un circuito. In realtà, il sonno è cosi diverso dalla vita, che da essa non lo separa una soglia sottile, un diaframma, ma un dedalo tortuoso, un lungo itinerario elusivo, ambiguo, pieno di diverticoli, soste confuse e inopinati regressi come un labirinto. Non si può passare da uno stato di assenza tanto vicina alla morte, da una dimenticanza totale della realtà che ci ripiomba negli antri più oscuri dell'inconscio, alla consapevolezza del concreto e dell'istantaneo con una scossa più traumatica di un elcitrochoc cosi come non si passa dalla notte al giorno con l'accensione improvvisa di una luminaria, ma attraverso il lievitare morbido e lentissimo di una luce dapprima appena percepibile come pallore sul blu-notte del cielo, poi come chiarore timido che cresce e si colora di bianco e di vermiglio Tino al primo spuntare del disco solare, che disegna ombre radenti, nere ancora sul grìgio della terra addormentata, avvolta ancora in leggerissimi velari di sonno e di nebbia. Chi può svegliarsi come Iddio comanda, con un tempo illimitato a disposizione, sappia di essere un privilegiato, ammesso a godere d'una gratuita squisitezza. L'importante è rispettare alcune regole precise, perché si tratta di un Nirvana delicato e fragile, che un niente basta a dissipare. La prima è quella di imparare a respingere ogni rimorso: l'angoscia del tempo che scorre, il pensiero delle cose che si dovrebbero o potrebbero fare, i residui di un'educazione ispirata dalla lucerna ad olio, che cercò di istillarci nell'animo proverbi come «Il mattino ha l'oro in bocca», credenze che solo il porco dorma vergognosamente per otto ore, favole scientifiche come quella dell'aria mattutina che purifica e fortifica, mentre la sua più accentuata umidità favorisce soltanto i reumatismi. La seconda regola é quella di evitare ogni movimento, perché l'invio di impulsi nervosi alle fasce muscolari attiva pericolosamente il risveglio, suscita messaggi di ritorno (un lieve attrito, una grinza del pigiama, una zona più fresca del lenzuolo) e mette cosi in moto una catastrofica presa di coscienza. Tutt'al più può essere tollerato, ma solo nella primissima fase di questo riaffiorare alla vita, il riassetto — ma che sia lento, mi raccomando e meglio se accompagnato da un lieve sospiro — di una giuntura un po' sforzata, di una posizione scomoda provocata da un ravvoltolarsi involontario nel sonno. Poi l'immobilità è di regola e anche il respiro é bene che rimanga rado e tranquillo, quel tanto che basta ad alimentare un fuocherello di vita: guai ad aspirare a pieni polmoni, perché l'ossigenazione riattiva, scatena, dissipa tutto l'incanto. Terzo e ultimo precetto, il più importante di tutti, é quello di non pensare. Un non pensare che dev'essere assoluto, categorico e senza cedimenti. Se per caso un pensiero qualsiasi affiora con la pretesa di ancorarci al mondo reale, non solo il ri¬ é e a n a l ¬ chiamo di un impegno, di una scadenza, una vaga preoccupazione, una dimenticanza, ma anche i ricordi più gradevoli e cari, persino il volto della fanciulla amata, dobbiamo respingerlo con fredda determinazione, soffocarla senza pietà. Si deve pensare, stando nel buio ad occhi chiusi, di fissare uno schermo nero dal quale ogni immagine legata al presente dev'essere cancellata all'istante. Pian piano allora, se ogni condizione è stata predisposta con scrupolo, il miracolo prende forma. E' come se si formasse nella mente una leggera nuvola luminescente, un soffio che sale con piccoli vortici tiepidi recando sospese infinite immagini fluttuanti, dissociate, eppure vagamente famigliari: volti dimenticati di persone incontrate per caso tanti anni addietro; luoghi stranamente famigliari, che non si saprebbe più collocare sulla mappa della propria passata esistenza, eppure incisi con assoluta precisione di particolari; parole di vecchie canzoni, brandelli di musiche, incontri, amori, disperazioni, attimi felici dimenticati. E tutto si rimescola, si intreccia, torna a separarsi, in un indistinto ed effimero trascolorare immune ormai da ogni angoscia, velleità o rimpianto, lievitando lentamente da profondità inesplorate come una miriade di bolle di sapone. Uno spettacolo infinitamente vario, colorato, ricco di tenere suggestioni, che un nonnulla basta a dissipare: uno scricchiolio, una trafittura, il suono di una voce lontana. E subito dopo, quando il meccanismo perverso del risveglio si è ormai messo in moto irreparabilmente, si cerca invano di rientrare in quella caverna incantata e invano si vorrebbe fermare nella coscienza qualcuna di quelle immagini, definirla, descriverla con le parole. A nostro supremo scorno, non c'é vocabolario che basti, né tempo sufficiente, né penna, né carta, né ingegno che reggano al compito. Un'intera giornata di lavoro d'un bravo scrittore non basterebbe a registrare e a trasmettere gli accadimenti mentali di quei pochi istanti. Il lettore avveduto avrà capito ormai che queste righe non appartengono a un tra itatello di fisiologia del risveglio: sono un piccolo capitolo, invece, di un discorso complesso sull'oggettività. Bene desiderato e impossibile.