Ben Gazzara e Marina Suma Ma che due begli italiani di Lietta Tornabuoni
Ben Gazzara e Marina Suma Ma che due begli italiani PERSONE di Lietta Tornabuoni Ben Gazzara e Marina Suma Ma che due begli italiani VENEZIA — Che begli italiani, Ben Gazzara e Marina Suma. Lui, protagonista di Bogdanovich e delle Storie d'ordinaria follia di Ferreri, offre al detective privato della tradizione poliziesco-romantica americana come all'ultimo scrittore «maledetto» d'America, Bukowski, un identico sguardo curioso ma distratto, benevolo, lievemente stupito, indulgente: una disponibilità senza giudizi morali verso cose e persone, il rimpianto d'un mondo più giusto che non c'è mai stato, la malinconia senza illusioni dell'eroe contemporaneo. L'Actor's Studio di tanti anni fa c'entra poco: «Era come una palestra per un pugile, un posto dove andare ad allenarsi, a mettersi o tenersi in forma. Ma io sono siciliano, ho un Ego più forte del metodo». Sta diventando un altro Bogart? «All'inizio Bogart non era granché, è maturato col tempo: spero succeda anche a mei». Il lavoro? «Può essere di due generi: interessante e alimentare. Se uno non si ostina a voler credere che quello che fa per la grana, per comprare la casa a New York o pagare gli studi ai figli, sia arte, anche in questa schizofrenia si può trovare un equilibrio». La celebrità? «Attori da due, tre milioni di dollari a film si lamentano dell'alienazione, della mancanza di solitudine: ma vaffanculo, vai a stendere il catrame sulle strade come faceva mio padre». La vita? «Bisogna goderla: è così veloce, così breve. La cosa fondamentale è restare aperto alle cose che capitano, non guardarsi dentro: quando diventi vecchio, l'introspezione è imbarazzante». Nel film di Ferreri è un amante terrìbile e tenero, porta mutande con stampata proprio 11, in rosso, la fondina d'una pistola. Il sesso? « Un affare privato». Nel genere mediterraneo, Marina Suma è una bellezza nuova e straordinaria, ne Le occasioni di Rosa: alta, grande, bruna, un modo bellissimo e guerriero di camminare e muoversi unito a scatti puerili e momenti d'infanzia, un personaggio del presente disperso, attonito e feroce. Abita a Napoli, ma la Napoli del film non l'aveva mai vista: «£ ne sono rimasta molto impressionata». Il napoletano che parla nel film ha dovuto impararlo a forza di ripetizioni, come una lingua straniera: «Mamma mia, la fatica che ho fatto; Tonino e io non parliamo mai napoletano». Tonino Cannavacciuolo è il suo partner nel film e nella vita, «A sposarci non ci penso proprio». Stanno insieme da otto anni, da quando lei ne aveva quattordici: «Era strano fare qualcosa che abbiamo sempre fatto in privato, l'amore, davanti alla macchina da presa: molto strano, molto gelido». Travestiti, prima del film, non ne aveva mai frequentati: «Simpatici. Si muovono più femminili delle donne, si mettono più trucco e più scollature delle donne, però simpatici. A me quello stile non piace, io mi vesto in modo molto strano e molto mio: vistoso, con un tocco di classe». Insomma lei è tutt'altro personaggio, precisa con fiscale insistenza, rivendicando la piccola borghesia: ventidue anni, diploma magistrale, padre avvocato e madre maestra, casa al Vomero, lavora come indossatrice e modella per fotografie di moda. Attrici predilette la Vitti e la Melato, desiderio di continuare a fare il cinema anche in commedie brillanti, poco interesse per problemi napoletani quali la disoccupazione, poco fiduciosa nelle soluzioni collettive: «Qua viviamo in una giungla d'asfalto. Chi più azzanna, più riesce».
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