Tra 150 maestri del Liberty
Tra 150 maestri del Liberty PITTURA, SCULTURA, ARCHITETTURA IN MOSTRA A LUGANO Tra 150 maestri del Liberty LUGANO — n Liberty italiano (giustamente la Bersaglia osserva che l'attributo è •ridondante*, visto che solo l'Italia giolittiana adotta il nome proprio della ditta inglese come sostantivo sinonimo di 'Art Nouveau*, «JugendstiU, 'Sezession* ecc.) aveva avuto nel 1972, alla Permanente di Milano, la sua prima pubblica rivelazione, dopo la dimenticanza o censura, sostanzialmente assoluta, nei grandi studi e rassegne europee del dopoguerra. Non era ancora un'organica mostra scientifica (quale sarà già ad esempio la vasta rassegna del «Liberty a Bologna e nell'Emilia Romagna» a Bologna nel 1977), quanto piuttosto una larga presentazione di materiali e di problemi, carente in alcuni settori, sovrabbondante in altri. Fino a novembre, nella Villa Mal pensata del Comune di Lugano (con un'appendice a Campione di cinema «liberty», cioè tout court torinese, curato dalla Prolo con materiale del Museo Nazionale del Cinema di Torino), lo stesso tema viene riproposto, con 150 fra pittori, scultori, architetti, centri di produzione di arti applicate (soprattutto ceramiche, vetrarie, grafiche), a cura di Rossana Bossaglia e Fortunato Bellona per la Quadriennale romana, incaricata dai ministeri degli Esteri e dei Beni Culturali. La raggiunta maturità di questa seconda rassegna, meno vasta ma certo più equilibrata, è frutto di approfondimenti nati dalla prima e, nello stesso tempo, di una più ricca e capillare conoscenza e valutazione della cultura figurativa italiana, specie pittorica, fra gli epigoni del verismo sociale e del «bozzettismo» e la rottura del Futurismo e poi dei «Valori plastici». Grandi novità non vengono proposte, rispetto al 1972, nell'architettura e nelle arti applicate, a parte la piccola sezione dedicata al Liberty nel Ticino, curata dall'arch. Bore Ila, con la curiosità del Teatro Varietà di Mendrisio (arch. Bernasconi, 1908), che è certamente una delle pochissime sale da spettacolo pura mente «liberty» ancora intatta e funzionante — a «luci rosse» —. La sezione architettonica, avendo oggi alle spalle gli ampi studi della Bossaglia, di Oresti, di Nicoletti, di Pirrone, sintetizza e precisa le poche personalità eminenti: D'Aronco, con gli stupendi ma più volte esposti disegni pei* Torino 1902, e poi Basile a Palermo, Campanini, Moretti, Arata, Sommaruga a Milano, Fenoglio, Rigotti, Vandone a Torino, Michelazzi a Firenze, Sullam a Venezia. Anche la presenza delle arti applicate è alquanto ridotta, ma attenta a qualità e valori (ancora una volta spiccano l'ormai celebre e molto esposto Galileo Chini, con raffinate scelte inedite di ceramiche da collezioni milanesi, cui si affiancano due grandi pannelli per la Biennale del 1914, fr . 1 più astratto-secessionistici, e le multiformi applicazioni di Duilio Cambellotti): ottime le presenze di mobili di Cornetti di collezioni torinesi e di uno stupendo cassettone di Quarti in collezione monzese, mentre l'eclettismo di Zen è evidenziato da una raffinatissima specchiera intarsiata e da una clamorosa ma volgaruccla camera da letto intagliata, entrambe intorno al 1900. Nella scultura, la situazione delle conoscenze e delle gerarchie appare ancora aperta, fluida, accanto ai valori costituiti, da Bistolf i al Rutelli della Fontana delle Najadi in piazza dell'Esedra a Roma, di cui sono esposti due piccoli modelli fusi in bronzo: ottima idea è quella di sottolineare la prima fase di Libero Andreotti, specie con 1 due piccoli Ge ni musicali neoellenici del 1911, ma sono assai discutibili e , n i i a a l i la gran fatica di portare a Lugano il colossale bronzo, addirittura tardo romantico, della Rinascita di Ximenes dalla Galleria d'Arte Moderna di Roma, o la presentazione della pur nobile, ma assolutamente antimodernistica Donna Florio di Canonica (quasi un'anticipazione di Messina). Tanto più discutibili, quando si presenta un solo bronzetto del delizioso, raffinatissimo napoletano-romano Nicola D'Antlno, e nulla della scultura espressionista-secessionista del primo Arturo Martini e di Casorati. Queste assenze sono ancor meno giustificate, se si considera che formulazioni parallele, linguistiche e culturali, sono invece giustamente proposte nel ricco panorama del la pittura e della grafica, vero punto di forza della mostra, sia in assoluto sia rispetto alla rassegna milanese di dieci anni fa. Qui veramente si sente 11 progresso degli studi, nel senso di nuove individuazioni e rivalutazioni (da Corsi a Cavaglieli, da Innocenti a Bocchi, per il quale però stupisce la dimenticanza in bibliografia dell'importante contributo critico del Tassi). Ma soprattutto si sente nella definitiva presa di coscienza della variegata ampiezza del panorama compreso fra il simbolismo «divisionista», altissimo in Segantini (la cui Dea d'amore della Galleria d'Arte Moderna di Milano sfida qualsiasi paragone in quell'ambito culturale) e sempre tributario e poco sopportabile nel «mistico» Previati, e gli echi espressionistici di un Bonzagni — ma, su questa strada, sarebbe stata auspicabile anche la presenza di un Viani — o il sorprendente gusto «nabi» della prima fase di Siro Penagini. Via via compaiono nuove personalità minori ma valide, come il fiorentino Bargellini, il bolognese Franzoni. Sulla strada del secessionismo, dell'avanguardia «diversa» rispetto al cubofuturismo, si rivela la validità delle prime esperienze di un Bucci, di un Oppi. A questo progresso negli studi aveva contribuito anche, a Torino, la mostra di tre anni fa sulla «Pittura all'inizio del secolo»: piace constatare la presenza a Lugano dell'Ofelia di Carena del 1912, del Ritratto in nero di Reviglione del 1916. Marco Rosei Ti'-' n. " i /'•/.' / • Si Arturo Martini: «Fanciulla che odora un cespo di rose»
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