Gigli fu grande in teatro ma sul set, che disastro di Ugo Buzzolan

Gigli fu grande in teatro ma sul set, che disastro LA TELEVISIONE di Ugo Buzzolan Gigli fu grande in teatro ma sul set, che disastro Si chiude stasera sulla Rete 3 un ciclo cinematografico, «Quattro film, una voce», che sembra passato via — ed è strano — senza destare echi particolari; e si chiude con un film Marionette che può essere tranquillamente definito brutto. Ma c'è brutto e brutto. L'altra sera, per la rassegna del musical, è andato in onda La bella di Mosca, un prodotto infelice, di una pesantezza unica, da cui si salvavano soltanto i balletti; ma costituiva un motivo di interesse perché era l'ultima opera di Mamoulian e perché mostrava in quale misura l'industria di Hollywood era riuscita a sconciare un film leggero delizioso come «Ninotchka» di Lubitsch (povera Cyd Chiarisse al posto di Greta Garbo...). Anche Marionette è un prodotto infelice; e lo è molto di più in quanto si tratta di una pellicola italo-germanica girata nel 1938 da Carmine Gallone con un cast formato da mediocri attori tedeschi e con una storiella sgangherata e bambinesca: una giornalista scambia per un contadino non sprovvisto di qualità vocali un celebre tenore che, stanco di successi e di milioni, si è ritirato a vivere in campagna, tra le bestie... Ma se si dice che il contadino-tenore è Beniamino Gigli, tutto si chiarisce e anche Marionette acquista una sua importanza. Ho detto all'inizio che stranamente il ciclo ha l'aria di essere stato trascurato, di essersi svolto quasi alla chetichella: eppure ha presentato cose come Solo per te e Mamma e adesso riesuma Marionette, documenti notevoli della tendenza di quegli anni a confezionare film con cantanti e della presenza sullo schermo di un acclamatissimo divo internazionale della lirica come Beniamino Gigli, da molti considerato il numero uno in assoluto. Il fenomeno dei film con cantanti era diffuso (Lauri Volpi ne La canzone del sole, Tito Sciupa in Vivere.', Giuseppe Lugo ne La mia canzone al vento, e poi Ferruccio Tagliavini, Gino Bechi): la formula era semplice, una trama che si rifaceva alla commedia di intrigo congegnata apposta per lui, il mattatore canoro, lanciato in acuti squillanti tra pezzi d'opera e canzoni d'occasione, spesso destinate alla popolarità. Gigli in Italia ebbe fortuna solo con Mamma. Gli altri suoi film furono accolti dal pubblico con moderati consensi e suscitarono invece sempre entusiasmo in Germania dove egli contava eserciti di adoratori fanatici (fu perfino brevemente epurato nel dopoguerra perché imputato di eccessive simpatie e amicizie nell'ambito del Terzo Reich e del fascismo in genere). Grande, splendida, indimenticabile voce — in eviden¬ za nei film — Gigli era però, e lo era anche in scena come Radames o Cavaradossi, un interprete piuttosto impacciato, piccolo di statura, grasso, panciuto, con carnose ganasce e il tipico aspetto del «signor commendatore». Come attore cinematografico era un disastro. Scriveva il 10 aprile 1941 la rivista «Cinema» con estrema franchezza mNoi rispettiamo l'arte di Beniamino Gigli, siamo anzi tra i suoi più sinceri ammiratori, ma non vediamo per quale ragione egli debba a tutti i costi fare anche l'attore cinematografico quando tutto, nella sua persona e nella sua recitazione, gli nega questa possibilità:

Luoghi citati: Germania, Hollywood, Italia, Mosca