Gli effetti del potere spiegati in tre film di Stefano Reggiani

Gli effetti del potere spiegati in tre film VENEZIA CINEMA: proiettati «La caduta dell'Italia» di Zafranovic, «Cuore del tiranno» di Jancsò, «Kargus» di Minon e Trujillo Gli effetti del potere spiegati in tre film Dalla Jugoslavia, dall'Ungheria e dalla Spagna, sono state presentate alla Mostra tre pellicole diverse e diversamente riuscite, dove si analizzano i contorcimenti del potere per durare e per conservarsi dal nostro inviato speciale VENEZIA — Se cade il potere, avviene qualcosa di molto visibile, di clamoroso. Ma i contorcimenti di un potere per durare, per conservarsi, per cambiare senza suo danno sono assai più difficili da individuare, da spiegare: non creano un buco, ma una sofferenza continua. A questi effetti del potere è stata idealmente dedicata la giornata di ieri della Mostra, con tre film diversi e diversamente riusciti. Quando nel film dello jugoslavo Lordan Zafranovic una donna corre in piazza, nella piccola isola davanti al mare stupendamente indifferente, e grida che è caduto il fascismo, che è caduta l'Italia, a quel punto, anno 1943, il buco è cosi visibile che vi precipitano dentro tutti gli avvenimenti e le atrocità covati a lungo nel modesto angolo di nazione occupata. Il film di Zafranovic si intitola appunto La caduta dell'Italia e tiene la storia di ieri come un promemoria o un al¬ larme per la storia di oggi. Naturalmente Zafranovic non fa proclami, il suo scopo più edificante è dimostrare come il popolo nei momenti di emergenza sappia scegliere la parte giusta. Ma i fatti sono un poco più complessi. In una piccola isola dalmata nel 1943 la famiglia ricca dei padroni italianizzanti sta evidentemente coi fascisti occupanti, mentre i più animosi tra i figli dei contadini stanno costituendo un gruppo partigiano. La maggioranza non sa decidersi, è convinta che un padrone valga l'altro. Alla caduta del fascismo c'è per forza un'esplosione di furia anarchica, saccheggio della villa del ricco, mattanza dei fascisti in mare, sangue, balli. Ma il capo partigiano Davorin riporta l'ordine con le armi, la rivoluzione non è una festa; e poi sbarcano i repressori e i vendicatori, i tedeschi, gli ustascia, i circassi, i cetnici, cadono i combattenti e i civili, vecchi e donne fatti a pezzi, bambini sgozzati. Alla fine vincerà il potere partigia- no, ma Davorin che s'era sposato con la figlia del vecchio padrone sarà fucilato, non si può stare col piede in due case. Cosi Davorin, unico eroe positivo (amore e libertà) muore gloriosamente da stupido, si prepara un potere burocratico, le stigmate dell'occupazione non si cancellano. Zafranovic ama la propria patria piccola, ma sa (per questo, appunto) che la patria più grande, la Jugoslavia, è seduta su un compromesso etnico di vecchie discordie, di tensioni violente. La pulsante ossessione di Zafranovic, come si vide anni fa a Cannes nel suo L'occupazione in 26 immagini, sta nel retaggio di violenza che la storia esercita e il popolo fa sua. Gente sventrata, decapitata, occhi tolti dalle orbite, sangue, molto sangue. In questo ultimo film si è censurato, rispetto ai suoi gusti, ma è risultato anche più debole. I fascisti illanguiditi a macchietta, la narrazione stesa convenzionalmente per aprire un intervallo tra le mattanze periodiche, quelle bellezze naturali in eccesso che fecero negli Anni Sessanta Zafranovic ^maestro del cinema non professionale». Un gerarca fascista spiega l'idea «£' un teatro, è tutto un teatro». Col Cuore del tiranno («A Zsarnok Szive») Miklos Jancsò torna, come fa ritualmente, in Ungheria, ma si porta dietro un pezzo d'Italia. Un pezzo molto grande, che non è solo Machiavelli e Boccaccio, come vuole la favola raccontata, non è solo l'attore Ninetta Davoli, ma la constatazione del potere attivo e sfasciato, presente e assente, delle trame e del sangue che ri mandano sempre a padroni occulti, a congiure esterne, internazionali». Si finge che nel Quattrocento un giovane principe sia richiamato in Ungheria dall'Italia perché, dopo la morte del padre, deve assumere il potere. Ma il padre è morto davvero? E la madre perché è muta? E l'emissario dei turchi che cosa vuole, solo un re fantoccio? Tutto chiuso in un simbolico palazzo, con le cadenze del sogno e della veglia, il gioco del potere assente e presente ruba il posto alla recita che i commedianti italiani, amici del principe, vorrebbero inscenare, niente Boccaccio (piuttosto un po' di Shakespeare). Alla conclusione, saranno uccisi tutti, anche i commedianti, anche il turco, c'è sempre uno che spara per ultimo. Abbandonati i giri avvolgenti dei suoi piano-sequenza negli spazi aperti, chiuso in un posto stretto, in un dialogo di volti che si bilanciano nella sola ampiezza dello sguardo, Jancsò è preso da quella ripetitività un poco angosciosa che appartiene ai discorsi simbolici quando il riferimento non è chiaro, quando neppure l'autore conosce il segreto o lo sospetta soltanto. Anche qui, curiosamente, la spiegazione è riduttiva: solo la recita è reale (la recita che non si fa, la metafora che si rimanda, l'Ungheria non padrona di sé come l'Italia). E poi c'è il metodo spagnolo (allusioni, umor nero, irrisione): cosi difficile per i debuttanti. Due giovani intellettuali spagnoli, Juan Minon e Miguel Trujillo, hanno pensato che il loro film Kargus potesse racchiudere la storia della Spagna dal '36 ad oggi, il peso del franchismo, le frustrazioni della democrazia. Kargus è il nome di un invisibile mecenate americano, il capitalismo che promette e non mantiene. Sei episodi contrappuntano le riflessioni del problematico protagonista: troppi per fare un film unico. Ma è coerentemente spagnola, sogghignante, la novella intitolata «La storica notte», la morte di Franco appresa sotto il letto di una ragazza da un amante occasionale che deve nascondersi. Lui nudo e silenzioso, mentre nella stanza una famiglia borghese e franchista tempesta sulla Spagna allo sbando. Stefano Reggiani Robert De Niro nel film di Grosbard in concorso stasera. Thérèse-Ann Savoy nel film di Jancsò «Cuore del tiranno»