Questa Repubblica e Tamaro profeta di Arturo Carlo JemoloVittorio Gorresio

Questa Repubblica e Tamaro profeta RACCOLTI 80 SCRITTI DI JEMOLO Questa Repubblica e Tamaro profeta Questa Repubblica di Arturo Carlo Jemolo (XLVI volume nella serie Le Monnier dei Quaderni di storia diretti da Giovanni Spadolini) è in parte la ristampa di una prima edizione del 1978, e in parte una brusca novità destinata a lasciare un proprio segno nel largo panorama della saggistica di interpretazione dell'ultimo trentennio italiano. Il segno — è bene avvertire subito — è quello di un pessimismo con vibrazioni di Ecclesiaste, annota nella prefazione lo stesso Spadolini. E' difatti di Jemolo la tremenda confessione, resa in aprile di quest'anno, un mese prima di morire: «Termino la vita in uno stato di disperazione, cui non prevedevo si potesse pervenire». Era un cattolico fervente, ma il suo pessimismo tragico non aveva motivazioni solo religiose, che in ogni modo Jemolo teneva gelosamente chiuse in sé, lasciando invece che liberamente erompessero tutta la sua amarezza politica, la sua delusione civica, il suo disdegno culturale per il costume degradato e svilito, il suo orrore di fronte al dilagare della violenza. Ce una sua frase esauriente a suggello del bilancio che egli fa di trent'anni di vita italiana: «Quando rievoco i molti che divisero con me le grandi speranze del 1945 e degli anni immediatamente successivi, penso che sono stati amati da Dio quelli che hanno chiuso gli occhi in tempo per non vedere l'Italia del 1978», cioè l'Italia del de litto Moro, l'Italia dei nemici della ragione (come Jemolo li chiamava), l'Italia insanguinata dal terrorismo e devastata dall'inflazione, l'Italia percorsa da una ventata di irrazionalismo che ancora oggi non accenna a placarsi. Egli ammetteva di essersi il luso una volta, appunto in quel fatidico 1945: «Ho confidato che la lezione dell'ultima guerra avesse mutato gli italiani, ed oggi mi appaiono più egoisti, con minor senso sociale, minore capacità di accettare una disciplina di quanto non fossero all'inizio del secolo, ai tempi di GiolittL.». E' naturale che un uomo della sua generazione (era nato nel 1891) lasciasse trasparire dai suoi giudizi sul presente un rimpianto del passato rammemorato e visto in luce lusinghiera, e tutto il libro è infatti pervaso da un'invincibile nostalgia: ma questa vale come testimonianza, è un documento giusto e istruttivo che non manca di pregio. Non in forma di esplicita polemica con il presente ma quasi in vena di elegia, Jemolo evoca l'età che più amava, quella tra il finire del secolo scorso e l'inizio del nostro. Essa è naturalmente ingentilita nella memoria per l'affetto che ognuno porta al suo passato, ma occorre dire che tra i ricordi Jemolo sa scegliere bene, con mano felice, e fa rivivere con pochi cenni appropriati un modo di essere sconosciuto alle generazioni di oggi: quel decoro discreto, quella esemplare sobrietà della buona piccola borghesia italiana di allora, quella severità che era dote non rara di politici e burocrati. C'è di sicuro qualche esagerazione a parlare di straordinarie virtù che al dire di Spadolini sarebbero allora state largamente diffuse o addirittura immancabili, quali ad esempio «l'altissimo impegno morale, l'instancabile dedizione, quel senso quasi sacrale dello Stato, quella devozione monastica alla cosa pubblica in tutte le sue espressioni, la mazziniana prevalenza dei doveri sui diritti... ». Non era proprio tutto così perfetto e ammirevole nell'Italia di allora (e altrimenti sarebbe arduo spiegare il successivo nostro rapido crollo negli abissi della corrotta decadenza che Jemolo lamenta). C'è tuttavia molto di buono e suggestivo nel continuo gioco di contrapposizioni fra passato e presente, che è uno dei temi del libro. Uno dei moltissimi temi, occorre precisare, perché tra saggi e articoli il volume comprende nelle sue quattrocento pagine un'ottantina di scritti bene ordinati dal lettore in dieci parti, oltre a un epilogo suddiviso a sua volta in tre sezioni: e c'è di tutto, storia, politica, economia, diritto, religione, costumi e varie umanità. La disposizione e l'attitudine di Jemolo a percorrere i più diversi campi del sapere lo rendevano infatti non soltanto curioso di tutto — dai massimi problemi ai fatti di ogni giorno — ma lo portavano a impegnarsi anche nel tentativo ra¬ zgcplesubpteinccgqnnrtlcmonasdcfalcqdnmgSizccps zionale di inquadrare il contingente nel generale Non era che volesse costruire sistemi, procedere per schemi. Più umile e più nobile ad un tempo, il suo non era altro che autentico bisogno di capire, ed appunto per questo egli incessantemente allargava i confini dei suoi interessi culturali. Il risultato fu il pessimismo, come è noto: «Pessimismo incorreggibile», lo definì un suo grande amico, a lui affine per qualche verso, Edoardo Ruffini. Jemolo era bensì credente nella ragione, ma la sua primaria e indelebile qualità di cattolico lo induceva a vedere nella storia il male, e cioè a giudicare gli avvenimenti storici come una proiezione del peccato originale, quasi una predestinazione a tutti i guai che avrebbero colpito l'umanità. Se quindi noi con Jemolo scendiamo al caso particolare di cui tratta Questa Repubblica, dovremo ammettere come fatale che anche l'Italia finisse a dibattersi fra i malanni che l'angustiano, non esclusi quelli che si potrebbero considerare quasi banali perché meno drammatici del terrorismo. Sono comunque deprecandi e Jemolo li elenca, li esamina, li giudica con desolato animo. Sono — per darne una certa idea — lo stalinismo, l'assistenzialismo, la malattia burocratica, la strapotenza dei partiti, la confusione istituzionale: in parte causa e in parte effetto delle perturbazioni della nostra Repubblica. Per una prima chiara idea si legga il bel capitolo «Riflessioni crìtiche sulla carta costituzionale» che onestamente incomincia: «Ho sempre confessato di non amare la vigente Costituzione pur con completa adesione al regime che ha instaurato ed alle sue grandi direttive: di non amarla per lutto ciò che ha di enfatico, di espressioni di significato vago (stampi che possono accogliere qualsiasi contenuto), di buoni propositi che nulla hanno di giuridico». Segue per qualche pagina un'analisi spietata contro «le espressioni che nulla significano, come quella dell'art. 1, "Repubblica fondata sul lavoro' 10 stesso appellativo di democratica, termine che viene accettato da tutti, da persone che hanno le concezioni tra loro più antitetiche. E che cosa significa 11 diritto al lavoro dell'art. 4, che avrebbe un senso solo se importasse che chiunque avesse il diritto di ottenere da un ufficio statale, da un giorno all'altro, un posto di lavoro retribuito?». Non sono che primi esempi tra i moltissimi che si potrebbero pescare come perle. Uno ce n'è francamente umoristico. L'art. 32 afferma che la Repubblica «tutela la salute come fon (lamentale diritto dell'indivi duo». E allora, domanda lemo lo: «Quando sono costipato posso dire che e stato violato un mio diritto?». Fuori dagli scherzi, nell'arti colo 47 c'è un impegno che in partenza si doveva sapere irrealizzabile: «"La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme"; ed invece si sapeva che la tendenza costante di tutti gli Stati moderni è di favorire il debitore a preferenza del creditore, ed una legge economica ben nota, di continua perdita del potere di acquisto di ogni moneta, unita a quella tendenza fa siche il piccolo risparmio si assottigli inesorabilmente». Di articolo in articolo Jemolo procede a indicare quale Costituzione egli avrebbe invece desiderata al posto dell'attuale; e certamente sarebbe stata migliore: «Ma non sono così cieco da dare la colpa alla Costituzione dei guai presenti; le carte costituzionali contano! assai meno delle passioni e delle capacità degli uomini e credo che i nostri mali attuali si verificherebbero lo stesso anche se avessimo una Costituzione perfetta». Siamo sul piano della ragione, della normale logica, del buonsenso elementare; è questa una sentenza che tutti possono approvare e condividere, anche persone inclini per natura alle speranze. Pronunciata da Jemolo, l'accento sembrerebbe cadere su quel po' di pessimismo che in simile sentenza è pure implicito: essendo l'uomo quello che è, peccatore dal giorno del concepimento, non c'è legge che possa rigenerarlo; e sta bene. Ma ciò non toglie (e qui parla lo Jemolo che è amico della ragione e suo cultore illuminato anche se cattolico pessimista disperato) che fare buone leggi si può, anzi si deve. Vittorio Gorresio

Persone citate: Edoardo Ruffini, Giovanni Spadolini, Monnier, Spadolini, Tamaro

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