Bergman; «La mia epoca è finita, però... »

Bergman; «La mia epoca è finita, però... » COLLOQUIO COL GRANDE REGISTA CHE VUOLE LASCIARE IL CINEMA Bergman; «La mia epoca è finita, però... » «Adesso tocca agli altri» - «Mi sento un po' vecchio e stanco» - Sta girando «Fanny e Alexander», poi comincerà l'ultimo film: «Una specie di testamento spirituale» - «Ma continuerò a fare teatro e tv» - «Occorre saper dimenticare» STOCCOLMA — .Non c'è posto al mondo che sia cosi beilo come quest'isola». Lo dice Ingmar Bergman, il regista di Dio e del diavolo, che sulle coste del Baltico si «ricarica » ogni estate per prepararsi allo stress di ogni inverno: cinema, teatro, radio, televisione, manoscritti e certamente altro ancora. Ma, in questa fine dell'estate 1981, a Bergman la sua Isola delle Capre deve apparire diversa dal solito: qui infatti ha deciso che la prossima volta non tornerà per riposare, ma per fare il pensionato. E chi lo conosce sa bene che non cambierà idea, anche perché, come dice lui, /'«epoca Bergman» è finita. D'ora in avanti, quindi, il mondo del cinema dovrà cercarsi un altro regista sublime e infernale. Perché lascia cosi, quasi di colpo? «Prima di tutto non lo faccio subito, perché ho ancora in corso un lavoro, quel Fanny e Alexander annunciato da tempo. E dopo Fanny e Alexander ci sarà ancora un film del quale non voglio parlare. A questo punto però sarà finita davvero. Dico basta adesso, e manterrò la parola». Ma il film, del quale non vuol parlare, è già pronto nella sua trama? «Naturalmente. Ho finito il manoscritto tre giorni fa. E ho già scelto, nella mia mente, gli attori. Sarà un film diverso dal solito; il più adatto per metter fine alla mia carriera di regista, forse addirittura una specie di testamento spirituale». Ma perché abbandonare proprio adesso? «Goethe ha detto che un vero uomo deve saper fare compromessi con se stesso. E 10 penso che. avendo pronto 11 manoscritto per il mio ultimo film, non ho più da pensare come sarà il prossimo. Una sensazione magnifica. un compromesso con quella parte del mio cervello che vorrebbe continuare a lavorare. Non bisogna dimenticare poi che ho 63 anni, e che fare il regista implica moltissimo lavoro, fisico e psichico. A dire il vero, la mia decisione non è di oggi, ma di dieci anni fa. In Svezia si va in pensione a 65 anni: voglio farlo anch'io. Non sono mica diverso dagli altri». Si, ma perché non l'ha detto prima? E cosa c'è di vero sui suoi contrasti con la direzione del Teatro Residenza di Monaco? Non è forse questo che l'ha spinto alla decisione? «Non l'ho detto prima perché non ho avuto occasione di farlo. E. per quanto riguarda Monaco, è vero che c'è stato un contrasto relativamente alla nomina del nuovo direttore. Io e gli attori eravamo per una determinata persona .decisamente assai competente, mentre gli altri volevano fare una scelta politica. Ma a me queste cose non piacciono e perciò me ne vado alla fine dell'anno. Però il fatto in se stesso non c'entra niente con il mettermi presto in pensione». Dice che l'epoca Bergman è finita. Cosa significa? «Che ho già fatto troppi film. Il primo risale addirittura al 1941. Allora avevo 23 anni, oggi 63. Ho sempre pensato che il mondo del cinema appartenga ai giovani, e adesso mi sento un po' vecchio e un po' stanco. Per me. quindi, è ora di passare la mano, anche perché la cinematografia (lo dice in italiano) è un'arte in continua evoluzione e pertanto dopo glorie e successi è molto difficile per registi e attori potersi adeguare e rimanere aggiornati. E quel che è peggio per tutti è l'aggrapparsi al passato, ripetendo se stessi senza rendersi conto che 1 tempi cambiano di continuo. Io ho fatto 11 mio tempo, insomma, adesso tocca agli altri». Ma 63 anni nella vita di un uomo attivo come lei non sono poi troppi... «Forse è vero, ma alla mia età si comincia a desiderare di poter far niente, almeno qualche volta. Di poter stare alla finestra e guardare il mare senza avere il continuo pensiero di dover correre al lavoro. Di poter far passeggiate lunghe e tranquille, di potersi fermare a parlare con 1 vicini e con chi si Incontra per la strada. In fondo, tutto questo, è una delle grandi gioie della vita. Lavorare per 40 anni di seguito ha significato non poterle godere queste gioie. Ora ritengo che sia l'ora di farlo». Non è lontano però il giorno in cui aveva detto che la sua mente era piena di idee e in casa aveva tanti manoscritti appena iniziati. Adesso è forse tutto cambiato? «No, niente è cambiato. La mente è ancora piena di idee, e 1 manoscritti ci sono davvero, tanto da riempire i cassetti della mia scrivania. Quello che manca però è la volontà di realizzarli, di trasformarli in film. Un'attività questa che porta via tanto tempo, e che tiene il regista completamente legato. I miei manoscritti, completi o meno, rappresenteranno il mio testamento artistico e forse qualcuno dopo di me riuscirà a metterli in pratica. Io personalmente voglio lavorare di meno. Penso di averne anche il diritto». Ma è una perdita per il mondo del cinema. «Nessuno è insostituibile. Magari tra dieci anni solo qualche critico, forse, si ricorderà di me». Quale peso sulla sua decisione ha avuto sua moglie? «Pochissimo e tantissimo, tutto qui». Ma come si può immaginare un Bergman che sta senza fare niente? «E chi dice che farò niente? Lavorerò per la televisione, sempre che mi accettino. E anche per il teatro. Non ho detto che mi ritiro. Solo che non starò più dietro alla macchina da presa». Scriverà le sue memorie? «No. assolutamente. Guardare indietro non è nel mio stile. Anche perché gli anni maturi rendono evidenti gli errori fatti e le occasioni mancate». Ingmar Bergman, lei ha sempre dato un messaggio a chi l'ha ascoltato o a chi ha guardato i suoi lavori. Che cosa ha da dire adesso? «Che per salvare la propria anima occorre saper dimenticare». Walter Rosboch Ingmar Bergman: «Fare cinema stanca»

Persone citate: Bergman, Cinema Bergman, Goethe, Ingmar Bergman, Walter Rosboch

Luoghi citati: Monaco, Stoccolma, Svezia