Saronni e tutta la squadra colpevoli di «non vittoria » di Gian Paolo Ormezzano

Saronni e tutta la squadra colpevoli di «non vittoria » Saronni e tutta la squadra colpevoli di «non vittoria » Volata perduta per pochi centimetri, oppure corsa fallita: la discussione è aperta DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PRAGA — In poche ore una bellissima prova collettiva della squadra azzurra, nel campionato mondiale di ciclismo professionistico, è diventata una bruttissima sconfitta, per di più con il condimento della beffa. Importanti interventi, fra i quali quelli di Eddy Merckx e Bernard Hinault, hanno gettato nel dubbio prima, nell'angoscia poi quelli che avevano abbondantemente «salvato» Martini et. e i suoi azzurri: perché è angoscia autentica anche il sentirsi tagliati fuori dal festino critico anche a base di sospetti, dall'orgia sadica, dalla spartizione della preda. La gara di Praga, vinta dal belga Eddy Maertens il quale sino a duecento metri dal traguardo non aveva fatto niente di importante, fuorché tenere le ruote di taluni sceicchi e trascurare le ruote di taluni trilli (Nilsson e Millar, fuggitivi dell'ultimo giro), la gara di Praga può fare aprire un colossale processo al nostro ciclismo, oppure può venire archiviata come un curioso accidente, pensando che se si concludeva un metro prima era vinta da Saronni, un metro dopo da Hinault. E casomai coltivando una terza ve¬ rità, teorica ma non troppo: che comunque Maertens ce l'avrebbe fatta, appartenendo Maertens a quella categoria di sprinters, i più veri, che mai vincono abbondantemente, quasi come se a venti metri dal traguardo già cominciassero a pensare alla prossima volata, alla prossima vittoria, e che si regolano sugli avversari, possedendo molti occhi, compresi quelli posti dietro e di lato. La scelta è difficile. Ogni difesa messa avanti dai nostri sembra valida: Battaglin aveva i crampi, Baronchelli in fondo ha tirato la volata a Saronni, Panizza ha cucito il gruppo nel finale. Contini anche, i gregari hanno fatto bene i gregari. E Moser? Con distacco da signore rinascimentale lui fa sapere che gli è «slittato» un rapporto, ha perso tempo, ha perso posizioni neH'ultima.bagarre, sennò era 11, a fare la sua volata ma intanto a proteggere quella di Saronni. Perché un Mo ser in più avrebbe significato una intercapedine in più (o forse l'unica vera intercapedine) per bloccare Maertens. Cose comunque da moviola, e neppure. Ma noi l'abbiamo una tesi particolare ed è quella di una corsa tutto sommato facile, nonostante le previsioni apocalittiche sul circuito distruttore, di un gruppo mai corroso da grande fatica, di un Hinault rientrato, guadagnando l'45" in meno di 30 chilometri, per calma altrui più che per rabbia propria, insomma di una corsetta, diciamolo, vinta da Maertens che appunto è imbattibile nelle volatine delle corsette. Ci è capitato di se-' guire, direttamente o in tivù, tutte le cinque vittoriose volate di Maertens al Tour de France. Bene, ha sempre vinto nello stesso modo, come a Praga, prendendo ruote preziose, stando al coperto, saltando fuori in extremis, infliggendo ai battuti la rabbia, perché un metro avanti al traguardo erano ancora in testa. La televisione francese ogni sera mandava in onda un magnifico filmato della tappa, e nei giorni di Maertens una freccia seguiva, sul teleschermo, l'avanzata del ■petit bonhomme en vert (maglia verde, primo della classifica a punti) nel gruppo, il suo saltare da una ruota all'altra, il suo uscir fuori pun tuale come un cucù. Una corsetta, e se proprio la si doveva perdere meglio averla perduta cosi, con pole miche, che senza manco il gusto della rabbia, del rimpianto se non del rimorso. Almeno c'è da discutere, c'è da scrivere. E se la nostra classifica «a squadre», quasi trionfale, contrasta con l'osservazione che, con otto azzurri nei trentadue del gruppo di testa, siamo riusciti a non prendere la maglia iridata, tanto meglio, c'è contrasto, mistero. Una corsetta: e il et. Martini casomai ha sbagliato nel valutare come durissimo il circuito, non nel dirigere la squadra, che in fondo ha portato allo sprint Gavazzi e Saronni, vale a dire i due massimi nostri velocisti. E se si fa il processo a Saronni, lo si deve fare anche a Gavazzi, che in fondo è il nostro Maertens, e che aveva lavorato assai meno di Saronni. Una corsetta che comunque, per le speranze che ha alimentato, le impressioni di potenza collettiva che ha fornito, ed anche i rimpianti che in molti ha lasciato, non diventa una condanna assoluta del ciclismo italiano. E fra l'altro non si deve neppure dire che si è avvertito il senso dell'ultima occasione perduta dal nostro ciclismo per intitolarsi un po' del 1981. Abbiamo palesato una buona salute generale, Maertens è stato una beffa pure per Hinault, pure per certi belgi che non lo amano. Si sopravvive, insomma, anche se sempre vivacchiando. E quanto all'occasione perduta, o non trovata, da parte del ciclismo tutto per uscire dai soliti binari, approfittando magari dello stimolo «esotico» dell'Est, per trovare nuovi pubblici, nuovi clienti, per vivere almeno indirettamente la formula open, pare che si tratti di discorsi troppo difficili. Magari li tenteremo prossimamente, ma oggi tut to lo spazio è per la corsa che Saronni ha fatto, ha disputato, ha perduto, non ha vinto. Gian Paolo Ormezzano

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