Spadolini non sta al gioco di Vittorio Gorresio

Spadolini non sta al gioco Taccuino di Vittorio Gorresio Spadolini non sta al gioco Forse era il caso di metterlo in guarda, il presidente Spadolini, dall'alteg^iarsi a difensore della Costituzione e del Parlamento, dal fare mostra di possedere senso dello Stato e di concepire la democrazia secondo i modelli tradizionali dei Paesi civili di Occidente. Sono posizioni che «non pagano* ir Italia, possono essere anzi pericolose, e il politico che le sostenga rischia l'ostracismo come ur antico greco nemico della Polis. Oggi e un ribelle contro la patria che s'incarna nel «sistema» in vigore. Questo sistema surrettizio e abusivo, arbitrariamente introdotto e mantenuto fra le prepotenze dei grandi partili e i ricatti di quelli piccini, si fonda sul principio che il potere ritrae la propria legittimazione appunto dai partili, ha nei partiti il propno fondamento di diritto pubblico cosicché sembra che si ispiri al modello sovietico. Che di partiti ne esista uno solo — come in Urss — o siano più d'uno — come in Italia — non fa nessuna differenza quanto ai criteri dell'ingegneria costituzionale. Resta di fatto, tanto in Italia quanto in Urss, che a comandare sono il partito ed i suoi organi; che i membri del governo, a cominciare dal suo stesso capo, altro non sono che esecutori della volontà dei dirigenti di partito, e in conclusione il Parlamento (chiamato in Urss Soviet Supremo) non conta nulla, costretto a fungere da registratore-sanzionatore di decisioni prese altrove da altri. Da noi. per dire tutta la verità, alla portata del Parlamento sussiste sempre l'ostruzionismo, ma francamente e un po' magra soddisfazione. Comunque e in questo modo che i nostri presidenti del Consiglio per molto tempo sono stati ridotti a governare. Adeguarsi alle direttive dei segretari di partito era difatti apparso una disponibilità ormai acquisita come seconda natura dai capi dell'esecutivo di stanza a Palazzo Chigi, e questo reverendo palazzo sembrava ricevere un titolo eminente di prestigio proprio, o soltanto, quando il presidente democristiano di turno provvedeva a convocare in uno dei migliori saloni della sua residenza ufficiale il cosiddetto «vertice» dei segretari. E' sempre stalo in simili occasioni che si attendeva la parola risolutiva dalla sede del governo: più che quando vi si tenevano le riunioni del Consiglio dei ministri. «C'èil vertice*: correva la notizia in sala stampa, di là alle reda- /ioni dei giornali, e l'emozione era maggiore che per un voto di fiducia da esprimere o espresso in Parlamento. Ebbene. Spadolini non sta al gioco. Fino dal giorno della sua presentazione in Parlamento alla metà di luglio aveva avuto espressioni che all'orecchio sacerdotale dei custodi dei partili suonavano iconoclaste: «Il governo della Repubblica non sarà mai il governo dei panni, e neppure delle delegazioni dei parimi. E poi: «Rivendico l'autonomia costituzionale del governo, cioè del presidente del Consiglio e dei ministri riuniti in Consìglio per la- redazione finale delle proposte da presentare in Parlamento*. Altroché «vertici» dei segretari di partilo, l'iter legislativo prospettato da Spadolini non ne faceva cenno; apparve anzi che il presidente avesse inteso di formalmente escluderli, come di dovere. Se allora gliela mandarono buona ugualmente fu perché era malagevole bloccare il governo nel momento slesso della sua presentazione alle Camere. E d'altra parte sarebbe stalo anche un modo di riconoscere la sovranità del Parlamento, cosa che non rientra nella philosophy di vertice dei segretari di partilo. Ma Spadolini é un recidivo temerario: in questi mesi d'estale. quando gli avvenimenti diradano e sono quindi le parole, i discorsi a callivare maggiormente l'attenzione, il presidente laico non ha perso un'occasione, parlando alla tv o facendosi intervistare dai giornali, per ribadire le sue concezioni costituzionali e. in armonia con queste, il suo modo di vedere l'azione di governo. In buoni termini: niente più •vertici». I partiti sono un'ottima cosa, un istituto democratico insostituibile e onorando, ma hanno una funzione precisa che non deve prò- può essere confusa ne interferire con quella pria del governo. E poi (fidando forse troppo sulla capacità di taluni di cogliere le esatte precisazioni sottili) ha avuto il bello scrupolo di specificare: -Deve restare inteso che il mio è un governo di panili, non già un governo dei panili*. Era abbastanza chiaro, ed in aggiunta Spadolini ha detto pure che la degenerazione del nostro sistema non e dovuta al fatto che i partili siano troppo forti; sono, al contrario, andati a male e adesso occorre che riacquistino credibilità presso la pubblica opinione. Ecco dichiarazioni oneste, per nulla imputabili di qualunquismo (accusa che è rivolta a chiunque in Italia formuli crìtiche ai partiti, anche se non a torto) ma c'è chi nonostante si e infuriato. Permalosi più di tutti si sono mostrati i socialdemocratici, e uno dei loro, l'onorevole Terenzio Magliano della direzione del partito ha replicalo a nome di Pietro l.ongo: -I panni non hanno conferito al presidente del Consiglio il compilo di dare loro voli di buona condona e il modo — limitiamoci a definirlo i ,iu.-Jrtiin ii — che Spadolini usa ci sorprende, ed è motivo di riflessione*. Non deve essere una riflessione serena o pacata, perché Magliano ha dello ancora che Spadolini 'sbaglia se tenia di cavalcare impunemente la tigre" dato che il suo comportamento «non favorisce la coesione delle forze politiche che operane all'interno del governo*. Sono parole gravi, addirittura una minaccia di aprire una crisi ministeriale. Pare, a sentire i socialdemocratici, che Spadolini cavalchi una coalizione che é come una tigre, c cioè un animale che si può anche tentar di cavalcare, a condizione di non discenderne. Di questa tigre i socialdemocratici sono quotaparie integrante e nessuno dubita che essi, volendo, potrebbero dall'oggi al domani disarcionare un cavaliere che per i gusti dei socialdemocratici é un poco troppo professorale, come ha detto Magliano. Ma non è un professore che dia voti. Spadolini: lo sa anche lui che neppure a scuola usa più. Però la crisi della pubblica istruzione deve essere in Italia diventata mollo acuta se a nessuno é più lecito, neanche a un presidente del Consiglio, esporre con l'ausilio dei mass-media i primi elementi di propedeutica al diritto costituzionale di una libera democrazia.

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