Quel volubile amore dell'Occidente per le sculture greche

Quel volubile amore dell'Occidente per le sculture greche Quel volubile amore dell'Occidente per le sculture greche DUNQUE, per parecchi mesi, mentre i due bronzi erano esposti al Museo archeologico di Firenze, la gente se n'è andata a vederseli tranquilla e indisturbata. Prima poche persone, poi sempre più numerose, fino a formare una fila che, soprattutto il sabato, ostacolava il già difficile traffico tra piazza dell'Annunziata e via Capponi. Qualcuno, visto il successo insospettato, si rammaricava — giustamente — che l'amministrazione dei nostri beni culturali perdesse ancora una volta l'occasione di fare un po' di soldi, essendo l'ingresso naturalmente gratuito. I giornali se ne accorsero tardi e primo a parlarne fu uno straniero, il Times, se non sbagliamo. Ma quando le due statue arrivarono al Quirinale, intorno a loro prese a condensarsi l'avvolgente, strascicato bla bla bla della chiacchiera intellettuale romana. Come un vapore fastidioso che. non^ fosse per la loro prepotenza, ce le avrebbe sottratte alla vista. Un certo tipo d'intellettuale quando annusa il suo più fiero nemico, la spontaneità, scalpiccia e carica, senza paura del ridicolo dove lo trascina la sua corsa. Cosi c'è stato chi s'è messo a far piazzate alla gente perche andava a vedere i bronzi troppo numerosa e senza sapere i verbi greci, chi ha preso a sgridarla, su un mezzo di comunicazione di massa, perché si faceva influenzare dai mezzi di comunicazione di massa, chi le ha propinato lezioncine bignamate di grecità. Un archeologo, benemerito se fornisse gli indirizzi, ha affermato che di bronzi come quelli ce ne sono a decine. Poi s'è posta la questione dell'erotismo. Era di natura erotica la forza che muoveva tanta folla? Certo, il culto delle statue antiche non è mai stato castissimo e ben lo sapeva l'ascetico Papa Ghislieri che scandalizzato, lui contadino piemontese, dai lasciti di tanti predecessori esteti ed epicurei avrebbe voluto sbaraccare il Belvedere. Ma come si concilia l'erotismo con l'esiguità, nei nostri bronzi, delle parti in questione? L'imbaraz¬ zante domanda è stata posta su un settimanale, ma forse sarebbe bastato rinfrescare qualche lettura liceale per sapere come la pensavano in proposito i greci. Ricordate Le nuvole, le parole che il «discorso giusto» nell'agone col «discorso ingiusto» rivolge al giovane Fidippide? «Se tu fai quel che dico, e a questo poni la mente, avrai sempre petto robusto, colorito splendido, spalle forti, lingua corta, natiche grosse, bischero piccolo». Mentre la gente faceva la coda per vedere i bronzi e gl'intellettuali dicevano la loro, ci è arrivato un libro («Toste and antique» di Francis Haskell e Nicholas Penny, Yale University Press) a rammentarci che a pochi metri dai due guerrieri di Riace, proprio 11 sulla piazza del Quirinale si levano due statue antiche un tempo oggetto di sconfinata ammirazione e oggi neglette o addirittura vituperate. Sono, con i loro cavalli, i due colossi di marmo noti come Dioscuri o anche interpretati come un doppio ritratto di Alessandro e Bucefalo. Quando Goethe li vide, scrisse: «L'occhio e lo spirito non bastano ad afferrarli». Flaxman pensava che fossero stati eseguiti sotto la direzione di Fidia; Canova, che li studiò assiduamente, li paragonava ai marmi del Partenone. Ai. nostri tempi invece uno storico dell'arte greca, il Robertson, pur riconoscendo che ci tramandano nella posa un barlume dell'Efesto di Fidia, li chiama •pr 'i mostri». Perché un mutamento del gusto cosi radicale ha travolto non solo i due pretesi Dioscuri, ma un gruppo di sculture antiche che per alcuni secoli (dal Rina¬ scimento fino alle soglie del '900) tutte le persone colte dell'Occidente hanno considerato capolavori sommi della creazione artistica e modelli Inarrivabili? Perché l'Apollo del Belvedere, che parve a Schiller un'indescrivibile e «celestiale con: binazione di accessibilità e severità, benevolenza e gravità, maestà e mitezza», può non essere nemmeno riprodotto e venir appena appena menzionato nei volumi sulla Grecia dell'-Univzrs des /ormes»? E come può l'Ercole Farnese, da Addlson ritenuto «una delle più belle figure esistenti», essere ora disprezzato come «un repellente saccone di muscoli gonfi»? Quale crepuscolo ha inghiottito questi dèi un tempo contesi da papi e regnanti, apparsi a Napoleone come la preda più ambita delle sue vittorie, mentre ora nei musei la gente gli passa accanto distratta? Il libro di Haskell e Penny risponde a queste domande ricostruendo in quindici capitoli veloci e ricchi d'informazioni una vicenda del gusto che potrebbe apparire sorprendente e capricciosa. La ragione dell'ascesa e caduta di quelle statue nella considerazione estetica si può cosi brevemente riassumere: 11 fervore rinascimentale degli scavi coincise con l'affermarsi del dominio turco nel Mediterraneo orientale: solo rare e frammentarie testimonianze dell'autentica arte greca poterono entrare In Occidente. Cosi 11 gusto per le manifestazioni figurative dell'antichità classica si formò sulle copie — e anche copiacce — spesso di seconda mano che si scavavano a Roma. Perfino W inckelmann, che cominciò a mettere ordine con rigore scientifico nel materiale di scavo fondando l'archeologia moderna, perfino Winckelmann che teorizzò la preminenza dell'arte greca su quella romana, fondò il suo lavoro soprattutto su copie tarde. Ma già poco dopo un amico di Winckelmann. il pittore Mengs, sospettava la copia nel gruppo della Niobe, nel Laocoonte e nelvApollo del Belvedere. Comincia cosi il declino delle statue scavate a Roma, mentre mutate condizioni favoriscono una maggiore conoscenza degli originali greci: finché si delineano chiaramente i tratti della grande arte classica, quella del V secolo, di cui appunto 1 Bronzi di Riace sono splendidi esempi. E c'è da stupirsi della lentezza di quel crepuscolo se si pensa che già nel 1779 Lord Elgin aveva portato a Londra i marmi del Partenone e che ancora nel 1937 Hitler, anche In questo tardo emulo di Napoleone, cominciò a premere sul govèrno italiano perché gli fosse permesso di acquistare dalla famiglia Massimo il famoso Discobolo, anch'esso una copia. La vendita fu autorizzata nel 1938 contro il parere del ministro dell'Educazione Bottai e la statua per cinque milioni di lire passò alla glypsoteca di Monaco. Neglette nei musei, esiliate o quasi dalla storia dell'arte, quelle statue non cessano pertanto di attrarci, come se continuassero a vivere, col loro fascino di decaduti protagonisti della storia del gusto, in un regno Intermedio. E quel fascino si comunica alla seconda pbrte del libro di Haskell e Penny, che con Intelligente trovata ci dà un ricco catalogo di 90 statue tracciando d'ognuna una storia compiuta. Mario Spagnol ma. «Testa di Afrodite» (IV se. a. C.) Museum Fine Aris di Boston

Luoghi citati: Boston, Firenze, Grecia, Londra, Monaco, Riace, Roma