Senza rumore brillò come un Sole

Senza rumore brillò come un Sole Pagine in anteprima: l'atomica da Alamogordo a Hiroshima Senza rumore brillò come un Sole Pubblichiamo, per concessione degli Editori Riuniti, alcune pagine da «La mia vita con l'atomo» di Otto Frisch (pagine 208, lire 5500) che sarà In libreria fra qualche giorno. ro nel caso scoppiasse?» «Oh, — rispose — probabilmente quindici chilometri*, «/n questo caso — replicai — tanto vale restare qui e godersi lo spettacolo*. In realtà non c'era alcun vero pericolo perché il meccanismo di innesco non era ancora stato armato; ciò fu lasciato per l'ultimo momento. DOPO che l'uranio-235fu restituito per essere trasformato in bombe atomiche, per me cominciò un periodo di calma un po' malinconica. Alcuni di noi furono mandati in posti lontani per sovrintendere la costruzione di un gran numero di parti diverse e, alla fine, al montaggio della prima bomba che doveva esplodere in una zona deserta a più di centocinquanta chilometri da Los Alamos. Ma non ero un bravo organizzatore e tutti lo sapevano; quindi non fui chiamato né allora né quando la vera bomba fu montata e preparata per essere gettala sul Giappone. Invece fui uno dei molti che prepararono diversi esperimenti da effettuare presso la prima esplosione di prova. Il particolare esperimento che avevo tentato non era molto importante, ed inoltre fallì perché avevo sottostimato la quantità di radiazione che ci sarebbe stata in giro, ed il mio film (che avrebbe dovuto ottenere una foto dell'esplosione mediante i suoi propri raggi X) fu completamente annerito. Agli inizi di luglio andammo tutti con autobus e automobili sul luogo della prova chiamato in codice «Trinità*, nel deserto vicino Alamogordo, conosciuto anche come El Jornado del Muerte, che in spagnolo significa il Viaggio della Morte. Non era un vero deserto, ma un paese molto secco con cactus e altra vegetazione sparsa ed una sorprendente varietà di artropodi, alcuni dei quali si diceva che fossero spiacevolmente velenosi. Vidi una tarantola che qualcuno aveva catturato e teneva in un grosso vaso da marmellata, appena abbastanza grande per contenere quell'enorme ragno. Vivemmo in grandi tende per periodi di tempo variabili (circa una settimana nel mio caso) mentre si svolgevano tutti i preparativi. Era stata costruita una torre d'acciaio, alta circa trenta metri, per sostenere l'ordigno esplosivo (non una vera bomba perché privo del contenitore affusolato/. Quando infine arrivò e mentre veniva issato in cima, io mi trovavo li con George Kristiakowski (il nostro miglior esperto di esplosivi), alla base della torre. «Quanto dovremmo esser lontani—gli domandai —per essere al sicu¬ Quando finalmente arrivò il giorno, il tempo era cam■ biato e c'erano temporali nelle vicinanze. Avevamo motivi per temere che i fulmini potessero innescare prematuramente l'esplosione, e molte delle misure sarebbero state rovinate se il tempo non fosse stato limpido e calmo. Cosi dovevamo aspettare. Alcuni dei pezzi grossi andarono in un bunker a soli quindici chilometri di distanza, ma la maggior parte di noi fummo portati in un luogo all'aperto, a quaranta chilometri dal luogo dell'esplosione. Li sedemmo per tutta la notte aspettando che il tempo si rimettesse. Per alcune ore sonnecchiai in automobile, svegliandomi ogniqualvolta l'altoparlante faceva degli annunci (tra l'uno e l'altro sfumava ballabili). Finalmente arrivò l'annuncio che il conto alla rovescia era cominciato; ora sarebbe stata questione di minuti prima che avesse puogo l'esplosione. A quel punto si vedevano giù nel cielo i primi segni dell'alba. Uscii dall'automobile e ascoltai il conto alla rovescia, e quando arrivò l'ultimo minuto cercai i miei occhiali scuri di protezione ma non riuscii a trovarli. Mi sedetti quindi per terra nel caso che l'esplosione avesse la forza di scaraventarmi giù, mi chiusi le orecchie con le dita, e rivolsi lo sguardo in una direzione diversa da quella dell'esplosione mentre ascoltavo la fine del conto alla rovescia... cinque, quattro, tre, due, uno... E allora, senza un rumore, brillò il Sole; almeno così sembrava. Le colline di sabbia ai bordi del deserto splendevano in una luce molto brillante, quasi prive di colore e di forma. Questa luce sembrò restare stabile per un paio di secondi, poi incominciò ad affievolirsi. Mi voltai, ma quell'oggetto all'orizzonte che sembrava un piccolo Sole era ancora troppo brillante per poterlo guardare. Continuai a battere le palpebre lanciandogli occhiate, e dopo una decina di secondi era cresciuto e si era affievolito diventando qualcosa di simile ad un grosso incendio di benzina, con una struttura che ricordava in qualche modo una fragola. Saliva lentamente verso il cielo, restando collegato alla terra da un sempre più lungo stelo grigio di polvere turbinante; incoerentemente pensai ad un elefante rosso vivo che stesse in equilibrio sulla sua proboscide. Poi, mentre la nuvola di gas incandescente si raffreddava e diventava meno rossa, si potè vedere un bagliore azzurro che la cricondava, un bagliore di aria ionizzata; un'enorme riproduzione di ciò che Harry Daghlian aveva visto quando il suo insieme di materiale di uranio divenne critico segnando la sua condanna a morte. L'oggetto, che ora aveva chiaramente la forma diventata così nota di nuvola a fungo, smise di salire; ma un secondo fungo cominciò a crescere dalla sua cima. Gli strati più interni del gas erano mantenuti roventi dalla loro radioattività e, essendo più caldi del resto, irrompevano dalla cima e salivano ad altezze ancora più grandi. Era uno spettacolo spaventoso; chiunque abbia mai visto una esplosione atomica non la dimenticherà mai. E tutto nel silenzio più completo; la detonazione arrivò minuti dopo, piutosto forte sebbene mi fossi chiuso le orecchie, e seguito da un lungo rimbombo come di traffico pesante molto lontano. L'ho ancora nelle orecchie. DOPO l'esplosione sperimentale di Alamogordo il lavoro di Los Alamos era quasi completato. Coloro che avevano capacità organizzative furono inviati in posti lontani per predisporre il montaggio di tutte le componenti ed il trasporto aereo delle bobme atomiche. Io rimasi con la maggior parte degli altri, e c'era relativamente poco da fare, tranne che documentare il lavoro svolto. Ma come usare la nuova arma divenne presto l'argomento di vivaci discussioni. Doveva essere usata? Bisognava organizzare una dimostrazione in un'isola deserta invitando il nemico a vederla? Vi furono molte discussioni a vari livelli; tra i politici, tra i pezzi grossi di Chicago come James Francie e Leo Szilard, ed anche in minor misura nella stessa Los Alamos. Io, come ho già detto, non ho mai avuto una mentalità politica, ed avevo un'ulteriore ragione per non partecipare: era giunta parola da parte del governo britannico che noi, come ospiti degli Stati Uniti, ci tenessimo fuori dalle discussioni politiche. Così, mentre ne udii un certo numero, avevo una buona giustificazione per tenere la bocca chiusa. Alcuni di noi dicevano che gli scienziati dovevano mettere tutto il loro peso a sostegno di quella che consideravano la giusta linea di azione; altri avevano l'atteggia- mento che ognuno ha il suo mestiere. Ricordo una storia che veniva narrata, riguardo allo scultore greco Fidia che aveva completato una nuowa statua di Giove e visi era nascosto dietro per udire ciò che dicevano gli ateniesi che passavano*. Quando udì un ciabattino dire «L'alluce è troppo grosso* ritornò la sera tardi e tagliò via un pezzetto dell'alluce. La mattina dopo vide passare di nuovo il ciabattino che osservò che l'alluce era migliorato ma che il gomito non era giusto. Allora Fidia uscì dal suo,nascondiglio e si rivolse al ciabattino con le parole: «Quando parli di dita di piedi tu parli di ciò che conosci, ed io ti ascolto; ma non ti presto attenzione quando parli di gomiti*. La morale essendo, naturalmente, che gli scienziati dovrebbero attenersi agli argomenti di loro competenza, e all'epoca trovai questo punto di vista molto plausibile. Non sono più convinto che ciò sia sempre vero. Gli scienziati sono allenati a pensare obiettivamente e spassionatamente, una qualità utile per prendere decisioni di ogni tipo. Non sapevamo quando la bomba sarebbe stata lanciata per davvero né dove sarebbe stata lanciata. Poi un giorno, circa tre settimane dopo Alamogordo, ci fu un improvviso rumore nel laboratorio, di passi affrettati e di voci che strillavano. Qualcuno aprì la mia porta e gridò: «Hiroshima è stata distrutta!*; si pendava che fossero state uccise circa centomila persone. Ricordo ancora il senso di disagio, di vera nausea, quando vidi quanti dei miei amici si precipitavano al telefono per riservare un tavolo all'Hotel «La Fonda* a Santa Fe.per festeggiare l'avvenimento. Naturalmente erano esaltati dal successo del loro lavoro, ma sembrava alquanto mostruoso festeggiare la morte improvvisa di centomila persone, anche se erano «nemici*. D'altra parte c'era l'argomento che questo massacro aveva salvato le vite di molti più americani e giapponesi che sarebbero morti nel lento processo di conquista che avrebbe potuto essere necessario per porre fine alla guerra, se non ci fosse stata la bomba atomica. Ma pochi di noi poterono scorgere alcuna ragione morale per lanciare una seconda bomba (su Nagasaki) solo pochi giorni dopo, anche se ciò portò alla fine immediata della guerra. La maggior parte di noi pensarono che i giapponesi si sarebbero arresi comunque nel giro di pochi giorni. Ma questo è un argomento che è stato dibattuto senza fine e mai definito. Otto Frisch

Persone citate: Frisch, George Kristiakowski, Harry Daghlian, Leo Szilard

Luoghi citati: Chicago, El Jornado, Giappone, Hiroshima, Nagasaki, Santa Fe, Stati Uniti