Nasce una nuova scienza: la librettologia

Nasce una nuova scienza: la librettologia Nasce una nuova scienza: la librettologia NON è poi tanto lontano il tempo in cui prosperava la figura patetica del musicologo, o critico musicale, scarso di competenza specifica, che si buttava ansiosamente sul canto, e in particolare sul melodramma, oppure sulla musica strumentale cosi detta a programma, dovunque insomma la presenza della parola venisse un poco ad alleviare l'ermetica asemanticità della musica. Per molto tempo la letteratura verdiana è consistita principalmente in aneddotica biografica e in aggettivazione psicologica, condotta, quest'ultima, essenzialmente sulle situazioni dell'azione, i caratteri dei personaggi, in breve, sul libretto delle opere. Oggi non è più cosi. Parallelamente alla graduale costituzione d'una critica veramente musicale che cerca, con fatica, d'impossessarsi del processi compositivi degli operisti lo studio dei libretti ha cessato d'essere uri surrogato, e si è costituito in orgogliosa autonomia, dando luogo a una scienza nuova, o per lo meno a una branca ben distinta e giustificata della musicologia. La librettologia si fonda su rigorosi procedimenti filologici con minuziosa ricerca delle fonti' ed attentissima comparazione di varianti necessaria a stabilire le fasi di stesura d'un libretto, che per sua natura non è mai un'opera di getto, ma si viene costituendo attraverso la collaborazione col compositore. Da noi la nuova librettologia fiorisce attraverso il lavoro di autentici specialisti, come Franca Cella, che esordi con uno studio fon¬ damentale sulle fonti francesi dei libretti d'opera italiani, come Daniela Goldln, scrutinatrice del libretti shakespeariani di Verdi nel loro rapporti con gli originali e nel tramite delle traduzioni italiane che Piave, ignaro di lingua inglese, dovette tener presenti per il Macbeth. Giuseppe Vecchi, medievalista di vaglia, mette talvolta il suo collaudato metodo filologico a servizio di studi sulla librettistica. Infine letterati finissimi come Luigi Baldacci e Mario Lavagetto si applicano seriamente a tale argomento, il primo avendo elaborato nel suo volume Libretti d'qpera una suggestiva teoria sul tema dell'autorità paterna nella vicenda dei melodrammi verdiani il secondo con uno studio favolósamente approfondito sulle varianti imposte dalla censura al libretto del Aicoletto. Ed ecco ora scendere in campo Folco Portinari una nuova recluta che passa dalla letteratura nel campo della librettologia con «Pari siamo!*, studio del melodramma ottocentesco attraverso 1 suoi libretti (Edt Musica). Questi nostri studiosi muovono da una sana impostazione metodologica, ben consapevoli di quello che sia l'opera In musica e del rapporto che in essa si stabilisce tra sueno e parola. Non altrettanto sicure sono le premesse da cui muove il grosso libro dell'americano Patrick J. Smith, La decima Musa, Storia del libretto d'opera che, pubblicato nel 1970, e solò oggi tradotto in italiano, fu un poco il manifesto di questa nuova scienza, e fornisce infatti un panorama storico imponente delle vicende attraversate dal libretto d'opera in Italia, Francia e Germania, con una punta tina, naturalmente, in In- • ghii terra e nell'America dei nostri giorni, con Menotti e coi librettisti di Strawinsky. Auden e Kallmann. Stranamente, nessun riferimento si ia-al librettisti di Britten, quali Crozier e Piper, come pochissima attenzione è data alla tipologia del libretto rossiniano. Ciò dipende dalla particolare concezione che lo Smith ha dell'opera e dei rapporti in essa vigenti tra la musica e la parola. Strenuo assertore dell'importanza primaria del libretto e della sua preminenza nel determinare la qualità drammatica dello spettacolo, lo Smith è come ipnotizzato dalle grandi personalità letterarie e traccia un arco della librettistica che va da Metas tasto a HoffmannstliaL attraverso Quinault, Wagner e Boito. Anche Zola è tenuto in altissima considerazione per i sei libretti che destinò a Bruneau. A Goldoni viene assegnata una posizione predominante nella librettistica italiana del Settecento, ignorando completamente Gallani e Lorenzi e l'opera napoletana. Mosso da una. specie di patriottismo professionale, 10 Smith intende stabilire i termini d'una perfezione librettistica in sé, non certo in termini d'esclusiva eccel- lenza letteraria, ma nella persuasione che l'efficienza drammatica di un'opera sia fondata nel libretto. Secondo lui, la decadenza dell'opera sarebbe cominciata con Gluck, che per primo avrebbe preso il coltello per 11 manico, togliendo al librettista la direzione e il comando delle operazioni drammatiche. Tesi discutibilissima, poiché nessuno può sostenere che senza Calzabigi Gluck avrebbe effettuato ugualmente la sua riforma; e d'altra parte non è facile seguirlo nella sua dubitabile tesi che a Striggio e a Busenello, «il maggiore librettista del Seicento-, si debbano ascrivere i meriti drammatici di Monteverdi, «come fanno invece molti commentatori calati nella concezione tradizionale del compositore ' onnisciente'. Questa inaccettabile impostazione metodologica ha valso al libro una severa strapazzata d'uno del nostri maggiori Ubrettologi. 11 Baldacci, ferito nelle sue convinzioni più profonde sull'eccellenza del Verdi popolare: «Lo Smith è purtroppo di quelli che credono ancora che Boito sia un grande librettista solo perché era un poeta e un letterato con le carte in regola; e quindi gli dedica un capitolo intero, laddove si sarebbe desiderato ùn capitolo dedicato esclusivamente al Piave*. Veramente, che Boito fosse un miglior librettistadrammaturgo di quel semplice amanuense di Piave, siamo «ancora» in molti a pensarlo, e all'irritazione di Baldacci avrà contribuito .anche la qualità-disastrosa della traduzione, che spesso capovolge letteralmente il significato del testo e vi opera inqualificabili mutilazioni Ma la divergenza sulla concezione di fondo dell'opera in musica certamente sussiste. Le lacune, oltre a quelle già menzionate, sono vistose. Ad eccezione di Algarotti manco una menzione dell'intensa pro¬ duzione di satire e parodie che nel Settecento alimentò la polemica sul melodramma: non solo Ai teaga, Muratori, Planeill sono ignorati, ma manco una parola si spende per Benedetto Marcello e il suo Teatro alla moda! Pizzetti, un musicista che si scrisse da sé oltre dieci libretti d'opera, viene ricordato solo perché uno gliene scrisse D'Annunzio (la solita reverenza per il grande nome letteràrio). Sconosciuto risulta quel principe degli autolibrettisti che fu Luigi Dallapiccola. Inoltre, come succede in tutte le storie generali, la chiarezza del disegno si offusca quando dai personaggi minori e dal tessuto connettivo d'epoche di transizione si passa ai giganti come Wagner e Hoffmansthal. La narrazione storica è spesso attardata da diligenti riassunti di libretti Tuttavia, tale è ia messe d'informazioni e la completezza del quadro (con esclusione dei libretti di lingue slave), che all'opera non si può negare una manifesta utilità. Essa si lascia molto indietro il semplice lavoro del nostro Roland!, Il libretto per musica attraverso, i tempi (1950), che tuttavia si premuniva saggiamente contro l'errore dello Smith, quando esordiva: «Senza voler fare l'apologia del libretto o volerlo méttere a base dell'opera musicale E anche nelle divagazioni in cui si attarda la trattazione dei maggiori, l'affettuosa librettomania dello Smith si apre talvolta ad osservazioni d'una finezza tale, che qui non si resiste alla tentazione di citarne alméno una. Cavaliere della rosa, dell'ammiratissimo Hoffmannsthal. Languido congedo mattutino che la Marescialla dà, dopo una notte d'amore, all'adolescente Ottaviano: .Quinquin, ora devi andare. Devi lasciarmi. Io andrò in chiesa, e poi mi recherò a visitare lo zio Greifenklau, che è vecchio e zoppo, e pranzerò con lui. Questo gli darà molta gioia.,. Questo zip Greifenklau, noi non lo vedremo mai, Inaugura una categoria calviniana di personaggi inesistenti. Eppure, nota giustamente lo Smith, serve ad aggiungere un tocco di buon cuore alla tenerezza del carattere della Marescialla, in conformità alla concezione hof1 maiuisthaliana dell'amore «inteso come una mistura di compassione, amicizia e comprensione attraverso l'affetto*. Tipico esempio dell'allustlvltà di Hoffmannsthal, che gli permette di arricchire l'azione sulla scena attraverso una. «dimensione fuori scena». Massimo Mila Patrick J. Smith: La decima Musa. Storia dal libretto d'opo- ra. Trad. di Lorenzo Maggini. Sanson, pag. X-417. L, 18.000.

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