Nell'ultimo Philip Roth il rivale è Fidel Castro di Furio Colombo

Nell'ultimo Philip Roth il rivale è Fidel Castro Il nuovo romanzo: «Zuckerman unbound» Nell'ultimo Philip Roth il rivale è Fidel Castro NEW YORK — Chi sono i grandi scrittori americani? Provate a comporne una lista e il nome di Philip Roth w compare sempre. E vi compare in una pattuglia che non ha i contatti sanguigni con la vita di Norman Mailer, .non ha la frequentazione mondana di Truman Capote, non ha la presenza sociale di Gore Vi- ?■ dal, o la visibilità politica di Mary McCarthy e di Susan Sontag (dove 'politico» vuol dire presenza attiva, di pubblico impegno). Il nome di Philip Roth si associa meglio (e tipicamente forma una specie di piccola squadra, nelle antologie letterarie d'America e negli studi universitari) con John Vpdike, con Saul Bellow, con la più. recente presenza nel gruppo, Dactorow. Che cosa c'è di comune in questo gruppo, ammesso che autori con una impronta forte e rigorosamente personale possano essere valutati come «un gruppo»? Ciascuno è unico, certo. Ma tutti hanno forti radici di identità e di passato, una capacità di universalizzars quelle radici (la tendenza al- ■ la narrazione come parabó- ■ la) un uso delicato, abile, ri- .. goroso, quasi «scholarly»' della lingua, un modo di ambientare le loro storie in Ametica come in un universo casuale. Non l'America 'tipica» di John Cheever (protestante, puritana, popolata di peccatori che pagano, in relazione a regole che si sup¬ pongono ben conosciute) ma un fondale che si id~n'' 'na solo attraverso i peri, i e la storia. r/u tutti Philip Roth è quello del gruppo che lotta con le sue radici («essere ebreo in America») in una sorta di schizofrenia creativa che fa nascere sempre nuovi figli, nuovi personaggi, nuove situazioni e che pure non si può mai risolvere. Philip Roth è'anche l'unico che non abbia difficoltà, oppure ne ha molta, ma sono due decenni che questa sua battaglia continua a spostare dalla pagina alla vita questa interminabile querelle con la sua identità di scrittore (dunque apolide) di americano (dunque storica-r mente legato a una terre) e di ebreo (dunque richiamato con forza a identificarsi dal suo gruppo, dalla sua cultura e anche dall'esistenza e dalla immagine di Israele). Roth creò molte dispute e molta attenzione negli Anni Sessanta quando andò a Gerusalemme a un congresso per dire «ma io non mi sento ebreo, mi sento scrittore» . gettando il suo pubblico in una meravigliata costernazione. Allora non aveva an-cora scritto II lamento di Portnoy a cui deve una notevole dilatazione della sua fama. E non aveva ancora scritto questo suo ultimo e fortunato Zuckerman unbound che è — come ha detto con un po' di cattiveria Anatole Broyard sul New York Times — il figlio di Portnoy, o almeno di un ramo della stessa famiglia. E' importante ricordare i due titoli, Pqrtnjoy accanto a Zuckerman, e con essi l'episodio di Gerusalemme. Perché da allora è nato in Philip Roth un conflitto che non si è mai risolto e che sta generando la partel.più affascinante, più ricèa della sua narrazione. Lo 'Shock da identità» che spesso spegne o riduce la forza di uno scrittore («un artista è sempre un vagabondo» aveva scritto in Advertising for myself un altro autore ebreo insieme osservante ed eretico, Norman Mailer) irilPhilip Roth ha provocato una vera esplosione. Portnoy era sembrato l'epicentro?Il lavoro seguente una specie di interludio. Adesso Zuckerman ci dà la misura della fàrza di q&ell'accapigliarsi con se stesso, di quel lottare con la propria ombra. Lingua, humor, stile, qualità narrativa, splendore di scene istantanee, evocazioni e memorie, uni-filo tenace sorprendente, tutto ciò testimonia che la vicenda di ,Portnoy e del suo lamento era solo un inizio. Uno scrittore narrerà sempre, come si dice, lo stesso-mondo. Ma nella tensione di Zuckerman, nel mondo di Philip Roth e nelle lettere americarie (e proprio in Un momento di pieno deserto) arriva qualche cosa diyrande, di importante e di nuovo. Un fenomeno ■'in ingrandi- mento, approfondimento e spessore si aggiunge nella immagine e — di riflesso — neita scrittura di Roth. L'autore vede se stesso scrivere, percepisce se stesso come autore, e per quanto Zuckerman sia una variazione — dunque una creatura — di Roth, ne è anche la copia, in un esercizio creativo che potrebbe oscillare fra virtuosismo e bravura, ma sta più spesso dalla parte della bra¬ vura. Deliberatamente uso una parola ('bravura») che appartiene, come 'Virtuosismo», allo spettacolo e'alla musica. La polvere del teatro, del recitare se stesso in pubblico, della impudicizia tipica della esibizione in scena è certo presente. Tocca alla qualità della scrittura impedire che l'artificio prenda la mano. Philip Roth ci riesce, il suo mestiere è solido e la costruzione non sbanda. Ed è una costruzione difficile. Quasi ogni situazione si impianta in una situazione simile e parallela del precedente mondo di Portnoy. Il sesso, la madre, l'amante, la situazione impossibile in cui un uomo, in tempo reale, deve continuamente confrontarsi col passato che rifiuta di uscire di scena, il presente che stenta a farsi totalmente possedere come reale, mentre si svolge il furioso confronto fra ciò che si vede del 'y personaggio, ciò che il personaggio vede, di se stesso, e rio che lui prova quando os-k. serva se stesso e quando gli 3 altri (o l'altra, la madre, i'a- . mante) lo vedono. La parte 'immagini» di questo libro è così intensa da raggiungere suggestioni felliniane. Roth infatti è abbastanza cosmopolita e avventuroso da allentare il muscolo del controllo storico-etnico e permettere che l'universale deformi il tipico, al modo in cui le contadine dei sogni dì Fellini possono ess-rre viste e capite a New York. Ma c'è una robustezza nel mondo di Roth che lo spinge a comporre qualcosa di solido. Le sue immagini non possono contornarsi di nebbie e sfumarsi nel sogno. La grande svolta della sua narrazione in questo libro è il potere, una specie di maschera che, a mano a mano, compare, non meno grottesca di altre, però carica di tutto il peso naturale che ha nella storia. ZuckermanRoth come uomo e come amante si trova davanti l'immagine, ma anche il peso reale della rivalità di Fidel Castro. Fidel Castro, l'uomo' di fascino che le cronache sentimentali ci raccontano, è' anche l'uomo del potere brutale consegnatoci dalle prime pagine dei giornali (o dal ■ recento libro di Carlos FranquiJL Fidel Castro, vero] storico, in carne e ossa, occupa uno spazio-incubo nella narrazione di Roth, come nella '•vita di Zuckerman, e propane questa domanda: che co¬ sa conta lo scrivere contro il potere? Omero: l'immaginazione contro la politica, la visione contro la forza? fi duello si fa più stretto e si sente il pericolo della sterilità avvicinarsi Non la sterilità della pagina bianca. Piuttosto quella della creatività inghiottita dal crescere inarginabUe di una giungla di fatti e persone vere. Più lo scrittore diventa scrittore più retrocede in un mondo lontanò, effimero. Per Fidel Castro portare via, a Zu~Ckerman una dònna — ola ' vita — èia piccola mossa di ■ben altri giochi che Roth e Zuckerman. riescono a mala penr •» spiare. Ma se vogliono sape, ■ di più devono venir fuori dalla giungla, uscire dalla febbre dell'immaginazione, passare alla prima pagina dei giornali, alle notizie televisive della sera: Guarire, diventare normali, accendere la luce nella stanza in penombra, agire. E la letteratura? Come un boomerang torna il rimpianto di inventare storie e personaggi attraverso lo scrivere. Ma il fantasma di un confronto terribile e impossibile tra immaginare e agire, tra narrare e dominare, fra il romanziere e il potere, pende come una minaccia sulla vita del personaggio Zuckerman e sul talento dello scrittore Roth. Dentro, ancora più dentro, in un .ncxstTO a cannocchiale che ci fa risalire dall'ultimo personaggio di. questo libro a tutti quelli precedenti, fino a Roth, e forse fino a quel convegno di Gerusalemme di cui ho prima parlato, c'è il problema di identità. Anch'esso chiede 1 di essere giocato due volte, nella letteratura e nella vita. É sono due giochi che continuano, come in una specie di rincorsa angosciosa, elusivi e non evitabili. Né l'uno né l'altro si lasciano dimenticare. Ma non possono essere risolti insieme. Non nella stessa vita, ci dice un filo di disperazione fra queste pagine che meritano di essere lette. Furio Colombo Fidel Castro in una caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Revlew ot Books. Opera Mundi e por malia «La Stampa.)

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