Progetti (e follie) per il recupero ma il relitto contiene un tesoro?

Progetti (e follie) per il recupero ma il relitto contiene un tesoro? Progetti (e follie) per il recupero ma il relitto contiene un tesoro? GENOVA — Chiunque, disponendo di 300 mila dollari da buttare, può diventare proprietario del transatlantico «Andrea Daria» che giace sui fondali dell'isola di Nantucket, davanti a New York. E' questa la somma che la «Mutua Mar», assicuratrice del transatlantico e proprietaria del relitto, chiede per un passaggio di proprietà del tutto teorico, poiché un recupero, possibile tecnicamente, si rivelerebbe disastroso dal punto di vista finanziario. Eppure il fascino di un improbabile tesoro sommerso scatena la fantasia e lo spirito d'avventura Ogni tanto la Guardia costiera americana incrociando il mare di Nantucket scopre un battello vuoto, con dentro attrezzature dà subacqueo. A berdo, nessuno. Il navigante solitario è probabilmente scomparso mentre cercava di raggiungere il relitto. Qualche annegato è stato trovato. L'ultimo in ordine di tempo si chiamava John Barnet.t e aveva 47 anni. Vediamo prima di tutto la situazione del relitto dal punto di vista legale «Intanto — spiega il vice presidente della "Mutua Mar", Carletto Sessarego — bisogna sfatare una leggenda. Il relitto non è preda di chi ne prende possesso, ma rimane di nostra proprietà. Chi dovesse recuperarlo, avrebbe diritto soltanto ad un risarcimento. Ma è un'impresa economicamente sconsigliabile: noi vi abbiamo rinunciato un anno dopo l'affondamento, quando compagnie specializzate ci hanno dimostrato, quanto economicamente negativo sarebbe il rapporto fra spese di recupero ed eventuali ricavi». Fortemente inclinata su un fianco, l'«Andrea Daria» si trova a 170 metri di profondità, 70 miglia dall'isola di Nantucket, con una corrente costante che ha una forza minima di due miglia l'ora. Il tempo di lavoro necessario per un recupero va da un minimo di venti giorni ad un massimo di due mesi La spesa è di alcune centinaia di milioni al giorno. Grossi lischi e imponenti finanziamenti, per cosa? Che può esserci di tanto prezioso nella nave squarciata? E'stata fatta la cifra di un tesoro sommerso di SO milioni di dollari, ma conferme non ce ne sono. L'avidità dei tanti potenziali recuperatoli si rivolge alle cassette blindate di sicurezza dove i passeggeri avevano riposto i loro valori Ma quanto, in moneta sonante, questi oggetti possono rendere, non è calcolabile. Hanno certamente resistito alcuni pannelli d'argento, strutture d'acciaio. Non certo i quadri d'autore, le preziose tappezzerie e altri arredi inevitabilmente macerati dalla permanenza di cinque lustri esatti nella melma. «Per noi —dice Carletto Sessarego — la partita è chiusa». Una chiusura finanziariamente disastrosa. La «Mutua Mar», capofila di un gruppo di società assicurative sulle quali è precipitato il gigantesco debito, ha pagato 18 milioni di dollari alla Società «Italia» proprietaria della nave (in quel periodo, la più valutata sul mercato); inoltre ha rimborsato le 3200 persone che — direttamente o indirettamente — avevano subito danni, dalla morte di un congiunto alla perdita di un brillante o del bagaglio personale. Se ora chiede solo 300 mila dollari per la cessione del relitto, ancora di sua proprietà, vuol dire che niente di particolare valore può essere strappato alla «tomba» di Nantucket Ma allora, perché la «Mutua Mar» continua a ricevere richieste di autorizzazione al recupero, anche le più strampalate? «Il fatto è —spiega Sessarego — che al momento di stipulare un impegno concreto, con garanzie, l'offerente si tira indietro. Raramente ci è stato proposto un serio progetto di recupero. L'ultimo arrivato alla nostra società ipotizza di "imbragare" il relitto fra due cisterne dopo aver scavato un tunnel sotto la chiglia. Ma c'è di peggio. Anche un sollevamento da compiere con la spinta verso l'alto di palline da ping pong, destinate ovviamente ad essere sbriciolate dalla pressione. I progetti sono centinaia. Ce n'è uno patetico: a New York fu costituita una società che chiedeva contributi da un dollaro a cinque dollari a italo-americani, per pagare il recupero e trasformare quanto resta dell' "Andrea Doria" in un monumento viaggiante di italianità. Non mi risulta che quella società da Tricolore sul mare sia mai divenuta operante. Poi ci sono tentativi isolati, avventuristici, che noi non abbiamo mai autorizzato. Uno è andato a buon fine : un sommozzatore avrebbe portato a galla la campana della nave». «Chi tenta di scendere sul relitto di Nantucket come scenderebbe al "Cristo degli abissi" di S. Fruttuoso è un predatore, o un esibizionista, o un cacciatore di souvenirs; comunque uno che non ha molta voglia di vivere», dice l'ingegnere navale Enrico Beraldo. Ma i tesori (o presunti tali) in fondo al mare, hanno sempre stimolato imprese ai limiti dell'impossibile Si ripropongono anche per contagio. Gli inglesi tenteranno il recupero della «Edinburgh» affondata nel maggio del 1942 nel Mare ài Barents. Ma nella «Edinburgh» ci sono cinque tonnellate e mezzo di oro. Nessuno sa invece cosa potrebbe trovare nell'«Andrea Doria», fra alghe e pesci g.c.

Persone citate: Carletto Sessarego, Enrico Beraldo, John Barnet

Luoghi citati: Italia, New York