Come l'invisibile può diventare arte

Come l'invisibile può diventare arte LE OPERE DI PAUL KLEE A ORSANMICHELE Come l'invisibile può diventare arte «Io somiglio al dirupo/ dove la resina cuoce nel sole/ dove i fiorì ascoltano./ Mi rinfresca solamente/ la notte di Valpurga,/ e là volo come una lucciola: / so subito allora,/' dov'è accesa una piccola lanterna». In questa breve linea di Paul Klee, si riconosce alle orìgini la più intima delle sue capacità di pittore, trasfigurare o quasi accendere la realtà, amando più l'accensione di colore, l'esistenza intensificata dell'immaginazione (qualità come staccata dalla cosa) che non la cosa stessa, ovvero la povertà della copia prammatica che ne può consegnare un'abitudinaria percezione. Si capisce come questo artista indagatore e sognatore — il cui occhio percepiva gli ultracromi violetti del cielo come l'orecchio di un animale gli ultrasuoni — quando nel 1911 incontrò Vasilij Kandinskij simpatizzò con le sue idee: U padre dell'astrattismo lirico trovava strano che all'invisbile si desse meno importanza che al resto della realtà visibile, e auspicava la loro congiunzione, o rafforzamento reciproco. Non è un caso che proprio in quel medesimo periodo Kandinskij stava scrivendo le pagine fondamentali del suo manifesto «Dello spirituale dell'arte», un testo che sarebbe rimasto storico per la conoscenza dell'astrattismo. In esso c'è una frase rivelatrice nella quale troviamo la chiave della sua riflessione teorica: «Sentivo sempre più decisamente che è il desiderio interiore del soggetto a determinare imperiosamente la forma». ** Klee vi ritrovava la verità di quel messaggio poetico ed anche la sua straordinaria e personale capacità di «essere astratto con dei ricordi». In ciò la ricerca kleeiana è affine a quella del maestro russo; e del resto esposero insieme, da amici e colleghi, alle mostre monacensi del Blatte Reiter dopo il primo decennio del Novecento. Ebbero cioè in comune la visione interiore, una specie di misticismo laico nell'ascoltare le voci interne dello spirito e della fantasia. La realtà esistente, da fonte primaria dell'immagine, si era modificata in uno schermo che proiettava le profonde sensazioni dell'artista. Si poteva guardare in essa, ma nel quadro veniva trasferita un'invenzione libera, autonoma da imitazioni, vale a dire un'invenzione pittorica strettamente indipendente, così come è la musica anche quando esprime — al di là delle pure architetture dei suoni — la segretezza emotiva del musicista. In effetti Kandinskij aveva stretto amicizia con Schòenberg, e Klee aveva genitori' musicisti e lui stesso restò, in gioventù, incerto se proseguire lo studio del violino o diventare pittore. Si potrebbe dire che tutta la generazione dei pittori nati verso il 1880, quella dei maestri di cui sopravvivono ancora pochi uomini (da Marc ChagaU a Mirò), cooperò a scoprire questa dimensione segreta e interiore dell'uomo fino a scandagliare, al di là delle sue percezioni d'immaginazione, la zona profonda e ancestrale dei sogni. ** L'Ottocento scopri la natura, il paesaggio esterno dell'artista; questi altri maestri scoprono il paesaggio recondito dell'animo umano e le fantasie che lo percorrono. A guardare ai lavori di Klee, alle sue minuscole opere — le quali sembrano dei foglietti staccati da un quaderno privatissimo di confidenze e confessioni — si ha l'impressione di penetrare in un mondo vissuto per trasferimento lirico, sollevato dal buio cavernoso di un'antica vita in cui le radici e le cellule germinali sono identiche per l'uomo come per i minerali o i fili d'erba. Sicché l'uomo avverte nel fondo della sua memoria questa sua somiglianza, la comune sorgente organica e l'oscura confusione dei corpi con le cose. Ora le duecento opere tra dipinti, acquarelli e disegni, esposte fino al 13 settembre negli spazi di Or sanmichele a Firenze e datate del 1900 al 1940, confermano tale segreto mondo rivelato e l'alto prestigio pittorico del maestro tedesco, paragonabile, sia pure al limite opposto, a Picasso nel fervore creativo. Nato a Munchenbuchsee presso Berna il 18 dicembre 1879, tre anni prima del nostro Boccioni, Klee studò a Monaco, dove entrò in rapporto con Kandinskij, August Macke, Franz Marc, e fu vicino al gruppo del «Cavaliere azzurro». Dal 1921 tenne la cattedra di pittura al Bauhaus di Weimar. Dieci anni dopo, abbandonato il Bauhaus, insegnò all'Accademia di Dusseldorf. Due grandi esposizioni, nel 1925 alla galleria Goltz di Monaco e nel 1929 alla gallerìa Flechtheim di Berlino, lo resero famoso. *★ Nel 1933, attaccato dai nazisti come maestro di «arte degenerata», lasciò la Germania per Berna. Si spense a Muralto-Locarno il 29 giugno 1940. Artista pieno di costante impegno, Klee lavorò ininterrottamente per oltre quaranfanni. Soltanto i suoi primi anni sono passati sotto silenzio, poiché non è stata conservata nessuna pittura sotto vetro. In compenso ci è pervenuta una magistrale lezione sulla linea, a proposito della quale il poeta-pittore Henri Michaux scrisse nel 1954: «Quando vidi la prima volta dei quadri di Paul Klee, fui invaso, ricordo, da un grande silenzio». La sua opera è densa come poche altre del peso della meditazione derivante da una lucida osservazione senza compiacimenti. Nel tempo in cui come reazione alle rassicuranti composizioni di un Pissarro o di un Marquet, Matisse faceva esplodere i suoi colori e Toulouse-Lautrec alimentava la cronaca dei frivoli costumi della Parigi dei cabarets e dei caffè-concerto. Klee svolgeva la linea, l'assottigliava, la piegava ad una volontà di umore (l'art brut di Dubuffet se ne nutriva ampiamente), insomma vi scopriva il valore della deformazione la quale è una sorgente inesaurìbile della fantasia kleeiana. Nel 1922 scompone, ad esempio, in una disseminazione di lettere d'alfabeto il tessuto vocale della cantante Rosa Sii ber e, l'anno seguente, mette in burla un tenore che in una barchetta affronta tre mostri marini squamosi simili ad armadilli. Ma la sua arte non è soltanto la «casa dell'opera buffa»; vi compaiono anche famiglie di clowns e saltimbanchi e fantocci e animali in commedia, e un circo ambulante e un teatro di bambole, un teatro botanico, un teatro magico, un teatro di marionette, alla cui ribalta si vede una ballerina dal corpo-cuore e dagli occhi enormi con ciglia a raggiera, concepita nel gusto del disegno infantile, che così spesso guidò il suo Liniensptel. Tuttavia, sin dalle prime opere, siamo lontani dalle capacità insurrezionali del cubismo. Klee non è artista che possa demolire e ricostruire: non spezza, per ricreare, come Picasso; mira al nucleo del significato dissimulato sotto la corteccia, lo estirpa e ne offre una formula condensata. Negli ultimi anni di vita, dipinge tutta la notte, senza dormire, raccogliendo la tenebra che sta dentro e fuori di lui: ne cattura gli orrori, la suggestione, la musica; e mette in luce l'immenso tesoro di verità che essa contiene. Floriano De Santi Paul Klee: «La signorina dello sport» (1938)

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