Mandelli accusa: «Più che programmi si è sempre fatta della demagogia»

Mandelli accusa: «Più che programmi si è sempre fatta della demagogia» A colloquio con il vicepresidente della Confindustria Mandelli accusa: «Più che programmi si è sempre fatta della demagogia» Quali sono le difficoltà che frenano lo sviluppo industriale? Partendo da questo interrogativo sulla sorte dell'industria italiana negli Anni Ottanta, abbiamo rivolto alcune domande al vice presidente della Confindustria. Walter Mandelli, che per sei anni è stato capo della Federmeccanica, la potente associazione degli imprenditori metalmeccanici privati, con oltre 9 mila imprese e un milione di dipendenti. Da dove desidera cominciare nell'elenco delle difficoltà? •Al primo posto metto la mancanza di volontà di risolvere i problemi da parte delle forze politiche e sociali. Un caso lampante è quello dell'energia. Oggi parliamo ancora di sviluppo fingendo di ignorare che fra breve, se non si modificherà la situazione, non avremo energia sufficiente e dovremo allora scegliere se far funzionare le fabbriche o lasciare le abitazioni al freddo*. La programmazione L'energia è un pezzo di programmazione. Lei intende dire che 1 ritardi nella programmazione In generale frenano lo sviluppo? «Certo. La programmazione è uno dei punti dolenti. Noi, imprenditori, non siamo stati teneri verso le velleità programmatorie dei vari governi, appunto perché di velleità si trattava. Si tracciavano grandi scenari, dificilmente realizzabili, trascurando invece quelle poche cose concrete che si sarebbero poture fare con relativa facilità-. Non le sembra una critica troppo generica? •Proseguo subito con un esempio concreto. La Pubblica Amministrazione, dallo Stato alle Regioni ed ai Comuni, è forse il più grande committente di ogni sistema industriale, perché compra di tutto. Se acquista in modo programmatico contribuisce allo sviluppo; se compra in modo episodico, o peggio disordinato, danneggia il lavoro di tutti». A che cosa si riferisce? «Ho sempre presente il caso delle ferrovie francesi che programmano a lungo termine i loro fabbisogni. Per questo solo fatto l'industria ferroviaria francese è competitiva in tutto il mondo e detiene quasi il monopolio delle esportazioni del settore. Naturalmente, programmare a lungo termine, non è sufficiente. Occorre anche che chi programma ritiri la merce al momento stabilito e, soprattutto, la paghi alle scadenze previste*. Le Regioni, che lei mette sotto accusa con 1 Comuni, sono nate appunto per trasferire alla periferia decisioni che la burocrazia centrale faticava a prendere. Che cosa non funziona? • Purtroppo, il frazionamento delle competenze e delle decisioni di spesa attuate con riferimento regionale ha aggravato la situazione. In questo caso la mancanza di coordinamento e di programmazione è ancora piii deleteria. Prendiamo il caso della tutela del territorio: l'industria italiana che lavora nel settore dell'ecologia (inceneritori, depuratori di acque, eccetera) sotto il profilo tecnologico è perfettamente all'altezza della situazione. La difficoltà consiste nel sapere che cosa produrre e a chi venderla, perché le decisioni degli enti pubblici sono, per lo più, occasionali. E' molto diverso costruire un inceneritore perché un Comune ha deciso di impiantarlo o costruirne cento perché esiste un programma nazionale, magari scaglionato nel tempo. Capita, quindi, che il Comune italiano che voglia dotarsi di un inceneritore finisca per comperare un prodotto straniero, perché più competitivo. Lo stesso discorso vale per molti altri settori a partire da quello biomedico: Gli imprenditori si sono dunque convertiti alla programmazione al punto da cantarne l'Inno? •Non ci siamo convertiti alla programmazione, almeno come questa è stata intesa finora. Il discorso è un altro: l'industria produce ciò che il mercato richiede e lo produce soltanto se è in grado di venderlo, cioè se il prodotto è competitivo, a pari qualità, con quelli dei concorrenti. Gli enti pubblici sono un grande cliente. Se vogliono veramente contribuire allo sviluppo del sistema produttivo non possono comportarsi come la massaia che al mattino va sul mercato rionale sema sapere che cosa comprerà-. Qual è il ruolo che attribuisce alla domanda privata per spingere lo sviluppo? •Se dicessi che il freno deriva dalla scarsa produttività, non sarei originale, perché lo ripetiamo da tanto tempo. C'è la scarsa produttività, ma anche in questo caso l'ostacolo maggiore deriva dalla mancanza di volontà dei corpi sociali. Sto parlando dell'inflazione che falcidia i redditi, penalizza le imprese, ne riduce la competitività. Tutti sono consapevoli di questi mali, tutti dichiarano di voler combattere il fenomeno, ma sinora non si è fatto nulla. Altro esempio è la casa...'. Vada pure avanti. •La casa... Dieci anni di demagogia hanno distrutto questo settore. Dieci anni fa si costruivano 400 mila vani l'anno; oggi sono poco più di 150 mila, in prevalenza di seconde e terze case. Morale: il problema della casa diventa sempre più grave; genera tensioni che si scaricano nelle fabbriche; allo stesso tempo una gran parte del sistema industriale viene penalizzato. Non si dimentichi che l'edilizia è uno dei settori più trainanti dello sviluppo. Quando si costruisce una casa si mettono in moto almeno 36 settori produttivi. E' proprio impossibile, visto il fallimento cui siamo arrivati, impostare una nuova politica della casa? Le forze politiche ed i sindacati si allarmano, giustamente, perché non sono stati adottati finora provvedimenti di sostegno concreti per l'indotto dell'auto; per l'indotto della casa, che è altrettanto vasto, c'è, invece, la più assoluta indifferenza-. Lo sviluppo Dunque, se si attivassero la domanda pubblica e quella privata, lo sviluppo industria le ripartirebbe? Sarebbero risolti tutti 1 problemi? •Purtroppo non sarebbero risolti tutti i problemi perché l'industria italiana è come Gulliver: un corpaccio inchiodato al suolo da una miriade di fili sottilissimi. Questi fili si chiamano: difficoltà di autofinanziamenti, eccessivo costo del denaro, mancanza di mobilità nell'impiego della forza lavoro, carenza di personale specializzato e qualificato, a tutta livelli.. Il problema della specializzazione, mi consenta la battuta, è come quello della produttività, che lei prima ha definito non originale. Oppure la specializzazione è un tema originale? «Non è per niente originale perché se ne parla da tanto tempo. Però bisogna insistere. La carenza di personale specializzato è uno dei fili più tenaci che bisogna recidere per riprendere lo sviluppo. In questi giorni ho avuto sottomano una statistica che dovrebbe farci riflettere tutti. Nel 1975 gli Stati Uniti potevano contare su 540 mila ingegneri e tecnici; il Giappone su 400 mila; la Germania Occidentale su 104 mila; la Francia su 66 mila; l'Italia soltanto su 38 mila. Da allora la situazione non è molto cambiata. Se gli Stati Uniti non sono comparabili, perché hanno la dimensione di un continente, lo sono certamente Giappone, Germania e Francia. Noi, invece, abbiamo un esercito sterminato di laureati in materie umanistiche che si presentano poi a decine di migliaia per tre posti da portalettere-. Suggerisca un rimedio per correggere questa situazione! •Pagare meno i dipendenti pubblici! Finché lo Stato accoglie tutte le richieste e continua a pagare i dipendenti pubblici più dei privati, c'è ben poco da fare; la gente preferirà sempre la scrivania di un ufficio pubblico. In tutto il mondo i dipendenti pubblici, godendo di stabilità dell'impiego, sono retribuiti, proporzionalmente, meno dei priva- Sergio Devecchi

Persone citate: Sergio Devecchi, Walter Mandelli

Luoghi citati: Francia, Germania, Germania Occidentale, Giappone, Italia, Stati Uniti