Esercito, la rivincita dei tecnocrati di Livio Zanotti

Esercito, la rivincita dei tecnocrati INCHIESTA SULLE FORZE ARMATE DOPO LA SCOSSA DELLO SCANDALO P2 Esercito, la rivincita dei tecnocrati ROMA — Per il generale, la questione di fondo sta tutta nel carisma e i nuovi capi di Stato Maggiore dovrebbero tenerne conto. Se non se ne possiede e si vuol tuttavia comandare, allora si è già con un piede in qualche P2. Lo dichiara perentorio, però a bassa voce. Perché qui al Circolo delle Forze Armate Italia, sotto le volte baròcche di Palazzo Barberini, sulla salita di Quattro Fontane, lo stile dev'essere riservato, sommesso; gli arredi, il lento via vai degli ufficiali, soltanto pochi dei quali in divisa, fanno sembrare lontano il groviglio affannoso del traffico appena oltre il giardino e i i .ti celli. Ma c'è un secondo perché, più importante del primo, cui accenna lo stesso generale, guardandosi attorno altero e diffidente: «Siamo circondati dai "tecnocrati", ormai...*. I quali, secondo la sua rigida accezione, sono «politicastri, mercanti di favori e d'altro». Specialista di artiglierie, lombardo di buona famiglia cittadina, da qualche anno nella riserva, il generale è tanto sobrio nell'aspetto quanto severo nel giudizio su certi suoi compagni d'arme «carrieristU. Allusivo, punta lo sguardo sullo stemma gentilizio degli antichi padroni di casa e sentenzia con Pasquino: «Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini: Sotterranea ma robusta, non è di oggi, nelle nostre Forze Armate, la polemica tra, i «tradizionalisti., che raccolgono la maggioranza degli ufficiali anziani, e i «modernisti». Lo scandalo innescato dalla loggia massonica di Lido Gelli ha offerto ai primi, adesso, un argomento in più. -A ben vedere, di coloro i quali parlano di "azienda forze armate" e di un club di managers preparati a gestirla, negli elenchi di Gelli se ne possono trovare parecchi», dice un colonnello. E il nome dell'ammiraglio Torrisi ricorre nei suoi discorsi cosi come in quelli del generale. Tra i 30 mila ufficiali delle forze e dei corpi armati, 400 dei quali con i gradi di generale o d'ammiraglio, quelli che parlano il linguaggio dell'ammodernamento rappresentano una tendenza sempre più marcata. Considerano anacronistiche la concezione «eroica» del soldato, l'esaltazione di tutti o quasi i valori del vecchio militarismo «ancien regime», resi obsoleti dalla fine dell'immobilismo sociale degli Anni Cinquanta. Dall'interno delle caserme dicono basta allo «splendido isolamento» e lanciano di continuo ponti levatoi verso la società, civile. Figli, assai frequentemente, della piccola e media borghesia urbana soprattutto meridionale, indossano la divisa per sfuggire ai rischi crescenti della proletarizzazione: politicamente eterogenei, condividono la scelta di cavalcare il nobile destriero della meritocrazia per andare ad assaltare il castello della «tradizione», nelle cui mura è arroccata la «casta». Criticano e non poco il mondo politico, come gli altri, ma diversamente da quelli non ne disdegnano la conoscenza, indispensabile per venire a loro volta riconosciuti e arrivare, eventualmente, al patteggiamento. «Per noi militari la carriera è importante, certo: ma lo è soltanto per noi? , mi interroga un capitano medico, mentre passeggiamo attorno alla cittadella della Cecchignola, poco dopo l'ora di libera uscita. Lavorando nella Sanità all'ufficiale è capitato dì stare accanto al generale Favuzzi, uno dei presunti adepti di Gelli, e di diventargli amico. Ma il capitano si dichiara subito «agnostico», rispetto alle diatribe interne. Non fino al punto, però, di trattenere qualche risentimento verso i «tradizionalisti», che chiama «conservatori e paternalisti». Anzi, avverte: «Ha letto la Storia dell'esercito italiano di Whittam? Ecco, io penserei a quell'ufficiale del rude e disciplinato Piemonte sabaudo che a cinquant'anni, comandante di reggimento, si gloriava di non aver mai neanche guardato un libro che non fosse di arte militare. E se questo è un ricordo troppo lontano nel tempo, allora penserei al maresciallo De Bono, sì, il quadrumviro, che arrivato allo Stato Maggiore fece togliere dalla biblioteca della sala riunioni le copie della Nuova Antologia e di Minerva, perché secondo lui la Rivista Militare era più che sufficiente». Può sembrare di assistere a scaramucce da accademia, a duelli di fioretto con appena, qua e là. qualche pesante sciabolata. Ma non è cosi. Tra carisma e professionalità, tradizione e ammodernamento, gli accenni alla carriera toccano il punto cruciale nella vita dei militari. Da questo bisogna partire per comprenderne alcune vicende. «Il caso Trecca per essere un caso limite è esemplare», esordisce un comandante di marina, esponente delle Rappresentanze militari, l'organismo parasindacale istituito per legge nel novembre 1979, che per la sorda opposizione di molta parte della dirigenza militare stenta a sviluppare la propria attività. «Lo hanno nominato capitano di fregata senza che si sappia neppure se ha fatto il servizio militare. Per dargli un grado che richiede quasi trent'anni di servizio, hanno scomodato la famosa legge Marconi, creata per premiare lo scienziato e utilizzata poi per poche altre persone illustri, come l'ex presidente Cossiga. Non c'era bi sogno di leggere il nome di Trecca negli elenchi della P2 per restare scandalizzati dice. E' ancora un personaggio coinvolto nell'organizzazione del «venerabile Maestro» Gelli il protagonista dell'altro caso citato dal comandante «Questa volta siamo tra noi- premette. L'ammiraglio Geraci, responsabile fino a qualche settimana addietro dei servizi segreti della Marina, viene promosso nel 1977. tra i primi del suo corso. «Lo strano sta nel modo. Pensi che un mio conoscente, più anziano e non meno meritevole di Geraci, ricevette persino le congratulazioni di un membro della commissione di avanzamento che esaminava le candidature di entrambi. Era fatta. Invece durante la notte la commissione cambiò parere, mise da parte il mio conoscente e promosse Geraci». «Se vuoi correre di più, met¬ ti un Gelli nel motore», ha esclamato in Parlamento l'on. Falco Accame, socialista, ex comandante d'incrociatori. Il nome del massone aretinosudamericano tuttavia non spiega tutto. Spulciando tra i militari che figurano iscritti alla P2. cosi come andando più indietro, dentro storie passate anche se non lontanissime e mai del tutto chiarite, c'è un filo che lungo l'intero labirinto non s'interrompe mai: è quello ben solido, anche se non sempre alla vista, delle commesse di armi, grandi e piccole. Livio Zanotti

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