Mao giovane che pensieri di Renata Pisu

Mao giovane che pensieri FINORA TENUTI SEGRETI Mao giovane che pensieri Qualcosa di buono Hua Guofeng l'ha fatto. Lui, l'erede di Mao oggi sconfessato perché pare che non fosse vero che il Presidente prima di morire gli avesse detto «Se ci sei tu al governo posso stare tranquillo», nel 1979 ha preso un'iniziativa coraggiosa. Ha concesso a uno studioso italiano residente a Shanghai, Giorgio Mantici, le fotocopie degli originali della Rivista del Fiume Xiang, una pubblicazione degli studenti della provincia dello Hunan, fondata, diretta e in gran parte scritta da un giovane di nome Mao Tse-tung nel 1919, cioè prima che questo giovane diventasse marxista, quando le sue idee erano un mosaico di concetti e di influssi occidentali e cinesi, quando, come egli stesso raccontò a Edgar Snow nel 1936, nella sua testa c'era «uno strano miscuglio di riformismo democratico, di liberalismo e di socialismo utopico». In Occidente si sapeva di questa Rivista del Fiume Xiang, ma nessuno l'aveva mai vista e anche in Cina dopo l'avvento del regime comunista era tenuta nascosta nelle biblioteche, a disposizione soltanto di studiosi qualificati e di sicura osservanza marx-leninista. Quegli articoli di Mao brevi, impulsivi, caotici, non in linea con la linea che sarebbe stata poi stabilita (ma come si fa a essere in linea prima della linea?) erano fonte di grave imbarazzo. Ma se la Rivista del Fiume Xiang ha potuto per anni rimanere incognita in quanto era una pubblicazione provinciale e in tutto ne erano usciti soltanto quattro numeri, la rivista pubblicata invece a Pechino suppergiù nella stessa epoca. Gioventù Nuova, è sempre stata disponibile in edizione originale, fotocopie o reprint, sia in Cina sia all'estero. Così, se Hua Guofeng non avesse concesso a Giorgio Mantici di pubblicare questi scritti mon dialmente inediti, appena apparsi presso gli Editori Riuniti con il titolo Pensieri del fiume Xiang (pag. 250, lire 6800), molti avrebbero continuato a credere che Mao, prima di di ventare marxista, fosse stato un culturista, un maestro di gin(Ustica, Infatti il suo unico scritto del periodo pre-marxista mondialmente noto fu pubblicato nel 1917 da Gioventù Nuova ed era intitolato: «Uno studio sull'educazione fisica». Vi si leggeva: «In tutte le cose bisogna avere perseveranza, anche nell'esercizio fisico. Supponiamo che vi siano due uomini che fanno ginnastica: uno di tanto in tanto smette, l'altro non smette mai. Certamente vi sarà una differenza nei risultati ottenuti... L'esercizio deve essere rude selvaggio... Per fare progressi nell'educazione fisica bisogna essere selvaggi, soltanto così si avrà gran vigore, ossa e muscoli forti... ». Non era uno scritto molto «progressista» rispetto a quanto altri cinesi andavano pubblicando nello stesso periodo, ma anticonvenzionale sì, in quanto il giovane Mao esaltava audacia e rudezza, valori che l'etica confuciana aveva sempre tenuti in scarso conto. Altro del Mao pre-marxista (non erano noti fino a oggi suoi scritti anteriori al 1923, tranne appunto questo sull'educazione fisica) non si sapeva. La pubblicazione di questo libro apre nuove prospettive, nuove possibilità d'indagine sul dibattuto problema delle radici della rivoluzione cinese. Esiste una tradizione rivoluzionaria cinese moderna che non sia filiazione del marxismo o, meglio, del leninismo, considerato il ponte di obbligato percorso del pensiero di Marx per passare dall'Europa in Asia? n i e o , e e . n , r Per Isaac Deutscher il comunismo cinese, mancando di precedenti indigeni, deriva direttamente dal bolscevismo e Mao poggia direttamente sulle spalle di Lenin. Per Jerome Ch'en la tesi non e fondata, è eurocentrica, al solito. Questo studioso cinese naturalizzato cittadino britannico, che insegna all'Università di Leeds, sostiene che per comprendere i temi ricorrenti del comunismo cinese nella formulazione/che ne è stata fatta principalmente da Mao è necessario studiare le tradizioni culturali particolari, addirittura «separatistiche», della provincia dello Hunan (quella che ha dato i natali a Mao, quella dove Mao ha pubblicato nel 1919 la Rivista del Fiume Xiang). Già alla fine del secolo scorso la classe colta dello Hunan si dedicava a studi politici-economici assai avanzati, in contrasto con lo scolasticismo dominante nel resto del Paese; già sosteneva la necessità di una completa e rivoluzionaria modernizzazione della società da attuare, per esempio, anche con l'emancipazione dell'«altra metà del cielo», le donne. Nella Rivista del Fiume Xiang Mao, che firmava i suoi articoli con il solo nome, Tsetung (Mao è il cognome che in cinese precede sempre il nome proprio), scriveva: «La testa degli uomini e delle donne è uguale, come pure è uguale il giro di vita di uomini e donne... Perché il giro di vita delle donne viene stretto dalla cintura di una gonna che struscia per terra? Io ritengo che le donne sono per loro natura innocenti e che le pettinature alle, le gonne lunghe fino a terra sono mezzi con cui gli uomini le tengono prigioniere. E poi ci sono i vari belletti per il viso che non sono altro che un marchio nero. I gioielli, che altro non sono che catene. I buchi nelle orecchie e la fasciatura dei piedi che altro non sono che terribili punizioni... Come possono sfuggire a questo tipo di oppressione dolorosa? Secondo me l'unico modo è organizzare l'esercito rivoluzionario delle donne». prsgE' una richiesta di emancipazione dell'individuo ancora più provocatoria in questo caso in cui l'individuo in questione è donna: ma l'importanza dell'emancipazione individuale come presupposto irrinunciabile di una società «giusta» e quindi «moderna» è una scoperta cruciale, come nota Mantici, nella formazione politica di Mao e di tutti i «modernizzatori» suoi contemporanei. Quanto c'è di marxista in questa scoperta? Assai poco, osiamo affermare, e non perché Marx fosse contrario all'emancipazione ma perché di Marx poco o niente si sapeva in Cina a quell'epoca. Lo dimostra il fatto che Li Ta-chao, uno dei fondatori del partito comunista cinese, in un famoso saggio pubblicato nel 1918 dalla rivista Gioventù Nuova inti tolato «La vittoria del bolsce vismo» spiegava che i bolscevichi erano «seguaci della dottri na di un socialista tedesco chiamato Carlo Marx». E che soltanto nel 1920 Mao lesse il Manifesto del partito comunista di Marx e Engels. Altre dottrine venute dall'Occidente avevano avuto maggior impatto in Cina, tra gli intellettuali insofferenti del vecchio ordine e desiderosi di cambiamento: l'anarchismo, il populismo soprattutto. Interpretazioni volte a rintracciare una matrice populista o anarchica nel pensiero di Mao nella rivoluzione cinese sono già state avanzate da politologi occidentali secondo i quali i comunisti cinesi sarebbero i portatori inconsci di idee e concetti comuni a tradizioni rivoluzionarie non marxiste. Ha rilevanza il fatto? Probabilmente sì, per i guardiani dell'ortodossia. Questo Mao pre-marxista che scrive sulla Rivista del Fiume Xiang è molto poco ortodosso. Per Giorgio Mantici anticipa le tesi esposte dall'ungherese Agnes Heller ne La teoria dei bisogni in Marx. E' quindi addirittura un Mao post-marxista, ovvero un antesignano del marxismo quale viene ripensato oggi. Ci si domanda se Hua Guofeng che a Mantici ha dato le preziose fotocopie degli originali della Rivista del Fiume Xiang queste cose le sapesse. Sapesse cioè che Mao, interpretato alla Heller, già distingueva nel 1919 tra «bisogni esistenziali», bisogni non alienati e qualitativi. Tutto può darsi. L'esegesi è un bel mestiere. Renata Pisu Mao visto da Levine (Copyright N.Y. Revìew of Books. Opera Mundi e pel l'Italia .La Stampa»)