A Sibari, dove nacque il piacere di Luciano Curino
A Sibari, dove nacque il piacere UNA CENTRALE TERMOELETTRICA SULLA FAVOLOSA OTTA' DELLA MAGNA GRECIA? A Sibari, dove nacque il piacere Vi sono tre zone archeologiche (il Parco del Cavallo, il Parco dei Tori, la Casa Bianca) ma non si scava da almeno quattro, cinque anni - Esauriti i fondi, si riesce appena a conservare i cantieri - Nuovi pericoli DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE SIBARI — Qui nacque il piacere. Sono duemilacinquecento anni che il gaudente è detto sibarita perché Sibari ha fama di essere stata la città delle dissolutezze. La sua esistenza fu splendida, gaia ma breve come quella della cicala, e questo sembra soddisfare arcigni moralisti. I resti della favolosa città, che fu la più ricca della Magna Grecia, sono cinque, sei metri sotto terra. Sopra crescono grano e girasoli, ulivi ed. eucalipti, pascolano pecore e bufale. Vi sono cantieri per scavi archeologici, però non si scava. Sibari fu fondata nell'VIII Secolo a.C. (nel 708 scrive Tucidide) da coloni greci, venuti dall'Acaia, tra i fiumi Crati e Coscile, che allora si chiamava Sybaris. Alle sue spalle si stendeva una piana fertile di frumento, uva, olive, legname e la pece delle grandi foreste che dall'altipiano della Sila scendevano fin presso la città. In breve tempo divenne grande e ricca. Aveva dieci chilometri di mura e, nel sua periodo più florido, trecento-' mila abitanti, imponeva il suo dominio a venticinque città. Potenza e ricchezza suscitarono invidie e gelosie, e i sibariti furono parecchio chiacchierati. Afferma Emanuele Greco nella sua bella guida archeo logica: «La floridezza di Sibari diventò nell'antichità un famoso luogo comune, cui si accompagnarono numerose leggende e storielle, nelle quali sono facili da scorgere la propaganda, spesso velenosa, dei suoi avversari, o le giustificazioni a posteriori della sua fine: tutto ciò secondo il tipico modello moralista antico, che prevede l'intervento punitore della divinità ogni qualvolta si commetta "hybris": violenza, qui intesa nel senso di oltraggio, di eccesso di smoderatezza». Secondo le leggende, i sibariti dormivano su petali di rose. Non sopportavano i rumori, sicché avevano bandito dalla città fabbri, falegnami chiunque faceva un lavoro frastornante. Tubature di argilla portavano vino dalla campagna in città. Al mattino le strade erano deserte, perché i sibariti passavano le notti in feste che terminavano all'alba, e la legge proibiva di tenere galli, che con il loro canto avrebbero sveglia¬ to troppo presto la gente. Queste e altre leggende, la fama che Sibari si porta die-, tro da millenni, sono in gran parte esagerazioni o malignità nate dall'invidia. In realtà, una delle poche testimonianze di Sibari non è affatto quella di una città crapulona. E' un ex voto di bronzo trovato dove era il tempio di Atena, si legge: «Kleombrotos figlio di Dexilawos, avendo vinto in Olimpia una gara con atleti pari per altezza e corporatura, dedicò questa edicola ad Atena, secondo il voto fatto di offrirle la decima dei premi ottenuti». Sibari visse soltanto due secoli, fu distrutta dalla vicina Crotone nel 510 a.C. Non soltanto per rivalità commerciale ci fu guerra. Ma anche, soprattutto, perché a Sibari il governo aristocratico era stato sconfitto da quello democratico. E Crotone era aristocratica. Afferma Greco: «A Crotone la spinta alla guerra, evento naturale tra due Stati confinanti, e per giunta pericolosamente potenti, fu data dalla forte influenza esercitata dalla dottrina aristocratica di Pitagora». Lo scontro avvenne sulle rive del Trionto, l'esercito crotoniate era comandato dall'atleta Milone, vincitore di sei Olimpiadi. E anche qui c'è una leggenda. Dice che i cavalli dei sibariti, più che alla battaglia, erano addestrati a danzare al suono di flauti. Di questo approfittarono i crotoniati: quando videro avanzare la cavalleria nemica, schierarono in prima linea una fanfara di pifferi che, suonando marcette, frenò la foga dei cavalli sibariti, che cominciarono a danzare graziosamente. Sbaragliati in battaglia, i sibariti resistettero nella città settanta giorni, e si arresero. Furono in gran parte uccisi (i superstiti ripararono nei paesi dell'interno) e la città fu rasa al suolo e, secondo Erodoto, i crotoniati deviarono il corso del Crati in modo che passasse sopra le rovine. E tutto questo ebbe poi una giustificazione: gli dei avevano punito la città dissoluta. Altre genti, attratte dalla fertilità della zona, vennero più tardi ad installarsi dove era stata Sibari: vi nacque nel 444 a.C. la colonia ateniese di Thurii e nel 194 quella romana di Copia. Ora Sibari, Thurii, Copia sono sepolte a diversa prò- fondita nella piana in vista dello Ionio, che lambiva quelle città, ma da allora è arretrato di due chilometri. La Sibari di oggi è un paesino, spostato rispetto alla sede originale e non copre alcun resto antico. Cinquant'anni fa lo studioso meridionale Zanotti Bianco individua la sede dell'antica Sibari, ma è soltanto negli Anni Sessanta che si riprende a scavare per risolvere uno dei più affascinanti misteri archeologici. Vi lavorano, dal 1962 al 1968. esperii della ••Fondazione LericU di Milano e della Pennsylvania University di Filadelfia. Oltre che da un mantello di argilla, Sibari è sommersa da una falda d'acqua; per scavare all'asciutto si ricorre a tubi collegati con una pompa aspirante, un sistema americano chiamato well-point. // 30 settembre 1969 l'annuncio ufficiale della scoperta di Sibari è dato dal ministro della Pubblica Istruzione Ferrari Aggradi e dal professor Fati, sovrintendente alle Antichità della Calabria. Sono stati trovati tratti di muro, l'angolo di una casa, coppe ioniche, ceramiche e altro, che fanno dire al so-, vrìntendente: «Non sembra dubbio che sono le prime, sicure testimonianze di Sibari ben visibili e soprattutto databili in una stretta e impressionante coerenza con i dati delle fonti antiche». Ma poi tutto è finito lì. Si è progettato di installare nella piana di Sibari un impianto petrolifero, degradando la zona archeologica a bolgiai industriale. Ci sono state grida di dolore di Italia Nostra, proteste un po' da tutti e polemiche, e si è rinunciato al dissennato progetto. Vi sono attualmente a Sibari tre aree archeologiche (il Parco del Cavallo, il Parco dei Tori, la Casa Bianca) ma, dice il direttore di Magna Grecia Tanìno De Santis, non si scava da almeno quattro, cinque anni. Esaurito lo stanziamento di un miliardo 200 milioni della Cassa del Mezzogiorno, la sovrintendenza riesce con difficoltà a racimolare piccole somme per la conservazione dei cantieri, per estirpare le erbacce e per mantenere in efficienza il well-point, altrimenti si allagherebbe tutto. Sotto terra a sei metri è l'arcaica Sibari, a quattro metri l'ellenica Thurii, a un metro e mezzo la romana Copia: restano sepolte con i loro misteri, tesori di cultura, leggende. Nessuna previsione di nuovi scavi, nessuno stanziamento di fondi. Peggio. Si programma di costruire da queste parti due centrali termoelettriche. «Mi stanno bene le centrali termoelettriche» dice Tanino De Santis. «C'è posto anche per gli insediamenti industriali, ma dove Dio comanda. Nessuno dice che le centrali termoelettriche non si debbano fare. Si facciano pure, ma non nella Sibaritide. sulle reliquie di una civiltà forse un po' più civile, o almeno più rispettosa, della nostra». Luciano Curino
Persone citate: Copia, De Santis, Emanuele Greco, Greco, Milone, Pitagora, Tanino De Santis, Zanotti Bianco
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