Le case della Pompei romana ricostruite in un maxi-mosaico di 18.000 fotografie di Bruno Ghibaudi

Le case della Pompei romana ricostruite in un maxi-mosaico di 18.000 fotografie Eccezionale mostra di documentazione sulla celebre città sepolta dalla lava del Vesuvio Le case della Pompei romana ricostruite in un maxi-mosaico di 18.000 fotografie La rassegna, inaugurata ieri, rimarrà aperta fino al trenta settembre - Raccoglie, ordinatamente e sistematicamente, le immagini fotografiche e pittoriche di oltre 2000 abitazioni e ville con ii supporto degli audiovisivi ROMA — Pompei, la città dal volto ancora velato di mistero, racconta asvetti finora inediti della sua storia, della sua vita e dei suoi costumi. E lo fa attraverso una singolare mostra («Pompei 1748-1980: i tempi della documentazione») inaugurata ieri nella Curia Senatus al Foro Romano (ingresso da via dei Fori Imperiali), e che rimarrà aperta al pubblico fino al 30 settembre. Subito dopo il materiale verrà trasferito a Pompei, dove rimarrà esposto per due mesi. Si tratta di una documentazione ricchissima di immagini fotografiche e pittoriche sulla decorazione (pitture parietali, pavimenti, soglie, modanature, cornici e oggetti mobili ancora in sito) delle case pompeiane, che fornisce un quadro abbastanza completo dell'arte e del gusto decorativo di questa città sepolta dalla lava nel79d.C. Fino ad oggi in 66 ettari di terreno ripulito sono emerse più di 2 mila case. Sebbene la maggior parte di esse contenesse vestigia artistiche di rilievo e comunque interessanti, i libri d'arte e le guide turistiche si soffermavano su un numero molto ristretto di reperti, mentre i visitatori avevano libertà d'accesso ad un numero di ambienti ancora più ridotto. Su questo binario di consuetudine avevano finito per scivolare anche molti studi del passato più o meno recente, con il risultato di acquisire una conoscenza notevolmente frammentaria: su certi aspetti di Pompei si sapeva quasi tutto fino al dettaglio, molti altri erano invece ancora ricoperti dal velo dell'ignoto. La mostra della Curia vuol raccontare agli appassionati che nella conoscenza di Pompei si stanno facendo grandi passi avanti. Il merito è in gran parte dovuto ad una do- cumentazione sistematica raccolta di recente e che in precedenza mancava. A dare il .via* alle operazioni è stata una serie di furti perpetrati nelle ville pompeiane alla fine di gennaio del 1977. I soliti ignoti avevano strappato dalle pareti di alcune case numerosi affreschi dei quali non esisteva alcuna documentazione fotografica o pittorica. In quell'occasione si scopri pure che tutta la documentazione d'archivio era insufficiente (ne mancava più del 60 per cento) e si decise di raccoglierne una adeguata, completa e improntata a criteri documentaristici nuovi, che sopperisse alle lacune del passato. L'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione predispose quindi un piano di rilevamento fotografico che consentisse di schedare e di censire pareti, pavimenti e oggetti in tutte le case accessibili di Pompei. Immediatamente approvato dall'Ufficio centrale per i beni ambientali, artistici, architettonici, archelogi, e storici, il programma è immediatamente avviato (marzo 1977). In quattro anni (è terminato nel novembre 1980, pochi giorni prima del terremoto che ha devastato l'Irpinia) ha consentito di raccogliere più di 18 mila fotografie in bianco e nero e a colori in tutta la zona archeologica di Pompei. Procedendo a tappeto, regione per regione, casa per casa, sono stati fotografati la superficie affrescata dell'intera parete, quindi (separatamente) le zone inferiore, mediana e su¬ pnidpF periore della stessa parete, poi numerosi particolari e infine il pavimento, con l'accortezza di mettere in risalto il rapporto fondamentale che esiste fra pavimento e parete. E' una documentazione innovatrice anche nel metodo. Fin dai primi scavi, quelli borbonici del 1748, gli scavatori avevano l'arbitrio di scegliere — e quindi di staccare dalle pareti — il materiale decorativo da mandare poi al Museo di Portici. Il loro interesse cadeva principalmente su quadri, figure isolate, vignette con paesaggi, nature morte e cosi via. Questo metodo ci ha fornito dettagli, senza però darci — se non in rarissimi casi — un'immagine d'insieme che ci consentisse di comprendere nel modo dovuto i rapporti volu¬ metrici e i canoni decorativi a cui gli architetti e i pittori pompeiani si ispiravano per creare l'atmosfera abitativa più idonea alla ricca società del tempo. Per documentare meglio il rapido e progressivo degrado delle pareti e delle pitture, gli ordinatori della mostra hanno raccolto alcuni esempi delle immagini (acquarelli, tempere, disegni a china e a matita fatti su carta velina, carta e cartone) realizzati dai pittori e dagli architetti al seguito delle prime équipes di archeologi impegnate negli scavi di Pompei, che erano conservati al Museo di Napoli (quelli schedati sono più di 1200). Dal loro confronto con le fotografie d'oggi è facile valutare in quale stato di conservazione (alcune pareti erano splendidamente conservate sotto la coltre di lapilli) si trovavano fra il 1750 e il 1870. Sono tavole molto belle, che meriterebbero da sole una visita perché a distanza di tanto tempo non hanno perso nulla della brillantezza di alcuni colori e della morbidezza di altri. Il loro valore non è però soltanto quello della bellezza autonoma o del confronto: in molti casi costituiscono l'unica documentazione di tesori d'arte ormai irrimediabilmente perduti. Nella sezione audiovisiva della mostra una serie di documentari sonori aiutano il visitatore a comprendere le opere e le tecniche dei vari artisti (mosaicisti, affrescatori, pittori murali). In alcune vetrine sono invece esposti gli strumenti originali emersi dagli scavi (compassi, pialle, squadre, polveri colorate, ecc.) usate per costruire e per decorare le case pompeiane. Varie fotografie aeree illustrano invece la situazione attuale degli scavi. Bruno Ghibaudi Roma. «La casa del cinghiale», una delle 18 mila foto esposte alla mostra «Pompei 1748-1980»