Cento fotografie che «danzano»
Cento fotografie che «danzano» In mostra a Venezia le immagini di 70 anni di balletti moderni Cento fotografie che «danzano» VENEZIA — Le cento immagini di balletto moderno esposte fino al 12 settembre a Palazzo Fortuny, a Venezìa, non intendono certo esaurire il tema proposto dal titolo della rassegna, «Fotografia e danza», ma sollecitano il visitatore a prendere atto — e ad approfondirla—dellacontraddizione feconda tra i due «poli» del problema. La danza, che è movimento, viene infatti rappresentata dalla fotografia, che produce immagini statiche. Sembra esserci una innaturalità di base, quindi, nella fotografia di danza, in quanto lo strumento fotografico sembrerebbe tra tutti il più inadeguato a cogliere il significato precipuo del soggetto: un corpo che «costruisce» mutevolissime armonie-. Ma, ed è questo il paradosso della fotografia, l'Immagine statica può rendere il movimento ancora meglio delle tecniche destinate, per loro stessa costituzione, a rappresentarlo, come il cinema. Di questa capacità della 'fotografia e dell'inesauribile! gahimà MI possibili interpretazioni ó)ei$jb$i'i mèrito sono esèmpio adeguato 1 sette autori scelti dal curatore della rassegna, Ziva Krause (la mostra è organizzata dall'assessorato alia Cultura del Comune di Venezia): Adolphc De Meyer, Barbara Morgan, Max Waldman, Marc Kaczmarek, James Klosty, Johan Elbers, Herbert Migdoll. I loro linguaggi sono diversissimi: chi lascia ai corpi il tempo d'impressionare sulla pellicola il gesto nel suo farsi (tecnica del mosso) e chi invece raggela l'attimo lasciando alla tensione dei muscoli, al dinamismo della posizione ' il compito di illustrare il divenire. Le immagini più «antiche» della mostra sono quelle del barone De Meyer che ritraggono il ballerino Nijinsky in «L'après midi d'un faune» nell'edizione londinese del 1912: la riduzione del fondale a mere macchie di luce indistinta conferisce ai danzatori la consistenza marmorea di un bassorilievo greco e Insieme la ieraticità di un affresco egizio. Viene poi Barbara Morgan, che dal 1935 al 1945 ha «studiato» l'evoluzione dello stile di Martha Oraham, dal candore immobile di «Primitive mystcrics» al tormento di «Lanièritatiòn», alla purezza di «Le.J-' terof.tlie worlà». ...jj wàldnian, con perizia consumata, ricostruisce In studio le scene dei balletti. La forma e la tecnica che scaturiscono da questo metodo sono perfet¬ te. Quella che manca abbastanza, però, è la danza. Anche Kaczmarek lavora in studio, e poi ancora molto in camera oscura, per raggiungere una rarefazione dell'atmosfera, un'eliminazione dei particolari superflui (anche la testa del ballerini, talvolta, gli appare tale) che trasforma il balletto in un gioco geometrico di triangoli intersecati. James Klosty, non credendo all'unione tra danza e fotografia, sceglie il linguaggio del documentario, applicato alla compagnia di Merce Kunningham. Johan Elbers ritrae il «gesto» a volte secco, a volte vorticoso, del danzatore, inserito ih uno spazio non facilmente identificabile, ma più simile a una vasta stanza che alla scena del teatro (superamento del concetto tradizionale di spazio scenico?). . Infine Migdoll, con le sue solarizzazioni, i trucchi esasperati, i movimenti dissolti in colori allucinati. Qui non ci sono più i ballerini, c'è solo la. danza. Come osserva dunque Carole Nagejar 'in un. saggio pubblicato ,nfU catalogo. '4icilc'"immagini>,della rassegna s'oqq incisi «frammenti di una storia del corpo scrìttt con la luce». >■ Gigi bevilacqua
Luoghi citati: Comune Di Venezia, Venezia
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