Richiede alla Francia le cattedrali ferite di Angelo Dragone

Richiede alla Francia le cattedrali ferite A TORINO I PROGETTI DI VIOLLET-LE-DUC, GRANDE E DISCUSSO RESTAURATORE DELL'800 Richiede alla Francia le cattedrali ferite TORINO — Ancora tra le due guerre il nome di Violletle-Duc (1814-1879) era usato — in fondo forzando lo spirito dei suoi fantasticati restauri architettonici — per indicare in senso negativo qualsiasi edificio fosse stato sottoposto al più spinto rifacimento. Oggi si sente ripetere invece sempre più spesso: • Violletle-Duc aveva ragione*. La sua rivalutazione, in verità, data da una quindicina d'anni, da quando, con la ripubblicazione, e quindi lo studio, degli scritti di questo straordinario reinventore di monumenti antichi, la Francia lo ricuperava, valorizzandolo al massimo sul doppio binario della cultura e del sempre forte suo nazionalismo. Il Gotico nacque in Francia. Il Neogotico, fin dalla prima metà del Settecento, s'era sviluppato invece in Inghilterra sotto la spinta del preromanticismo tedesco. E come espressione dello spirito germanico era stato considerato, finché appunto sotto la voce Style nel suo Dizionario ragionato dell'architettura francese il Viollet-le-Duc ne aveva rivendicato il primato francese. L'anno scorso Parigi gli dedicò cosi un'ampia esposizione al Grand Palais e, contemporaneamente, una più piccola, ma assai fine, alla Ecole des Beaux Arts su «Le voyage d'Italie d'Eugène Viollet-le-Duc, 1836-37», dove emergevano le qualità d'eccezione di questo architetto senza pari, ch'era stato insieme ingegnere e disegnatore stupendo, progettista di mobili come di edifici, scrittore e cesellatore, legando in maniera del tutto singolare il suo nome alla cultura architettonica francese: a Vézelay, dove per la prima volta, ventiseienne appena, aveva sperimentato il suo tipo di intervento, come a Notre Dame di Parigi, che costituì la sua impresa più prestigiosa, da Beaune, Amiens e Saint Denis (dov'è quello che è con- siderato il primo edificio gotico) a Saint Antonin, Autun e all'incomparabile lavoro ch'ebbe come cantiere l'intera cittadella medioevale di Carcassonne; il suo più vasto e significativo, forse, con quello di Pierrefonds, cui per altri versi può aggiungersi la decorazione del treno imperiale. Questi stessi esempi sono ora offerti come «significative campionature» dalla mostra «Viollet-le-Duc e il restauro degli edifici in Francia» che è stata inaugurata ieri a Torino, al primo piano della Mole Antonelliana, per iniziativa dell'Assessorato comunale per la cultura, ordinata dal prof. Bruno Foucart dell'Università di Nanterre, a Parigi, e realizzata, a cura di Daniela Rissole e Carlo Viano. Con i suoi cinquantasei disegni originali e la settantina di documenti fotografici antichi e recenti — usciti, in talu ni casi per la prima volta, dal a l Centre de Recherches des Monuments Historiques e dalla Direction du Patrimoine, di Parigi — è una esposizione che tra l'altro varrà pure a dare una prospettiva europea all'opera di Alfredo d'Andrade cui in questo stesso periodo Torino ha dedicato in Palazzo Reale e in Palazzo Madama la più ampia rassegna. Anche l'italo-portoghese d'Andrade (che amava proclamarsi «lusitano di nascita, italiano de core») aveva di 11 a poco intuito l'esigenza d'una tutela e d'un restauro dei monumenti dell'antico medioevo, in una visione storica-e positivistica in cui, al di là del romanticismo letterario ch'era nel gusto dell'epoca, guardava già al manufatto, studiato e inventariato in ogni suo particolare, cosi da poter fare della stessa ideale ricostruzione del Borgo e del Castello medioevali, sulle rive del Po, come s'era detto fin da allora «un dizionario del genere di quello che Violtet-le-Duc ave¬ va compilato per l'Arte francese del Medioevo». Nato a Parigi nel gennaio del 1814, figlio di Eugène Delécluz e di Emmanuel — funzionario, poi governatore, delle Tuileries, ma anche raffinato bibliofilo — Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc vi crebbe tra la migliore società in un ambiente romantico, appassionato di archeologia; basti dire come il salotto materno e la casa dello zio, il critico Etienne Delécluz, già allievo di David, fossero frequentati da intellettuali della statura di Stendhal, SainteBeuve, Mérimée. Da quest'ultimo era stato introdotto presso Napoleone III. Precocissimo (la sua prima costruzione è del 1827) si assi curò un posto nella storia del restauro architettonico fin dal 1840, quando, appena ven tiseienne, dal Mérimée gli. venne affidato il restauro della chiesa della Madeleine a Vézelay, una delle più belle chiese romaniche di Francia, che sembrava praticamente condannata alla rovina. Una delle maggiori imprese di Viollet-le-Duc resta NotreDame di Parigi, sotto molti aspetti esemplare. Col suo collaboratore Lassus, Violletle-Duc s'era opposto all'idea di un completamento dell'edificio con le guglie inizialmente previste per le due torri della facciata, ma mai realizzate. Diverso parve loro il caso della guglia posta sulla crociera ch'era andata distrutta nel 1792 e la cui base ancora si vedeva nel 1844. Venne allestito un progetto che si ispirava alla guglia originale come appariva in un disegno del Garneray, ma incerto sulla fedeltà di questo il Lassus che nel '44 era favorevole alla realizzazione mostrò in seguito qualche perplessità. Soltanto dopo la sua morte, il Viollet-le-Duc decise cosi di procedere alla sua costruzione, discostandosi dal disegno del Garneray, con l'aggiunta delle statue degli apostoli e di se stesso, in rame sbalzato, ad opera di Geof froy-Dechaume. Fu questo stesso scultore a dirigere l'equipe che realizzò le più di settanta grandi statue destinate a sostituire gli originali della galleria dei re e quelli degli altri andati distrutti nella Rivoluzione. Il restauro, che scandalizzò i puristi dell'inzio del nostro secolo, oggi torna a essere apprezzato, anche come documento della sensibilità con la quale nel secolo scorso si seppe guardare alla scultura medioevale. Al di là della salvezza dell'edificio, Viollet-le-Duc tendeva insomma a restituirgli il suo ruolo visivo. Ed è il discorso che potrebbe ripetersi per ogni altro suo intervento da Amiens a Carcassonne, a Pierrefonds. Nessuno seppe come lui intendere l'antica architettura gotica; a tal punto da mostrar quasi di possederne l'essenza, e di saperla veramente usare come lingua parlata. Angelo Dragone Lucjane Wyganowski e Maurice Ouradou da Viollet-le-Duc: «Il castello di Pierrefonds» (1866)

Persone citate: Alfredo D'andrade, Andrade, Bruno Foucart, Carlo Viano, Daniela Rissole, Maurice Ouradou, Napoleone Iii, Style