Cortés conquistatore santo o sanguinario? di Francesco Rosso

Cortés conquistatore santo o sanguinario? TRADOTTO IL LIBRO DI DE MADARIAGA Cortés conquistatore santo o sanguinario? La pubblicazione di questo volume di Salvador Royo de Madariaga su Hernàn Cortes, o Fernando Cortez come scriviamo noi, quarant'anni dopo l'edizione inglese, potrebbe far pensare: «Una biografia in più in un settore librario che tira». E' necessario chiarire subito che l'opera di De Madariaga esce dal consueto schema della biografia più o meno romanzata, il personaggio e gli eventi trattati hanno in sé tanta tragica potenza che basterebbe la spoglia cronaca di un soldato di ventura quale fu Bernal del Diaz, che narra in prima persona la Conquista del Messico, per rendere superfluo ogni altro arricchimento. Infatti, De Madariaga cura poco i dettagli di un avvenimento che ha sconvolto il mondo, prima di lui troppi avevano già affrontato il tema della Conquista più per stupire i lettori che per tentare un'interpretazione umana della straordinaria impresa. Salvador de Madariaga, per la sua posizione ideologica liberal-nazionalista, cerca dall'interno la chiave del successo di Cortez che, con cinquecento soldati spagnoli, tredici cavalli, sei cannoni, si trova costretto, è il termine adeguato, a conquistare un impero più vasto e potente dell'Egitto faraonico, paragonabile a quello persiano di Ciro il Grande, e all'Impero romano. Di Fernando Cortez sapevamo già tutto, Montezuma e gli altri monarchi aztechi sono ormai personaggi hollivudiani, come i loro dei, che esigevano il sacrificio di cuori palpitanti strappati dai peto di vittime giovani. L'avventura di Cortez è sempre stata narrata in chiave antispagnola, basata sulla narrazione del pio monaco Bartolomé de Las Casas impegnato con ardente zelo cristiano nella difesa degli indios. Innegabilmente la Conquista generò avidità, ferocia, distruzioni, falcidiò milioni di indios marchiati a fuoco come bestiame, e mandati a morire schiavi nelle miniere d'oro e d'argento; fu l'altissimo prezzo umano pagato dal Nuovo Mondo per affacciarsi a questo nostro mondo antico, ma De Madariaga, nella sua ponderosa opera Cortes (ed. Dall'Oglio, pag. 491, lire 20.000) è dell'opinione che tale prezzo, per quanto altissimo, doveva essere pagato. Circola in tutto il volume lo spirito della hispanidad che, secondo l'opinione di De Madariaga, ha «dilatato ed arricchito il mondo intero». La cronaca dettagliata degli avvenimenti è quasi sacrificata per lasciar spazio all'interpretazione dei personaggi, allo scandaglio della loro psicologia. Erano avventurieri, ma superuomini che andavano con fatalistica determinazione a portare una civiltà là dove pensavano di trovare soltanto barbarie. ★ ★ «Le sue truppe (di Cortez) erano l'avanguardia della grande avanzata europea verso la conoscenza dell'uomo e del pianeta, i veri apostoli del Rinascimento», scrive De Madariaga in una delle sue pagine ispirate ad una concezione del Cristianesimo quale cemento di una universalità del mondo conquistato e pacificato dalla Spagna. Erano anche i precursori del futuro colonialismo europeo. Su questo l'autore non ha esitazioni, né si sofferma a meditare che Cortez, ma soprattutto coloro che lo seguirono, abbiano distrutto una civiltà che adorava idoli sanguinari, era cannibale, e tuttavia doveva essere preservata. In un primo tempo Cortez ebbe la folgorazione di questa verità, ma fu di breve durata. Allorché, scalate le vette impervie e dopo avere scannato oltre tremila indios a Cholula, la città dai 365 templi, uno per ogni giorno dell'anno azteco, si affacciò sull'altopiano dove, fra lagune ben drenate, dall'acqua limpidissima, sorgeva Technotidan, 0 Messico, circondata da altre città splendidissime, Cortez ed 1 suoi uomini rimasero senza respiro; mai avevano ammirato al mondo nulla di più sontuoso, neppure le città da cui provenivano, Siviglia, Cordova, Granada, né Roma l'eterna, reggevano al paragone con quel mondo di sogno dominato da un imperatore che si chiamava Montezuma, immerso in uno sfarzo che diremmo orientale, circondato da una corte fastosa. Montezuma sapeva che Cortez avrebbe ucciso lui e distrutto il suo impero perché, all'inizio, era convinto che egli fosse la reincarnazione di Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, il dio dei nembi e delle tempeste, ed aveva fatto ogni sforzo, coprendolo d'oro e gemme, eppoi scatenandogli contro gli imperi a lui alleati per tenerlo lontano da Messico; ma quando si rese conto che nulla poteva contro quell'uomo di pelle bianca, accettò quasi rassegnato il suo destino, si lasciò catturare senza opporre resistenza, anzi, andò ospite più che prigioniero di Cortez. ★ * Gli aztechi furono sconfitti, sostiene De Madariaga, non per la superiorità delle armi di Cortez, ma perché la «loro fede soccombette ad una fede più salda». Che tale fede abbia poi indotto Cortez, ma più ancora coloro che gli succedettero, ad annientare ciò che quella splendida civiltà aveva prodotto, gioielleria soprattutto, diventa trascurabile per De Madariaga. «Non potevano pensare ai nostri musei», risponde con sufficienza a coloro che non accettano la grandezza di Cortez, il solo che per lui fu l'incarnazione di tutte le virtù ispaniche. Parlando di Cristoforo Colombo lo definisce «un visionario, genovese di adozione, di origine ispano-ebrea, che aveva più sognato che scoperto il Nuovo Mondo». Opinione ancor più negativa aveva per Amerigo Vespucci, «l'astuto fiorentino» il quale, conoscendo il valore della pubblicità, la maneggiò «con tanta arte da dare il suo nome al Nuovo Continente senza affatto meritarlo». A suo giudizio, Cortez fu più grande di Alessandro, di Cesare e di Annibale, il solo condottiero che al valore nelle armi seppe unire grande sapienza amministrativa. Allorché, domata una ribellione di suoi soldati a Vera Cruz, per spegnere ogni desiderio di ritorno fece distruggere le navi, prese una decisione ben più fatale del passaggio del Rubicone. «Cesare — dice De Madariaga — marciava contro Roma, che gli era familiare; Cortez avanzava in un mondo ignoto, ostile, di cui aveva intuito solo la ricchezza favolosa». Si può dissentire dall'esaltato nazionalismo, dall'orgoglio¬ sa ispanità con cui De Madariaga rivaluta la Conquista, ma leggendo quest'opera che ci giunge così tardivamente nella limpida traduzione dall'inglese di Francesco Tentori Montalto, si deve tener conto del momento in cui fu scritta, quando il Messico rinnegava Cristianesimo ed hispanidad e rivalutava le proprie origini indo-az teche. Come accadde a Colombo, anche Cortez concluse oscuramente i suoi giorni. Volle esser sepolto a Cuernavaca, la città prediletta, ma quattro secoli dopo le sue ceneri dovettero essere nascoste per salvarle dalla profanazione, la casa in cui abitò, fu «imbrattata da un pittore» (Diego Rivera) con scene di stragi e torture provocate dalla Conquista, e fu eretto un monumento a Guatimozino, l'eroe azteco impiccato da Cortez. Da noi il libro appare in un momento in cui quasi tutta l'America Latina è nuovamente sconvolta dalle pesanti eredità lasciate dalla Conquista spagnola. - Francesco Rosso Cortes e i soldati spagnoli all'attacco presso la città di nascala (dalle immagini di «Lienzo de Tlaxcala», British Museum)