II rasoio sullo Stato assistenziale di Mario Pirani

II rasoio sullo Stato assistenziale SCUOTE WASHINGTON LA TEMPESTA ECONOMICA DI REAGAN II rasoio sullo Stato assistenziale Lo impugna George Gilder, consigliere della Casa Bianca e profeta deir«economia dell'offerta» - Obiettivo: bloccare l'inflazione e rilanciare la produttività riducendo al minimo gli interventi pubblici - Afferma l'economista di sinistra Bowles: «Il Presidente è il primo leader di destra a promettere uno sviluppo senza sacrifici, ma la sua politica si rivelerà iUusoiia» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE NEW YORK — Sulla New York Review of books dell'I 1 giugno la caricatura di Levine è dedicata a George Gilder, il profeta della supply-side economics ('economia dell'offerta*) il quale, munito di un affilato rasoio, si appresta a tagliare la torta del Welfare State. Autore di un libro intitolato Ricchezza e povertà, definito dal segretario al Bilancio, David Stockman, /'«opera di un Prometeo», Gilder passa due giorni alla settimana a Washington come consulente della Casa Bianca e due a New York dove insegna all'Università, dirìge un centro di ricerche e anima i seguaci del nuovo vangelo economico della, amministraaione Reagan, insieme con Arthur Leffer, propugnatore della tesi dell'alleggerimento fiscale per rilanciare gli investimenti, a Murray Weidenbaum, consigliere personale del Presidente, allo stesso ministro del Bilancio. 1 partigiani dell'«economia dell'offerta* non vanno confusi con i monetaristi della scuola di Chicago, capeggiati da Milton Friedman. Anche se ambedue i gruppi contribuiscono alla formulazione della politica economica di Reagan, questi ultimi si limitano a rivendicare la applicazione della formula classica secondo cui il dominio dell'inflazione passa attraverso il restringimento e il controllo costante della massa monetaria. L'influenza del loro pensiero si riflette nella politica di restrizioni e di alti tassi monetari ispirata dalla Banca centrale, la Federai Reserve Board (Fed). La linea recessiva dei monetaristi, se prolungata nel tempo, appare destinata a scontrarsi con le ambizioni di un rapido sviluppo economico contenute nelle ricette dei sostenitori della supply-side economics- le cui idee, come scrive nell'articolo, illustrato da Levine, Robert L. Heilbroner sembrano «aver travolto Washington in una tempesta». «Dobbiamo ammettere che l'economia dell'offerta ha conquistato una grande vittoria politica e culturale. Dal punto di vista culturale essa coglie come il problema della produttività sia un problema reale, che non può essere risolto né con una politica recessiva né con l'espansione della domanda perseguita dai keyneliani. Dal punto di vista politico il successo, che ispira la linea di Reagan, si basa sulla speranza di una diffusa ristrutturazione produttiva, accompagnata dalla promessa di un blocco dell'inflazione e di un rilancio quasi immediato della crescita, senza pagare i costi di una contrazione economica. Naturalmente siamo in molti a non condividere un simile ottimismo, ma non possiamo negare che questa chiave ha permesso a Reagan di apparire come il primo leader di destra capace di promettere una politica di sviluppo senza sacrifici». Questa franca ammissione ci viene fatta, nel corso di una intervista, da uno dei più acuti critici della supply-side economics, il professor Samuel Bowles, del dipartimento di Economia della Università del Massachusetts, dove metà degli insegnanti, sia pure con sfumature diverse, si richiama al pensiero marxista. E'questo un fenomeno di recente diffusione negli ambienti economici accademici (■«Quand'ero studente, ci dirà Bowles, i professori marxisti erano due in tutti gli Stati Uniti, ma oggi superano il centinaio.;. Bowles stesso, autore di numerose opere e saggi, di cui uno recente scrìtto assieme a Herbert Gintis è uscito anche in Italia sull'ultimo numero di Stato e mercato, ci ha così esemplificato la sua posizione: «Se fossi in Italia sarei un ingraiano, mentre in Francia mi collocherei nella sinistra socialista». Il suo nome, peraltro, è noto anche per ragioni di famiglia: il padre, l'ambasciatore Bowles, formò assieme a Kennan, Dean Acheson e George Ball la pattuglia più qualificata della diplomazia kennedyana di orìgine rooseveltiana. Per Samuel Bowles la supply-side economics si rivelerà nel tempo illusoria, la speranza di un blocco dell'inflazione e di un rilancio produttivo e occupazionale, conseguibile riducendo al minimo l'intervento statale nell'economia, tagliando drasticamente la spesa pubblica nel campo assistenziale (Welfare State), diminuendo il peso fiscale su persone e società, libererà solo in modo marginale mezzi destinati agli investimenti. I grandi nodi strutturali della crisi automobilistica, dell'energia, della siderurgia, della concorrenza del- l'elettronica giapponese, non potranno essere affrontati senza intervento statale. Inoltre il peso moltiplicato delle spese militari avrà gravi conseguenze monetarie. «Reagan, afferma Bowles, è paradossalmente vicino a Keynes. n suo però è un keynesismo militare che s'immagina possibilità di crescita suscitando un'offerta economica attraverso un meccanismo destinato a funzionare in modo distorto. Se verrà attuata la teoria della supply-side favorirà un aumento dei profitti e del tasso di sviluppo ma provocherà anche un'altra grande ondata inflazionistica e alla fine si rivelerà una classica manovra di spreco economico e perderà i favori di cui oggi gode». Eaquelpunto? «A quel punto si tornerà al monetarismo e alle posizioni conservatrici classiche che si scontreranno con quella che è chiamata la scuola corporatista che fa capo agli economisti della Trilateral, agli ambienti finanziari e bancari legati a Rockfeller, alla rivista Business Week. che sostengono la necessità di un intervento pubblico programmato e del consenso sociale per superare la attuale crisi del capitalismo». Non pensa, chiediamo, che la vittoria di Reagan e il suo programma segnino una si'olta storica: la grande rivincita dei conservatori americani contro Roosevelt, il New Deal e la sua eredità che era finora restata intatta anche quando vi erano state presidenze repubblicane? «Certo. Questa è la fine del New Deal, del programma keynesiano di Welfare State e di ogni strategia basata su quel programma. Negli Anni 30 esso consenti la pace sociale attraverso un compromesso che comprendeva, però, gruppi limitati: i sindacati da un lato e quei settori del capitalismo che sfociarono, poi. nelle multinazionali. Negli Anni 60 il compromesso sociale rooseveltiano, sotto la spinta di grandi movimenti di lotta, fu allargato ai neri, alle minoranze razziali, ai poveri, ai giovani, alle donne. A questo punto sia i gruppi capitalistici di destra, esclusi fin dai tempi di Roosevelt dall'accordo, sia altri che ne avevano condiviso l'impostazione si accorsero che il compromesso era diventato troppo costoso e presero una posizione molto dura che. fallita ai tempi di Goldwater, è diventata maggioritaria con Reagan. Carter e gli uomini della Trilatera'! che assunsero una linea filosindacale e di difesa del Welfare State furono seccamente sconfitti». Non giudica però anche che il Welfare State sia ormai insidiato dalle mutate condi- zioni internazionali (crisi petrolifera e monetaria, concorrenza giapponese) che hanno eroso i margini che ne consentivano l'applicazione? «Non credo. Si può dire, piuttosto, almeno per gli Stati Uniti, che vi sono due ipotesi. La prima che il Welfare * ; > State sia stato un grosso errore del capitalismo, la seconda che esso fosse il prezzo della pace sociale. Io sono convinto della seconda ipotesi. Va però tenuto conto che, con il declino del tasso di profitto negli Anni 60, le misure riformatrici del Welfare State hanno inciso profondamente sul meccanismo economico che consentiva prima al capitalismo di ricostituire i profitti attraverso un controllo pieno del mercato del lavoro. Durante i periodi depressivi, viceversa, i salari reali hanno continuato ad aumentare e la minaccia della disoccupazione non è stata più cosi forte, proprio grazie al Welfare State, da costituire un deterrente autocorrettivo dell'economia capitalistica. «Poiché lo sviluppo assunto dal Welfare State negli Anni 60 ha portato a un mercato del lavoro che non funziona più secondo le leggi del capitalismo, i gruppi che si sono riconosciuti in Reagan e che hanno inalberato anche temi ideali come il ritorno ai valori della famiglia, della morale individuale contrapposta al disordine pubblico, dell'etica del lavoro, sono riusciti a coagulare una grande maggioranza. Questa vittoria della destra è, peraltro, il risultato della incapacità della sinistra americana e del movimento operaio di presentare un valido modello alternativo per ridare al Paese una prospettiva di sviluppo, sia pure garantendo l'investimento privato ed il profitto». La supply-side economics sostiene, sia pure da classiche posizioni di destra, di rappresentare questa risposta alternativa. Una grande alleanza di forze sociali ha dimostrato di crederci. Vedremo abbastanza presto se i crìtici che ne denunciano la caducità avranno o no ragione e se la tesi del radical-liberal Robert Heilbroner secondo cui «la visione romantica del capitalismo impersonata da Guilder è speculare alle visioni rosee sul proletariato portate avanti dalle sinistre» pecchi di scetticismo intellettuale o rappresenti una realistica previsione. Mario Pirani George Gilder in una caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Review of Books. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa.)