Oltre le ingenerose polemiche di A. Galante Garrone

Oltre le ingenerose polemiche Oltre le ingenerose polemiche La politica dei giudici Politica e magistratura: è un tema antico che risale all'Ottocento, quando l'acuirsi delle lotte fra i partiti mise in discussione il problema dei rapporti tra il giudice e gli altri poteri dello Stato, tra il giudice e la società. Ma a noi preme vedere come esso si atteggi ai nostri giorni, in qual modo la concreta realtà risponda alle sagge norme dettate in proposito dalla Costituzione («I giudici sono soggetti soltanto alla legge». «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere»). I primi anni della Repubblica furono caratterizzati dal contrasto fra la Costituzione e la sopravvivenza di molte leggi arretrate, lasciate in eredità dal defunto regime; e anche da una magistratura spesso volta all'indietro, specialmente nei suoi gradi più alti, ostinatamente ancorata a diffidenze per quel quid novi di cui la nostra Carta si era fatta interprete. La distinzione che allora fu posta fra norme precettive e norme soltanto programmatiche rispondeva all'intento di svuotare il più possibile la Costituzione della sua forza innovatrice. Questo orientamento pesò a lungo su non poche sentenze, soprattutto della Cassazione; e vane furono le critiche di giuristi illuminati. Il cocciuto misoneismo di molti giudici parve bloccare un'interpretazione più coerente coi principi costituzionali, più coraggiosa. Poi ci fu, con l'entrata in funzione della Corte Costituzionale nel 1956, una svolta decisiva. Calamandrei salutò l'avvenimento su questo gior naie con un grande articolo intitolato La Costituzione si è mossa. Per accelerare questo moto, per tradurlo nel nostro ordinamento giuridico, contro ogni larvata resistenza misoneista, ci volle l'iniziativa di giudici aperti e intraprendenti. Fu un salutare passo innan zi. Molte vecchie leggi, viziate di incostituzionalità, furono cosi tolte di mezzo; un'aria nuova, vivificante, irruppe nel le aule giudiziarie. Al pigro conformismo di un tempo segui uno spirito battagliero, un'ansia di progredire. Non nascondiamoci la veri tà: ci furono anche, qua e là, esorbitanze, eccessi, distorsioni. Talvolta, le norme di diritto sostanziale e processuale furono piegate a un indirizzo politico, che non era più lo spirito della Costituzione, ma uno spirito di parte. Un male di segno opposto al primo, ma un male anch'esso innegabile. A guardar bene, nell'un caso e nell'altro, la causa prima del male sta nella grave inerzia o — se vogliamo Usare un eufemismo — nella scarsissima alacrità governativa e legislativa di questi ultimi trent'anni. Se ci fosse stata, nei primi anni della Repubblica, una più decisa volontà di rompere col passato, di innovare secondo le linee tracciate dalla Costituzione, anche i magistrati più nostalgici, più avvezzi ai vecchi sistemi, più diffidenti della scomoda libertà, non si sarebbero adagiati nelle posizioni retrograde del più piatto conformismo. E più tardi, di fronte alle travolgenti trasformazioni del costume, dell'assetto sociale, dell'economia, se la classe politica avesse risolutamente adottato le necessarie riforme per tenere il passo con la nuova realtà, molti giudici non sarebbero stati tentati di surrogarsi agli altri poteri in un'opera riformati ice, di progresso, che ad essi non compete. E' ora che ciascuno si assuma le proprie responsabilità. * Naturalmente, anche la magistratura deve assumere le proprie, fino in fondo. Vorrei ricordare, con l'umiltà di chi è stato per molti anni giudice — e si sente ancora un po' giudice in fondo all'animo, forse un giudice all'antica —, alcune semplici verità. Chi ha il terribile compito di giudicare il prossimo, deve sempre guardarsi dalla tentazione di sovrapporre un'ideologia di parte (quale che essa sia) alla chiara volontà della legge. Qualche volta il giudice sembra dimenticare che egli non è, non può mai diventare creatore di diritto. Se limitar::! a interpretare e applicare le leggi esistenti gli sembra un'ingiustizia politica e sociale, e vuole aggiungervi qualcosa d'altro, cambi mestiere. Vorrei ricordargli che la nostra Costituzione, con il suo ampio respiro, con i suoi principi scaturiti da un'eccezionale esperienza storica, densa di avvenire, offre larghi spazi a chi vuole innovare, e andare avanti. Rispettare, interpretare, attuare la Costituzione, infonderne lo spirito nelle leggi: questa, e non altra, deve essere la politica dei giudici. E non è cosa da poco. Dirò di più. 11 giudice nel suo arduo lavoro non soltanto non può agire come uomo di parte ma deve guardarsi dall'apparire tale agli occhi dei cittadini. Per questo, approverei una . legge che vietasse ai magistrati l'appartenenza ai partiti. E vedrei perfino con favore lo scioglimento delle correnti in seno all'Associazione nazionale magistrati, o almeno un loro più stretto raccordo sulle questioni essenziali. Detto questo, non possiamo non deplorare sia le richieste di alcuni partiti che siano conferiti al ministro della Giustizia «poteri di indirizzo» sul pubblico ministero, sia le avventate proposte di riforme fatalmente destinate a insidiare l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati, sia certi indecorosi attacchi di stampa. Il correttivo contro ogni abuso dei giudici può e deve essere trovato non al di fuori, ma all'interno dell'ordine giudiziario, mediante una più assidua pratica e un rafforzamento della vigilanza e del controllo del Consiglio superiore della magistratura. Questa ci pare la sola, sicura via da seguire. Ci pare infine che, in quest'ora così difficile, non la diffidenza e lo scherno meriti la gran parte della magistratura ma un fattivo impegno di solidarietà dei cittadini. A. Galante Garrone

Persone citate: Calamandrei