Pakistan, riarmo e paure dei vicini di Mimmo Candito

Pakistan, riarmo e paure dei vicini OSSERVATORIO Pakistan, riarmo e paure dei vicini A quattro anni dal Putsch che lo portò al potere, il gen. Zia ul-Haq si guadagna il solido appoggio americano e diventa «il baluardo della democrazia» sulla porta del Golfo. La politica ignora l'ironia, e il presidente del Pakistan può ora promettere «entro tre anni» quelle elezioni che nel '77 aveva già promesso entro tre mesi. Tra i tanti guai che l'invasione russa dell'Afghanistan ha portato ai problemi internazionali, questo nuovo legame tra l'America di Reagan e il regime militare di Islamabad non pare il meno preoccupante. Rischiano infatti di riproporsi similitudini pericolose con le alleanze politico-militari che l'America democratica trovò nei Dien di Saigon e nello Scià di Teheran: anche queste erano alleanze che dovevano fermare «l'avanzata comunista», ma il risultato finale fu piuttosto amaro per la prospettiva del containment. E' però anche incontestabile quanto affermava un paio di settimane fa il presidente pakistano: che se s'esclude il suo Paese, oggi pare piuttosto difficile rintracciare nella geografìa dell'Asia meridionale un altro Stato «amico degli Usa». L'amministrazione Reagan ha modificato per questo la proposta d'aiuti che Carter aveva fatto a Zia ul-Haq subito dopo l'occupazione dell'Afghanistan (erano 500 milioni di dollari, il leader militare d'Islamabad li aveva definiti con sprezzo «noccioline»), e ha conglobato il piano d'assistenza in una spesa quinquennale per quasi 3 miliardi di dollari, di aiuto alla difficile economia pakistana e di ammodernamento del suo vecchio apparato militare. Alle critiche che questo nuovo accordo ha mosso in molti settori dell'opinione pubblica americana, il Dipartimento di Stato risponde ricordando il vecchio trattato bilaterale che impegnava gli Usa a intervenire in difesa del Pakistan: e dunque, è meglio rafforzare le sue difese piuttosto che rischiare di essere coinvolti direttamente in un conflitto sulla sponda orientale del Mar d'Arabia. Ma il problema riguarda anche l'India. Il rapido processo di svecchiamento delle forze armate pakistane (è stata concordata la consegna anche degli F-16) viene visto con molto sospetto a New Delhi, e la domanda è: contro chi saranno puntate queste armi? Dato per scontato che la loro forza deterrente nei confronti dell'Urss non è molto credibile, e che tra Islamabad e Pechino ci sono ottimi rapporti politici e d'affari, non restano molte risposte possibili. L'India teme infatti che la voglia di rivalsa delle migliaia d'ufficiali pakistani che nel '71 furono suoi prigionieri di guerra possa accendere nuovi focolai di tensione, tenuti spenti finora soltanto dalla grossa differenza (in qualità oltre che quantità) tra i due fronti: per esempio, l'aviazione pakistana poteva contare fino, a poco fa solo sui «Sabre» della guerra di Corea, e le sue punte tecnologicamente più avanzate sono gli F-6 di costruzione cinese. Questi quattro anni di regime militare non hanno però rafforzato la stabilità di Zia ul-Haq, né proposto un piano ovviabile di passaggio alla democrazia. Il generale-presidente appoggia tutte le sue speranze di futuro sull'aggregazione che l'Islam costruisce all'interno della società pakistana. E poi, tra meno di due anni dovrebbe esser pronta anche la «sua» bomba atomica. Mimmo Candito Zia ul-Haq: «Amico degli Usa», quattro anni dopo il putsch

Persone citate: Reagan