Terenzio Grandi, testimone di un'epoca di A. Galante Garrone
Terenzio Grandi, testimone di un'epoca LA SCOMPARSA DELLO STUDIOSO MAZZINIANO (E SOGNATORE) Terenzio Grandi, testimone di un'epoca «Testimone di un'epoca»: cosi era .stato felicemente definito qualche anno fa da Tuttolibri Terenzio Grandi, morto all'alba del 4 luglio. Nato a Valenza (Alessandria) nel 1884, aveva cominciato da ragazzo a lavorare in una tipografia del luogo. Sarebbe stato questo il suo lavoro per tutta la vita, da provetto compositore a imprenditore tipografico in Torino. Giovanissimo, aveva ereditato dal padre, e dallo zio Achille Grandula fede repubblicana. Altra sua precoce passione: il giornalismo, per la non facile diffusione di quella sua fede. Ricordiamo, fra i molti fogli da lui fondati e diretti, YEmancipazione (1903), la Ragione della Domenica — supplemento settimanale del quotidiano repubblicano La Ragione — (1911), La Risposta (1918), cui collaborò anche Piero Gobetti (e Grandi cosi lo ricorderà: «Venne a me ancora coi calzoncini corti, o almeno con tal faccia di biondo sangiovannino che li avrebbe giustificati»). Nuova Coscienza, nel 1924, dichiaratamente antifascista («precisamente intonata all'opposto della nuova coscienza che si veniva formando in Italia a suon di manganello», egli dirà), e in questo dopoguerra, fino al 1963, // pensiero mazziniano, ancora in vita. Per lui, uomo di un totale disinteresse — e «scribacchino idealista», come amava definirsi — lo stabilimento tipografico e i giornali furono essenzialmente lo strumento per testimoniare e propagare la sua fede di repubblicano, in un Piemonte, se non refrattario, certo poco incline a farla propria. Nel corso della sua lunga vita, rivendicò la memoria dei non molti ma eletti repubblicani piemontesi, come Ferrerò Gola e Beghelli, e attestò con molti scritti storici la sua devozione a Mazzini, Cattaneo, Gustavo Modena, F.rgisto Bezzi. In Mazzini ammirava Y«apostolo che vive quel che crede», più che i «presupposti religiosi» della sua dottrina; in Cattaneo, la «concretezza» e il senso della storia. Fu vicino ai migliori repubblicani della generazione precedente alla sua, specialmente ad Arcangelo Ghisleri, suo maestro di vita, che un giorno gli dedicò questo pensiero: «Noi preparia¬ mo il domani senza ambizioni di potere. La repubblica verrà... Ma noi, anche allora, tra la subdola conversione degli uni e le scatenate cupidigie degli altri, noi, invece che al potere, ci troveremo anche allora all'opposizione, per salvaguardare la nostra idealità contro tutti gli egoismi e contro tutte le prepotenze». Altra sua passione fu Gian Pietro Lucini, di cui pubblicò alcuni scritti e ereditò le carte, oggi depositate presso la Biblioteca comunale di Como. Ghisleri e Lucini: due repubblicani e scrittori di temperamento aspro, vivace, risentito, cosi diverso da quello di Terenzio Grandi, che fu sempre un candido, purissimo sognatore, uno spirito mite, conciliante, sereno, miracolosamente giovane di spirito, con un'intatta capacità di entusiasmo (si veda il suo ultimo libro, Montarcele, pubblicato un anno fa dal Centro Studi Piemontesi). Ora che questo novantasettenne ci ha lasciati, ci tornano alla mente le sue parole di pochi anni fa: «Siamo immersi nella vita: tutto è vita, intorno a noi, ed è un fatto assolutamente meraviglioso». A. Galante Garrone
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