Kapò russi nei Lager del Reich di Lia Wainstein

Kapò russi nei Lager del Reich UN SOVIETICO RACCONTA LA PRIGIONIA E IL DIFFICILE RITORNO Kapò russi nei Lager del Reich Come Primo Levi ne La tregua, anche il sovietico Vitalij Sjomin, noto in Italia per il suo romanzo Sette in una casa (1965), ha voluto rievocare la fase iniziale del dopoguerra. Nella letteratura sovietica attuale il tema che predomina sia nella narrativa sia nella lirica è quello della seconda guerra mondiale, una scelta dettata da un intreccio di motivi ideologici e pratici (approvazione delle autorità, disponibilità di carta malgrado la crisi, tirature elevate, ecc.). L'argomento di questo romanzo postumo dal titolo provvisorio Platina (La diga, nel mensile Druzba narodov n. 5) — nelle conversazioni con gli amici Sjomin lo chiamava scherzosamente il suo Guerra e pace — non è dovuto, tuttavia, a intenti opportunistici. L'autore, nato a Rostov sul Don nel 1927 e scomparso negli ultimi anni, deportato adolescente in Germania, come il suo protagonista Sergej, rivive ora le proprie amare vicende, inserendosi nel filone di quegli scrittori sovietici neorealisti (per esemplo V. Bykov con il romanzo / morti non soffrono) impegnati a descrivere la guerra senza conformismo alcuno. Né propaganda né toni epici dunque in Plotina, che in sostanza è il romanzo di un'educazione acre e dura, giacché il protagonista, sopravvissuto agli Arbeitslager, è tormentato poi, nel 1945. da nuovi problemi e dubbi. Finita la guerra, quattrocento sovietici, tra cui Sergej, si trovano in un Lager della zona americana, dove lavorano sotto gli ordini degli ingegneri militari. La disciplina è ferrea, Sergej ha i nervi a pezzi e quando torna a casa dalla madre anch'egli, come altri reduci, non fa che urlare per due giorni. La felicità è avvelenata dalla consapevolezza che il male non è stato sconfitto ma che continua invece ad incarnarsi in alcune categorie particolarmente odiose, quali i policaj (i sovietici assunti come poliziotti dai tedeschi) e i blatnye, quelli della malavita. Con la loro cattiveria questi ultimi già riuscivano a rendere an¬ cora più penosa l'esistenza nell'Arbeitslager, dove la loro gioia di vivere, quasi pascendosi delle disgrazie altrui, prosperava. Il loro tratto caratteristico, nel 1942. era il tradimento consapevole e allegro della patria, dei compagni e delle leggi fondamentali della vita. Mostravano inoltre una totale indifferenza, rivelata dalla loro incredibile crudeltà, verso gli eventi della guerra. Si trattava di un prodotto dei Lagefì Oppure costoro erano dei blatnye da sempre? Il fenomeno, per giunta, attira gli adolescenti, e lo stesso Sergej, dopo la liberazione, si sente contagiato da quella crudeltà odiata. Riesce però a resistere alla tentazione di sparare su di una famiglia tedesca che sta passeggiando. Vi sono poi altre componenti negative. Oltre all'avventurosa caccia al cibo, vi sono le reazioni ambigue, intrise di rancore e di invidia, suscitate dai liberatori: -Quando le jeeps e le Dodge entrarono nelle vie di Langenberg, noi fummo in grado di offrire agli americani i tabacchi dei paesi saccheggiati dai tedeschi. Una delle prime scoperte fu che gli americani rifiutarono le sigarette europee: preferivano le loro. Era arrivato un esercito ricco, che quasi non aveva combattuto. Malgrado tutta la disponibilità alla simpatia, questo rendeva l'incomprensione inevitabile. Essi avevano avuto una fortuna straordinaria, e noi non glielo potevamo perdonare-. La guerra è i>na, eppure quella degli americani è diversa, non hanno conosciuto né la vera fame, né le umiliazioni, né il lavoro eccessivo, le loro case sono intatte, la loro salute buona, gli «AfP» sono muscolosi e pronti, se occorre, a difendere i tedeschi. I ragazzi sovietici si domandano perfino se un soldato americano di origine russa sarebbe stato altrettanto grosso e alto se i suoi genitori fossero rimasti a Kiev. Sono queste le riflessioni dei reduci denutriti e convalescenti, molti dei quali, come Sergej, soffrono ancora delle ferite che si sono fatte apposta per essere esentati dal lavoro neWArbeitslager. Al panorama realistico della tregua segue, nelle ultime trenta pagine del romanzo, la descrizione della vita in una zona industriale dell'Urss nel 1953. Sergej stenta a trovare lavoro nella GES (Stazione idroelettrica) vicina ai monti Ziguli, scarseggiano gli alloggi, il salario basta appena per il cibo. Benché Sjomin non abbia potuto, probabilmente, dare gli ultimi tocchi alla seconda parte di Plotina, è riuscito, in questo suo libro, a narrare con una sincerità e un'efficacia insolite nella letteratura sovietica uno degli aspetti meno conosciuti e più agghiaccianti della guerra. Lia Wainstein

Persone citate: Primo Levi, Vitalij Sjomin

Luoghi citati: Germania, Italia, Kiev, Rostov, Urss