Lisbona, si svegliano i poeti

Lisbona, si svegliano i poeti CULTURA E POVERTÀ' NEL PORTOGALLO CHE CAMBIA Lisbona, si svegliano i poeti LISBONA — Dopo il ritorno a Lisbona uscì la stanchezza accumulata nell'attesa del pullman sotto il sole di Coimbra. Il programma aveva previsto un incontro con gli italiani residenti a Porto; ma ero veramente troppo affaticato per rifare ore e ore di viaggio su una strada dove camion e autobus fanno la gara in spericolati sorpassi; e poi i treni erano fermi per lo sciopero e sull'aereo non c'era alcun posto libero. Così quella sera rimasi in camera dell'albergo a leggere i giornali italiani che casualmente ero riuscito a scorgere tra tanti altri in una rivendita del retroporto. 11 più recente era di due giorni prima ma pure le notizie mi erano recentissime, e per la crisi di governo e per le vicende della P2. Ancora una volta mi resi conto come chi si trova lontano dal suo Paese ha sete di notizie, e mi ricordai di come gli emigranti vogliono sempre sapere tante cose del paese d'origine, e come io pure leggevo con avidità i giornali che riuscivo a trovare quando ero costretto lontano da casa. Lisbona è una bella città; la foce del Tago così vasta e percorsa da navi mi ricorda i grandi fiumi russi; i viali alberati del centro certe città del Sud della Francia. Il Museo Calouste Gulbenkian, sorto con il lascito al popolo portoghese del famoso petroliere texano di orìgine armena, merita un viaggio per la raccolta di arte egiziana e greca e per i numerosi Guardi; anche il Museu Nacional de Arte Antiga ha opere di grande valore di Cranach il Vecchio, di Piero della Francesca, di molti fiamminghi tra cui il famoso Tentazioni di Sant'Antonio di Bosch ha il posto d'onore Particolare emozione mi diede un Jacopo Bassano. Ma la gente che incontrai nei parchi mi pareva d'indole poco estroversa. Gli uomini, forse invalidi delle guerre coloniali, giocavano con carte unte e consunte, in piedi accanto alle panchine che facevano da tavolo; i ragazzi correvano senza chiasso tra i cani randagi che, indifferenti a tutto, dormivano al sole Molto vivaci, come ovunque, sono i passeri. Al mercato coperto, verso il porto, non era come nei negozi delle Avenida dove accanto alle sedi bancarie, agli uffici delle compagnie di viaggi e alle boutique vedevi turisti e signori vestiti di scuro. Qui, al mercato, le donne contadine che vendono ortaggi e fiorì, accosto alle ceste delle verdure qualche volta hanno una cassetta vuota con dentro un bambino che dorme. Negli spacci di carne, ria ronzii di mosche, sono in vendita orecchie, zampe e code di maiale perché le parti più scelte e polpose si trovano in altre rivendite Ma i formaggini freschi fatti con latte di pecora hanno discendenza e sapori omerici Per arrivare al mercato del pesce mi lasciai guidare dal naso; ce n'era tanto, fresco, di tante qualità e a buon prezzo; dal baccalà, cibo nazionale dei portoghesi e che sanno cucinare ottimamente in tantissime maniere, alle grasse sardine, al saporito «pollo di mare» (Zeus faber L.), ai grossi scampi, alle corvine. Tutto l'insieme era un mercato animato e variopinto: uno sposalizio tra i prodotti del mare e quelli della terra con un'estemporaneità impensabile; ma senza chiasso, o musiche di rivenditori, e dove uno straniero può vedere e capire tante cose che le guide turistiche o i dépliant; o i giornali non spiegano. La gente guardava, confrontava i prezzi, contrattava senza alterare la voce e chi non sapeva leggere i cartellini se li faceva spiegare e poi computava sulle dita. * * Quella sera stessa degli amici vollero farmi ascoltare il fado in un locale tìpico della vecchia città dove le vie sembrano carruggi genovesi o calli veneziane. Erano degli esperti del luogo e di quella particolare forma di canto e rimasero un po' delusi: non per i suonatori e i cantanti che erano pur bravi e partecipavano alla musica e alle parole con più o meno teatralità, ma per gli ascoltatori, nella maggior parte turisti americani di passaggio o portoghesi-brasiliani -:he non seguivano i versi e la musica ma le patate della cena parlando tra di loro indifferenti e senza applaudire al momento giusto, quando cioè i suonatori aumentano volume e ritmo per accompagnare l'ultimo verso che viene strappato dalla gola. Ascoltammo il fedo di Cairn bra che in quella città non avevamo potuto sentire perché gli studenti cantori erano impe¬ gnati con gli esami; questo di Coimbra è un fado raffinato e intellettuale, molto nostalgico dove il Rio Mondego, l'amore, il paesaggio, la lontananza, il viaggio, la poesia sono i temi dominanti; e poi il fedo di Lisbona, più popolare e carnoso e di malinconia marinara. L'uno e l'altro venivano cantati alternativamente, ma una donna magra e nera di capelli era particolarmente brava e riusciva a trascinare chi l'ascoltava. ** Il fado, il fato, il destino, il viaggio della vita attorno al tempo e all'amore, la fine o il viaggio per gli oceani inesplorati esprime l'animo portoghese come la canzone napoletana l'anima dei napoletani; a ogni popolo la sua musica, la sua terra, il suo fado. Un'altra sera cenammo e ci incontrammo con gli scrittori e i poeti portoghesi. C'era pure qualche brasiliano molto attento e fu un amichevole scambio di pensieri e di esperienze. Molti di loro erano stati in Italia, a Roma per lo più, dove avevano conosciuto Rafael Alberti. Ma le loro conoscenze dell'Italia erano più ristrette a certi ambienti che non alla vita della gente e del mondo del lavoro. Volevano sapere del neorealismo letterario, dei nostri rapporti editoriali e forse qualcuno di loro rimase male quando parlai di industria culturale e dissi che le grandi città non producono più cultura. Mi sembrava si trovassero nella si-; tuazione in cui noi eravamo attorno agli Anni Cinquanta, con tanto entusiasmo e tanta voglia di fare Uno di loro, un insegnante di lingua italiana, d'accordo con i fratelli aveva donato a una cooperativa di contadini tutta la terra che avevano nel Sud del Portogallo, e mi disse che tanta strada rimaneva ancora da fare alla loro patria e che dopo il 25 aprile 1974 si era fatto solo un primo passo. Dopo quarant'anni di sonno, tanto durò la dittatura di Salazar, si ha l'impressione che il popolo portoghese ancora aspetti qualcosa: la pioggia o il sole, un raccolto o una pesca, un autobus o una partita allo stadio. O l'Europa. Aspettano anche le coppie di sposi, come quella domenica nella bellissima chiesa dos Jerònimos de Belém. Vestite di bianco le spose e di scuro tutti gli altri, sotto il sole a picco, in silenzio e in attesa del loro tur¬ no di accostarsi all'altare: parevano inseriti in quell'architettura gotico-manuelina come i personaggi nel presepio: una coppia con il seguito davanti all'altare, un'altra sotto l'alta e cupa e fresca navata, un'altra ancora sul sagrato, o nella piazza antistante il convento, o in arrivo sulle automobili nere e lucidate per l'occasione. Nel bellissimo chiostro tra bifore accoppiate e semplici, e capitelli intrecciati di marmi rampanti caldi e dorati e fiori veri, altri sposi aspettavano il turno per la fotografia di rito. Le sere sono qui fresche e ariose per il vento che viene dall'Oceano e risale per la città infilandosi per le rua e le avenida tra-case e palazzi. Ma è curioso mangiare un gelato sull'Avenida da Libertade in un locale gestito da un cadorino di Borea (ma dove non si trovano i gelatai bellunesi?), parlare un veneto montanaro e poi passeggiando sentire parlare lombardo. Non erano questi tre certo dei turisti, e quando salutai e ci parlammo mi spiegarono che erano conduttori di Tir e che in Portogallo, da Milano, arrivavano per la prima volta. Avevano portato un carico di trattori, uno di coni per gelato e uno di condensatori elettrici. Ma viaggiare per le strade del Portogallo, mi dissero, era un'avventura: e per le carreggiate non ampie e per il fondo stradale, ma più ancora per la spregiudicatezza degli autisti; tanto, mi dissero, che lasciati i Tir al deposito e saliti su un taxi per farsi accompagnare in centro delia città, a un certo punto preferirono far fermare il taxi, scendere e andare a piedi. A chiudere la nostra serie di incontri fu la serata all'Istituto italiano di cultura di Lisbona, diretto da Paolo Angelleri, Istituto che aveva organizzato il nostro viaggio e la mostra del libro italiano. Mai avrei creduto che in un Paese così periferico all'Europa che conta vi fossero tanti italiani e italianisti, e tanto entusiasmo e amicizia. C'erano l'ambasciatore Magliano e gli italiani che lavorano, che commerciano, che studiano; e i dialetti, gli affetti, i ricordi. Un'Italia paesana e saggia, più lontana della Luna da quella degli scandali. Anche gli amici portoghesi ne restarono coinvolti e animatamente conversavano di libri e di autori, di lavoro e di scambi, di cinema e di teatro. Osservavo tutto questo mentre con l'addetto militare, il colonnello degli alpini Freisa della Val Ma ira, parlavamo di montagne e di lontane conoscenze. L'altro giorno ritornando a casa guardavo dall'aereo il Tago con la maestosa foce, l'Oceano, i boschi cupi e le campagne dorate: ancora un Paese e un popolo da aggiungere agli altri dei miei ricordi, e mi veniva questa conclusione: è una Nazione dal grande passato che per secoli fu l'avanguardia dell'Occidente verso le Nuove terre e che ndl'XI secolo dopo essersi liberata da Visigoti e Arabi chiamò un ammiraglio genovese con cartografi per disegnare carte nautiche e carpentieri per costruire navi: ora aspetta dalla Comunità europea un filo di vento che muova le vele e suoni la campana per riprendere a navigare. Mario Bigoni Stern