P2 a Firenze: miliardi facili spionaggio, traffico d'armi

P2 a Firenze: miliardi facili spionaggio, traffico d'armi Le indagini in Toscana sulle oscure attività di Licio Gelli P2 a Firenze: miliardi facili spionaggio, traffico d'armi Sofisticati strumenti ottici di puntamento sarebbero stati spediti in Israele anche attraverso una ditta inglese - Come il giornalista Coppetti si convinse che il Venerabile era un agente dell'Est - Lino Salvini accusato di appropriazione indebita DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FIRENZE — Esportazione di valuta per miliardi di lire; un colossale traffico di sofisticati strumenti di puntamento costruiti in Toscana e arrivati in Israele attraverso ambienti della P2 e una fantomatica ditta inglese di copertura; documenti su un movimento d'armi clandestino passato attraverso il porto di Livorno; una valanga di carte e registrazioni di colloqui avvenuti tra il giornalista Coppetti, Lido Gelli e il colonnello Viezzer; infine, l'identikit appena consegnato alle questure di tutta Italia di un personaggio della massoneria di piazza del Gesù che nel '72 offri ai gruppi neofascisti di Lucca finanziamenti ed esplosivo in cambio di attentati a strutture pubbliche. Queste sono solo alcune delle scoperte e delle tracce su cui stanno lavorando alcuni magistrati fiorentini. Cosi, mentre altrove le indagini stagnano, ormai irretite da tentativi di insabbiamento e da pretestuose rivendicazioni fra Procure, in Toscana il nodo riposto della P2 sta offrendo nuovi spunti: sia sulle attività della loggia segreta di Gelli, sia sui legami col Grande Oriente, sia su certe «deviazioni» della massoneria che risultavano in processi sull'eversione di destra. Proprio a Firenze, nei giorni scorsi, l'ex Gran Maestro di Palazzo Giustiniani, Lino Salvini, l'uomo che formò la «fortuna» massonica di Gelli, è stato accusato di appropriazione indebita, truffa e millantato credito: avrebbe aprofittato della sua carica al vertice del Grande Oriente per ottenere ingenti vantaggi personali. I filoni su cui si muovono le indagini toscane sono essenzialmente due, anche se ognuno di essi si snoda poi per vie collaterali e intersecantisi. Da una parte il giudice istruttore Rosario Minna indaga sulla truffa contestata a Salvini e su certi collegamenti che arrivano a una vecchia storia di traffico d'armi di cui si ebbero sospetti a Livorno. Dall'altra i sostituti procuratori Vigna e Chelazzi seguono le piste che si sono improvvisamente aperte dopo 40 perquisizioni effettuate il 18 giugno scorso in ambienti di gente vicina a Gelli. Vigna si era mosso in seguito alle informative compilate da carabinieri, Digos e Guardia di Finanza. Sulla scia di una generica indicazione che mostrava come «persone di uno stesso giro* fossero interessate a traffico d'armi, Vigna perquisì, tra le altre, le case e ville di Alessandro Del Bene (iscritto alla P2 dal 1971, uno dei più noti spedizionieri italiani), di Alberto Fioravanti (suo braccio destro), di Mario Becagli (industriale pratese di pellicce sintetiche, da anni in testa all'elenco dei contribuenti della sua città). La sorpresa maggiore venne fuori dalla villa del Fioravanti: 11 Vigna e Chelazzi trovarono documenti e carte relative ad una prestigiosa ditta italiana, che opera nel campo dell'ottica e dell'elettromeccanica. Quelle carte parlano chiaro: per anni persone certamente non autorizzate hanno procurato ad Israele delicatissimi strumenti «di puntamento» essenziali all'uso delle armi più sofisticate. Ma la ditta produttrice non risulta mai: al suo posto ha operato una ditta inglese, con sede a Londra. La magistratura, a questo punto, si muove su due piani: si tratta infatti di stabilire se quella ditta inglese servi soprattutto a far depositare ingenti capitali all'estero, quelli cioè derivati dalla transazione o dalla vendita a Israele. In secondo luogo bisogna controllare se tutto ciò che «usci» dall'industria italiana fu regolarmente schedato e fatturato. Le stesse perquisizioni offrirono altre ragioni di indagini: nelle abitazioni dei fratelli Becagli, ai quali i magistrati erano arrivati seguendo il «piduista» Del Bene: sono state trovate le prove dell'esportazione di 850 mila dollari. Mario Becagli è stato arrestato e il processo per direttissima è stato fissato per il 17 luglio prossimo. Il fratello Piero, invece, scappò appena seppe delle indagini: l'azienda dei due fratelli ha grossi affari con la Romania e con altri Paesi dell'Est, già privilegiati dall'attività di Gelli. Le ricerche sui traffici dei fratelli della P2 avevano, a loro volta, ricevuto nuovo im pulso dall'interogatorio del giornalista dell'Ansa, Marcello Coppetti. Vigna lo senti su rogatoria di Domenico Sica, il quale aveva ascoltato il nome di Coppetti dalla bocca del colonnello Viezzer. Vigna trova documenti del giornalista, una specie di vero e proprio archivio, nello studio di un avvocato e presso certi parenti. Coppetti, amico di Viezzer da moltissimi anni, conosce Gelli nel '76. il Venerabile gli offre di entrare nella P2, Coppetti rifiuta ma instaura col Gelli un rapporto che si rafforza nel corso di alcuni incontri e colloqui anche telefonici. Ogni volta che Coppetti parla con Gelli o Viezzer, lo annota su un suo diario segreto (sequestrato e adesso mandato al giudice Sica). Sembra che questo diario sia una vera e propria miniera di notizie, e informazioni su Gelli e su informazioni date da Gelli. Alcune telefonate e. forse, i colloqui, sono registrati. Negli ultimi mesi Coppetti scrive una relazione: rispecchia la teoria che il giornalista (curioso anche di cose esoteriche) ha elaborato in seguito a quei colloqui ed incontri: Gelli è un agente dell'Est. Le prove? Per anni ha voluto accreditare la sua fama di repubblichino pur essendo in possesso di un attestato del Cln di Pistoia che lo scagiona. Gelli incassa gli attacchi, non esibisce le prove della sua collaborazione coi partigiani. Questi strani «silenzi», assieme alle accuse che arrivano dalla sinistra, indicherebbero che si è creata una «copertura», in quanto il capo della P2 è in realtà un agente dell'Est. La teoria di Coppetti è giudicata alquanto «esile» dagli inquirenti che però non l'abbandonano del tutto. Una parte del materiale sequestrato da Vigna è finito invece al giudice Minna: è lui che accusa Salvini di appropriazione indebita, truffa e millantato credito per 200 milioni che la Fiat assegnò al Grande Oriente e che non si sa dove siano finiti. E' Vigna che si occupa anche del traffico d'armi, venuto fuori quando nel '71, pochi mesi dopo la creazione della «PI» (una loggia segreta precedente alla P2 affidata dal neo Gran Maestro Salvini al Del Bene, a Gelli, e a Domenico Bernardini) su un molo di Livorno si spalancò una cassa con l'indicazione «materiale elettronico», ma, secondo voci di allora, saltarono fuori pistole. La magistratura fiorentina sì è mossa (sulla scia di accuse massoniche) nell'ipotesi che la cassa fesse di Del Bene. Lui si difende dicendo che apparteneva ad un altro spedizioniere. Se queste sono le piste principali sulle quali indagano a Firenze, altre, apparentemente secondarie, non sono affatto trascurate. C'è poi da chiarire la testimonianza resa alla Digos fiorentina da Giacomo Gerola. E' agli atti della commissione Sindona. Gerola, inquisito in una vicenda di collegamenti con terroristi rossi, risultò in contato col figlio di Gelli, Raffaello. Gerola disse che Raffaello gli riferì minacce, provenienti da Gelli, nei confronti di Ambrosoli. E avrebbe aggiunto: «Un giornalista del gruppo Rizzoli che ci dava noia è stato trasferito. Quanto a Sindona, posso dirti che è uomo di mio padre*. Sandra Bonsai.ti