Mitterrand : così sarà la mia Francia

Mitterrand : così sarà la mia Francia La prima intervista del presidente: i rapporti con i comunisti e con gli Stati Uniti Mitterrand : così sarà la mia Francia «Non ho ceduto in nulla al pcf, e non ho intenzione di cominciare adesso» - «Non era lecito ignorare gli elettori comunisti» - «Chiedo la collaborazione di tutte le forze del lavoro» «Agli Usa ripeto: la politica della Francia si decide in Francia» - «Controllerò personalmente tutto ciò che riguarda la sicurezza militare» - «L'America non abbasserà subito i tassi d'interesse ma lo farà, secondo me, tra 6 mesi» - «Divergenze con Washington in politica estera ve ne sono certamente, ma approvo Camp David» - «Ridiamo all'Europa la sua anima» PARIGI — Per la prima volta da quando ha fatto il suo ingresso all'Eliseo, Francois Mitterand ha chiarito in una lunga intervista a «Le Monde» i progetti della presidenza socialista sulle istituzioni, sui piani di decentramento, sul programma delle nazionalizzazioni. Nella prima parte, da noi anticipata ieri, il presidente aveva precisato il ruolo del pcf nel governo (-La situazione consente l'assoluto rispetto della nostra linea*), aveva affermato di accettare 'l'opinione diversa- espressa dal vicepresidente americano Bush definendo però -inaccettabile* l'intervento del dipartimento di Stato. Pubblichiamo ora la seconda parte della conversazione, incentrata sulla presenza dei comunisti nel nuovo governo e sulla polemica verso la politica degli Stati Uniti. Qual è la ragione fondamentale che l'ha deciso a favore della partecipazione dei comunisti al governo? «Ho sempre annunciato che avrei costituito un governo che sarebbe stato non l'emanazione ma l'espressione della maggioranza parlamentare. Questa maggioranza ha definito i suoi contorni nella fedeltà alle mie scelte presidenziali. Non vedo perché avrei dovuto scartare chiunque affermava di voler rispettare la linea politica che io stesso avevo definito. Per tutto il tempo della polemica, e quale polemica, con i comunisti io non ho ceduto in nulla, come si sa. e non ho l'intenzione di cominciare adesso. «Ma il 10 maggio i comunisti sono entrati spontaneamente nella maggioranza presidenziale dopo aver dovuto ammettere che avevano sbagliato strada. Io ho riflettuto, ho consultato i principali responsabili del partito socialista. E tutti senza eccezioni, hanno ritenuto che bisogna trarre dalla votazione la conseguenza logica. La nostra situazione ci consentiva il mantenimento assoluto della nostra linea. Ora io chiedo: «Ho rinunciato a qualcosa?». Uno dei miei interlocutori si meravigliava recentemente: «Lei ha la maggioranza assoluta e prende dei comunisti?». Ho risposto: «Ragione di più». Non voglio insistere ancora su questo argomento, ma nessuno ignora, al governo come altrove, che il presidente della Repubblica può in qualsiasi momento far prevalere l'opinione che ha dell'interesse nazionale». L'interlocutore di cui lei parlava era Georges Bush? «Il signor Bush non mi ha posto delle domande che non potessero avere una risposta. Non si tratta dunque di lui. Troppi commentatori non guardano oltre la punta del loro naso. Circa quattro milioni e mezzo di francesi hanno votato per il o i candidati comunisti. E poi hanno votato per me, e in seguito per i candidati socialisti. Onestamente non vedo perché avrei dovuto eliminarli, perché avrei dovuto ferire questi milioni di persone escludendoli dalla vita politica francese mentre non chiedevano che di essere rispettate. Agendo come ho fatto, ho preparato l'avvenire in modo molto più sicuro che se avessi fatto il contrario. Non parlo dell'avvenire della maggioranza, poiché questa è assicurata in ogni modo per cinque anni. Parlo dell'avvenire della Francia. Si ricordi: ai giornalisti che m; interrogavano su questo argomento durante la prima trasmissione televisiva della campagna elettorale ho risposto: «De Gaulle ha avuto bisogno di tutti». Si, c'è la crisi e io rivolgo un appello a tutte le forze del lavoro, della creazione, dell'immaginazione a venirmi a raggiungere». E l'obiezione che le è stata fatta, e cioè che dopo essere riuscito a indebolire il partito comunista forse senza volerlo, lei rischia adesso di rafforzarlo portandolo al governo? «Mentre mi rivolgeva questa domanda ho pensato ad altro. Mi hanno accusato di machiavellismo. "Ha conseguito con l'unione — si dice — quello che altri hanno cercato con la lotta. E' ancora più anticomunista degli altri". Ma questo è affrontare il problema al contrario. SI, ho cercato di fare del partito socialista la forza più numerosa e più potente, di estendere sempre più la sua influenza. Non è normale? Al congresso di Epinay. nel '71. avevo invitato i socialisti a "recuperare tutto il terreno perduto", perduto sulla democrazia cristiana, sulla gioventù, sui nuovi stati sociali, sui comunisti. Ho voluto costruire un grande partito socialista. Non a caso, non in un modo qualsiasi. Riprendendo e portando ancora più in alto, se era possibile, la lotta di Jaures e Blum per un socialismo liberatore. Questo supponeva l'arretramento delle forze che avevano occupato il nostro stesso posto nella politica francese, allo stesso posto e contro di noi. E' stato un combattimento leale. Preferisco averlo vinto, anche se so che vincere non significa molto se si rilassa la propria azione. Ma io non la rilasserò. Il potere non è un giocattolo, ma un mezzo per accelerare il passo. Quanto a sostenere che ho rafforzato il partito comunista perché quattro dei suoi sono al governo, lasciamo giudicare al tempo. E i suoi giudizi non sono mai azzardati». Le pare possibile l'idea di una riunificazione di quello che una volta era il partito della Sf io? «E' il sogno permanente di tutti i socialisti. Ma ci sono due ideologie, e queste due ideologie restano contraddittorie. Tra il marxismo-leninismo e il nostro socialismo, voglio dire tra Lenin e Blum, il conflitto ideologico non è cessato. E non ci sarà consentito nessun momento di disattenzione». Lei ha reagito con vigore alle dichiarazioni del Dipartimento di Stato americano dopo il suo incontro con Bush. «Precisiamo. La realtà è che Claude Cheysson è andato in precedenza negli Stati Uniti e che questa visita è stata utile e feconda, e le nostre relazioni hanno trovato subì to un tono giusto. Certo, tutto questo avveniva prima della costituzione del secondo governo Mauroy. Ma Claude Cheysson non aveva preso l'impegno — e non c'era da prenderlo — che non ci sarebbero stati ministri comunisti. Non ha ingannato i suoi partners americani. Semplice¬ mente ha giudicato che questa decisione virtuale (non era stata ancora presa) riguardava gli affari francesi e solamente questi». Ma gli hanno posto una domanda? «Immagino. Egli aveva d'altra parte ricevuto un messag¬ gio molto cordiale da parte del presidente Reagan. Il fatto che Bush sia venuto più tardi a trovarmi a Parigi malgrado l'ingresso, alla vigilia, di quattro ministri comunisti nel governo, che si sia intrattenuto con me in maniera aperta, simpatica e costruttiva, con la vera cortesia che consiste nel non porre domande inutili e senza dissimulare che quando avrebbe incontrato i giornalisti avrebbe confessato "la preoccupazione" che l'avvenimento cau-. sava all'amministrazione americana; ebbene si. io ho apprezzato questo comportamento». «Io non definisco una pressione l'opinione che possono avere di noi e delle nostre scelte i Paesi stranieri, soprattutto se sono Paesi amici. Non mi formalizzo per un'opinione differente dalla mia. Non c'è niente di choccante che i nostri alleati abbiano difficoltà a comprendere le ragioni dei miei atti. Al contrario la pressione è cominciata con il comunicato di Washington. Di qui la mia reazione di Dun-les-Places. Senza spacconate, la politica della Francia si determina in Francia e non sarebbe ammissibile che il capo dello Stato si lasciasse guidare da considerazioni diverse da quelle che ritiene essere d'interesse della Francia e dei francesi. Ma le pressioni sono finite 11. La lettera di ringraziamento che mi ha indirizzato Bush al termine del suo viaggio era conforme a quanto potevo attendermi da una personalità della sua qualità, qualità che ho apprezzato molto». Si è lasciato intendere a un certo momento che, se ci fossero stati ministri comunisti, un certo numero di informazioni militari non sarebbero più state trasmesse dagli Sta'< Uniti alla Francia. «Niente del genere è arrivato fino a me. Ho saputo che una stazione tv americana aveva annunciato che io avevo dato assicurazioni sul piano della sicurezza militare. Non si smentiscono le frottole. Il Consiglio dei ministri assume una responsabilità col¬ lettiva. E' là che si determina la politica del Paese. Per il resto ogni ministro assume un compito particolare e non ne deve uscire. Quanto al presidente della Repubblica, esercita un potere preminente, soprattutto nel settore delle relazioni esterne e della difesa. Questa divisione di ruoli non implica nessuna esclusione nei confronti di alcuno. Riflette la mia volontà, legittima, di controllare direttamente e personalmente tutto ciò che riguarda la sicurezza del Paese». In quale settore lei pensa che le relazioni franco-americane possano essere intaccate? «Se il Segretariato di Stato americano mi avesse informato che il contenuto dell'alleanza era mutato perché il governo americano finiva di praticare insopportabili tassi d'interesse, mi sarei rallegrato del cambiamento. Se il mutamento fosse consistite nel non sottoporre più la Francia all'infernale accoppiata dollaro-petrolio e nel ritorno a un sistema monetario internazionale coerente; a una politica verso il Terzo Mondo più seria: che buone notizie sarebbero state! Mi limiterò a rilevare che non si può desiderare una maggiore omogeneità politica e militare dell'Alleanza atlantica e accontentarsi del "ciascuno per sé" in campo economico». Lei ha la sensazione che il problema dei tassi d'interesse sia il principale problema con gli Stati Uniti? «E' un problema importante ma non è il solo. Pongo sullo stesso piano il problema del Terzo Mondo e delle sue relazioni con i Paesi industrializzati, e la messa all'ordine del giorno d'un sistema monetario internazionale e di istituzioni adeguate, specialmente nel settore dell'energia. Lo sviluppo dei Paesi poveri è non soltanto un problema umanitario, ma anche interesse per i Paesi ricchi. Non vinceremo la recessione che moltiplicando gli scambi. Ma bisogna darsene i mezzi. Già le esportazioni della Cee vanno al Terzo Mondo per il 40 per cento. Attendo da questo rilancio gli strumenti principali per il ritorno alla crescita». Lei ritiene che sia possibile che gli americani attenuino la loro politica monetaria e i loro elevati tassi d'interesse? «A breve scadenza no. A medio termine si, considerando che la breve scadenza per me è dell'ordine di sei mesi, già molti, forse troppi per gli' europei». Gli americani devono anzitutto risanare la loro economia. «Essi considerano, in effetti, che per loro questo è un male necessario, il solo modo di ridurre la loro inflazione, ma non ne fanno una teoria. E' dunque possibile discutere e a forza di discutere giungere a ridurre i termini per un ritorno a una situazione meno tesa». Esistono altri motivi di controversia? «Divergenze ce ne sono certamente. Ho serie riserve per esempio, per non dir di più; sulla politica degli Stati Uniti nell'America Centrale. I popoli di quella regione vogliono finirla con le oligarchie che, appoggiate da dittature sanguinarie, le sfruttano e le schiacciano in condizioni insensate. Una infima proporzione della popolazione possiede la quasi totalità dei beni. Come non comprendere la rivolta popolare? Non si tratta di sovversione comunista, ma del rifiuto della miseria e dell'assoggettamento. Per l'Occidente sarebbe più saggio aiutare questi popoli, quando invocano aiuto, che costringerli a restare sottomessi. Preferirei che Castro non fosse il solo a sentirli. Ma credo alla capacità di riflessione dei dirigenti americani». Ha parlato con loro del Medio Oriente? Lei ritiene che ci sia spazio, adesso o più tardi, per una iniziativa francese europea? •Ho confermato la mia approvazione di Camp David. In precedenza ero stato il solo uomo politico francese responsabile d'un grande parti- to a dirlo. E non ho cambiato idea cambiando funzione. Il processo aperto con Camp David può allargarsi? Si, se Israele affronta in modo più positivo il problema palestinese. Ogni popolo ha diritto.a una terra. A quel punto si può pensare che altri Paesi arabi sì sgeleranno. Ma si parla sempre dei palestinesi e poco dei Luoghi Santi. Un buon approccio a questo problema — e mi pare possibile — contribuirebbe notevolmente a calmare gli animi». E' uno dei temi che re Khaled ha trattato con lei? «Credo di averlo affrontato io stesso». E per quanto riguarda la possibilità di una ripresa dell'iniziativa europea in questo settore? «Mi auguro che sia conforme a quanto ho appena detto». Per ritornare all'Europa, mi sembra che lei abbia sostenuto che al punto in cui stanno le cose il quadro dello stato nazionale non basta più a promuovere le trasformazioni che sono necessarie. •SI». Lei crede che l'Europa attuale, la comunità dei Dieci offra delle possibilità — tenuto conto dei rapporti di forza esistenti al suo interno e dell'esistenza in Gran Bretagna d'un governo conservatore — di far progredire la trasformazione della società? «Non siamo ancora a quel punto. Cominciamo con il ridare la sua anima all'Europa. Realizziamo pienamente il Trattato di Roma, correggiamo ciò che può esserlo. Evitiamo di trattare i problemi europei a pezzettini. Convinciamoci che nessuno dei nostri Paesi può. da solo, risolvere gran parte dei problemi. Pensiamo alla realizzazione delYAirbus, al programma Ariane. Insomma, ritroviamo il senso delle prospettive. Io non voglio fare della politica francese un articolo d'esportazione. Ciascuno è libero delle sue scelte interne. Io conto sulla forza delle cose e... sul contagio delle idee. ( op\ righi Le Monde e per l'Italia La Slampa Francois Mitterrand in una caricatura di David Levine. (Copyright N.Y. Review of Books. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa.)