L'arte oltre i confini della cornice di Angelo Dragone

L'arte oltre i confini della cornice IL RAPPORTO ARTISTA-OPERA-PUBBLICO: SINGOLARE MOSTRA A TORINO L'arte oltre i confini della cornice TORINO — «Artista, cornice, pubblico» sono dati come sottotitoli della mostra II limite svelato organizzata dall'assessorato civico per la Cultura e realizzata, col coordinamento di Germano Celant, negli spazi espositivi della Mole Antonelliana, dove rimarrà aperta sino al 18 ottobre. In realtà costituiscono gli elementi di una serie di rapporti, tutti da indagare, attraverso i quali la rassegna torinese si articola in tre diversi, ma ben connessi, momenti. L'artista e il pubblico, intanto. E' lo stesso assessore Balmas a ricordare nell'introduzione al catalogo la frattura determinatasi tra le due fazioni nel momento stesso in cui l'arte ha rinunciato al privilegiato suo rapporto mimetico col reale. Può esserci qualche dubbio sulla portata del termine «cornice»: sospetta «parte per il tutto», inteso questo come il quadro. E' viceversa proprio alla cornice in quanto tale che Celant si è riferito, facendone l'elemento rivelatore d'una nuova concezione dell'opera d'arte. Di fatto in questa mostra essa diviene subito l'elemento distintivo di una serie di processi nei quali gli ordinatori hanno voluto far coincidere tutto un filone del più attuale divenire delle arti figurative. Ecco quindi il primo itinerario della mostra: «La cornice: dal simbolismo alla Land art». E' una esposizione' a sé, anche per lo sviluppo con cui si presenta, ma bisogna anche tenerne conto come introduzione storica rispetto al successivo momento costituito da Del bello intelliggibile di Giulio Paolini. Il fatto è che una ventina di opere originali, integrate ■quanto basta» dal più vasto materiale fotografico, sono sufficienti a Celant per chiarire, ovviamente «per campioni», i modi diversi con cui gli artisti hanno considerato la cornice; e come questa possa a volte aver assunto il ruolo di un elemento interpretativo del quadro, sino all'eventuale suo scavalcamento da parte dell'autore, di recente portato, come nella Land art, a sconfinare nell'ambiente e nel territorio. E' la parte forse più attraente della mostra, per le sequenze ch'essa offre, alla luce di un vero e proprio « filosofare sulla cornice*, come fa Celant nel suo testo. Anche in pratica non è difficile rendersi conto che la cornice può servire a isolare nel quadro uno scampolo di realtà. Essa chiude nel suo interno l'immagine, a volte limitandola più o meno drasticamente e facendosene in qualche caso addirittura partecipe. Ma vi sono esempi in cui prevale il rapporto con l'ambiente interno, con l'arredamento, lo stile e il colore dei mobili. Alla fine, tuttavia, proprio nella Land art la cornice sembra sparire: ed è il momento in cui la figurazione si misura con l'architettura del territorio mentre la cornice è sottoposta ad una «dilatazione espressiva* che la porta a superare il proprio tradizionale valore di confine. Da una parte, dunque, la gigantografìa col Giudizio di Paride di Klinger, il Ritratto di Maurice Braun di Knopff, nel suo taglio ravvicinato, e cosi le giapponeserie di Van Gogh. Le Modelle e Lo Chahut di G. Seurat per il quale appunto *la cornice doveva essere in contrapposizione all'insieme dei toni, dei colori e i delle linee del dipinto». In tutti questi casi si è di fronte a cornici che in maniera diversa partecipano dei valori del quadro. All'estremo opposto — dopo esser passati per gli ambienti (ricostruiti) di El Lissltsky (1923) e di T. van Doesburg (1924-25) — ci si trova dinanzi l'immagine della Spirai Jetty di Smithson con la sua getta ta in basalto che con le maree e i depositi di alghe e coralli acquista una propria vita ciclica all'interno d'una cornice naturale. Una cornice appena intelliggibile può riflettere aspetti e valori esistenziali: è quella che si delinea intorno alla coppia di Gilbert and Geor¬ ges, come nei disegni dello specchio di Pistoletto, e, naturalmente nel Campo di fulmini realizzato da Walter De Maria tra il 1979 e l'80: vi impiegò 490 steli di acciaio, alti 5 metri, e distribuiti su un rettangolo di un chilometro per un chilometro e seicento metri di territorio deserto dove bastava un temporale per trasformare quella landa con lo spettacolare travolgente luminismo offerto dalle scariche dei fulmini. Con la--cornice, insomma, sono cadute tante altre barriere ; ed è a questo punto che la stessa superficie terrestre potè diventare come una grande scultura o come una tela smisurata: quando l'arte s> faceva «trasgressiva» ed era la terra a rivelare il proprio caratterizzante disegno. La mostra ha un suo significato progettuale che trova forse la sua più convincente esemplificazione nel presentare Del bello intelliggibile di Giulio Paolini. Questa volta Paolini ha realizzato la sua opera come un edificio: su colonne semplicemente disegnate come sui muri di un ambiente, ha fissato lungo un'architrave continua tutta una serie di cornici-metope, con immagini ripetute, eppur diversificate nella titolazione, che ha dedotto dal catalogo della Concografia nazionale di Roma. Le sequenze dei titoli si riferiscono infatti alle tecniche, agli autori attraverso i rispettivi autoritratti, quindi all'epoca e infine ai testi: con una stretta corrispondenza tra parola e immagine, tra l'occasionalità della ricerca e l'impegno di un'arte «pensata», capace di autotrasformazione, essendo in grado di restituire ad ogni figurazione il suo valore di oggetto culturale, con l'invito a esplorarne non soltanto le segrete possibilità, ma anche il dialettico inserirsi nel vasto invaso che raccoglie, all'interno della Mole. E si passa cosi al terzo momento dell'inconsueta rassegna, costituito dalle inchieste preparate da Franco Rositi, ed intese come -dispositivi per un colloquio col pubblico*. Il visitatore è invitato a scegliere per tre volte altrettante immagini, per l'interesse da loro suscitatogli o in rapporto con gli ambienti che le accolgono. Ognuno potrà sapere come le sue scelte si collochino rispetto a quelle dei visitatori che sino a quel momento si fossero già espressi. I dati finali, che potranno contribuire a definire il rapporto tra la mostra e il suo pubblico, si avranno ad ottobre e saranno discussi in un dibattito. Sapremo dunque, allora, come i visitatori avranno reagito di fronte ad una presentazione che li porta a scegliere, senza l'educativo discriminare tra originali e semplici riproduzioni fotografiche. Un rischio forse calcolato. Angelo Dragone

Luoghi citati: El Lissltsky, Roma, Torino