Stella gialla sulle Alpi

Stella gialla sulle Alpi DOCUMENTI INEDITI SUL 1942-'43 Stella gialla sulle Alpi (L'Italia e gli ebrei della Francia occupata) La polemica sulle persecuzioni degli ebrei durante la guerra scorsa, nonostante gli scritti di De Felice, Paxton, Duquesne, Poliakov e di tanti altri, è lungi dall'essere esaurita. Lo dimostra il libro recente di Walter Laqueur II terribile segreto, di cui Ennio Caretto ha dato ampia notizia su La Stampa del 22 aprile. Non sarà pertanto inutile estrarre dagli archivi alcuni documenti che possono recare una qualche luce sul comportamento delle autorità italiane in Francia, dopo lo sbarco anglo-americano nel Nord-Africa e conseguente occupazione della Francia ancora libera da parte delle truppe italo-tedesche. Nel novembre del 1942, la zona di occupazione militare italiana comprendeva la maggior parte del Delfinato, della Provenza e delle Alpi Marittime, più la Corsica. Il governo di Vichy che aveva conservato l'autorità amministrativa su quei dipartimenti, prese una nuova serie di misure antisemite, tra le quali l'obbligo di portare una stella gialla, quello della stampigliatura con il nome di «juif» sui documenti personali, e l'avvio immediato ai campi di lavoro degli ebrei celibi, anche se di nazionalità italiana, purché residenti in Francia dal 1933. In seguito a un rapido anche se complicato intervento del nostro ministero degli Esteri e delle nostre autorità consolari e militari, il provvedimento venne sospeso nella zona occupata dalle nostre truppe. «Il nostro atteggiamento, si legge nel dispaccio della delegazione militare di Nizza, ha suscitato un senso di viva riconoscenza da parte degli israeliti residenti nel dipartimento delle Alpi Marittime, che in tutto sono circa 3200, di cui 250 italiani». E poiché, nonostante questo, le autorità francesi avevano proceduto all'arresto di ebrei, con l'intento di internarli o di deportarli, intervenne lo stesso gen. Ambrosio, capo di S.M. generale, con un telegramma 'in chiaro indirizzato al Comando della IV Armata, con cui informava di aver fatto presente alle autorità di Vichy la necessità di revocare questi arresti: «Ho fatto infine rilevare, cosi si legge, che non trattasi di negoziato o richiesta, ma dì precisa notifica a governo francese, che politica verso israeliti in territorio francese di occupazione italiana è avocata ad esclusiva competenza autorità italiana». Allo scopo di evitare che nel frattempo le autorità francesi procedessero a nuovi arresti, invitò il comandante della IV Armata, gen. Avarna, ad agire presso le prefetture e le autorità locali «per la non (dico non) applicazione dei provvedimenti stessi». Venne presa in considerazione, persino, la possibilità di arrestare i prefetti «che si fossero resi responsabili di non aver ottemperato all'intimazione di soprassedere all'applicazione dei provvedimenti antiebraici». Purtroppo nelle zone occupate dalle truppe tedesche, insieme con quelli francesi furono arrestati anche ebrei italiani. Le nostre autorità diplomatiche e consolari fecero allora il possibile per «agevolare ed accelerare» le pratiche di rimpatrio degli ebrei italiani. Grazie agli accordi presi dalla nostra rappresentanza di Parigi con le autorità germaniche fu possibile far partire per l'Italia due gruppi di vagoni ferroviari carichi di ebrei (250-300 persone) dalla zona di prima occupazione germanica, e un gruppo di vagoni ( 150-200 persone) dalla zona a sud della linea di demarcazione. Ciascun gruppo era accompagnato da un impiegato consolare munito di liste debitamente controllate. L'operazione dovette svolgersi soddisfacentemente se da Torino la signora Vittoria Levi inviò agli Esteri il 29 mar/o del 1943 un telegramma in cui si legge: «In nome di tutti gli israeliti rimpatriati con il convoglio del 27 corrente inviamovi nostri più commossi e riconoscenti ringraziamenti per il caloroso accoglimento ricevuto». Analoghe disposizioni erano state date alle rappresentanze deU'Aja e di Bruxelles, affinché consegnassero al più presto alle autorità germaniche gli elenchi degli israeliti italiani (comprese le mogli ebree di cittadini ariani) da rimpatriare. Di fatto la situazione era difficile. Il sottosegretario agli Esteri Bastia ni ni respinse un tentativo del governo tedesco di intervenire con propria polizia per arrestare gli ebrei francesi e stranieri nella zona di occupazione italiana. Corse allora voce che 500 ebrei fossero riusciti a entrare in Italia alla spicciolata. Il sistema dei convogli, però, meglio garantiva l'incolumità dei partenti. Un nuovo gruppo di convogli partì ai primi di aprile, su intervento della nostra rappresentanza di Parigi, la quale sollecitò e ottenne che le prescritte autorizzazioni o visti per l'ingresso degli ebrei in Italia, che dovevano giungere da Roma, fossero affrettati. Con il passare dei giorni e con l'aggravarsi dei rapporti italo-tedeschi, la situazione degli ebrei, il cui numero (50.000) si era triplicato rispetto a quello originario, si fece sempre più difficile L'ambasciatore a Parigi, Buri, che aveva saputo da un telegramma dell'ambasciatore a Berlino che il governo germanico a partire dal 10 settembre avrebbe applicato agli ebrei stranieri residenti nel Reich e nei territori da questo occupati lo stesse trattamento stabilito per gli ebrei tedeschi, inviò una circolare ai consolati chiedendo di accelerare il rimpatrio dei ritardatari, ben compresi gli ebrei coniugati con ariani e i loro figli. * * Il 28 agosto ebbe luogo a Roma una riunione interministeriale presso il ministero dell'Interno, in cui si decise la concentrazione degli ebrei nella nuova zona francese di occupazione italiana, onde evitare la loro precettazione da parte dei prefetti francesi. Il Comando supremo ordinò a quello della IV Armata di agevolare il concentramento degli ebrei nel territorio di amministrazione italiana al di qua del Varo, provvedendo i mezzi di trasporto necessari. Poiché, dato lo svolgimento degli eventi, era prevedibile che vi dovessero essere trasferiti anche gli ebrei di Nizza, ci si orientò verso un concentramento degli ebrei a Mentone, località che in quei giorni il Comando della IV Armata aveva evacuato. Successivamente sarebbero rimasti in questa località solo gli ebrei cittadini dei Paesi in guerra con l'Asse; mentre tutti gli altri sarebbero stati rimpatriati. «Proposta inviare ebrei in campo dì concentramento nel Re¬ gno, si legge nel telegramma del console a Nizza, Spechel, è suggerita soprattutto dalla constatazione della sempre più accentuata ed incalzante ingerenza delle truppe germaniche e della Gestapo, che già avanzano loro nuclei collegamento nella zona occupata dalle nostre truppe». E' evidente che la situazione degli ebrei nella zona occupata dalle truppe italiane si faceva sempre più drammatica e urgente. Il neo-segretario generale del ministero degli Esteri, Augusto Rosso, telegrafò al Comando Supremo perché le nostre forze militari evitassero la precettazione degli ebrei francesi, e aggiungeva: «Data delicatezza materia appare evidente opportunità di procedere con discrezione riservandosi come ultima eventualità impiego elementi ebrei per lavori nella zona occupata dalle nostre truppe». In realtà i tentativi della nostra ambasciata di Parigi e delle nostre autorità consolari di ottenere la restituzione di un preciso elenco di cittadini ebrei italiani internati nei campi di concentramento di Drancy, di Romainville, di Compiègne, e dell'Hópital Rothschild si scontrano con il netto rifiuto da parte di quella polizia. L'ultimo documento che si trova agli atti, prima dell'annuncio dell'armistizio tra l'Italia e i Paesi alleati, è un telegramma cifrato di Rosso diretto all'Ambasciata di Parigi, in cui si comunica che potevano essere avviate in Italia «anche quelle persone (leggi ebrei) per le quali cittadinanza italiana, pur essendo dubbia, si presume potrà accertarsi». Le altre persone dovevano essere consigliate di trasferirsi nella zona occupata dalle truppe italiane «fornendo loro possibili agevolazioni». Si aggiunga, infine, che dai documenti consultati non si ha la sensazione che le autorità italiane fossero al corrente delle atrocità che attendevano i deportati, e neppure che esse fossero mosse, principalmente, da motivazioni diverse da quelle di umanità e di giustizia. Enrico Serra