Teorema francese di Mario Pirani
Teorema francese Socialisti alla prova, anche per l'Italia Teorema francese E' in grado la sinistra di governare in un periodo di recessione, d'inflazione, di crisi del sistema monetario? Questo l'arduo interrogativo che l'avvento travolgente di Mitterrand propone non solo ai francesi ma anche agli altri socialisti europei, dai socialdemocratici tedeschi e scandinavi, agli eurocomunisti e ai socialisti di casa nostra, ai laboristi inglesi. Un denominatore comune limita, infatti, le possibilità di attuare i postulati fondamentali di un programma socialista di tipo occidentale, da sempre basato sul Welfare State e sulla spesa pubblica, utilizzata secondo le teorie per lungo tempo vincenti di lord Keynes. Ma oggi non è più cosi. Come ci diceva qualche settimana fa Heinz Otto Vetter, capo dei sindacati tedeschi, «tre fatti nuovi hanno stravolto i dati fondamentali della nostra prospettiva: il prezzo del petrolio, la corsa del dollaro, la concorrenza giapponese». Sono queste realtà esterne che erodono tutti i margini per una politica espansiva della spesa pubblica e per un rilancio del Welfare State, a meno che non si voglia precipitare nella spirale inflazionistica e nello squilibrio crescente della bilancia dei pagamenti. E neppure a Parigi basta intonare all'unisono la Marsigliese e l'Internazionale per esorcizzare il pericolo. Lo sa bene Jacques Delors, ministro dell'Economia, la cui azione fin dal momento dell'insediamento, subito dopo la grande kermesse alla Bastiglia, è stata caratterizzata dalla prudente fermezza di chi ha ben presente la necessità di difendere il franco e di «non ripetere le sciocchezze del '36» che liquidarono in un anno l'esperienza anche allora esaltante del Fronte popolare. D'altra parte la sinistra sarebbe egualmente condannata se. cedendo alle lusinghe di una strategia classica di contenimento della spesa, si limitasse a seguire le piste che hanno portato Giscard alla sconfitta. Né va dimenticato che Mitterrand ha ricevuto un'eredità segnata da un tasso di disoccupazione, decuplicato in sette anni, del 7,6 per cento (un dramma che in Francia viene vissuto con l'intensità emotiva che in Germania suscita l'inflazione), un'inflazione che oscilla sul .13 per cento, una diminuzione della produzione dell'8 per cento, una bilancia commerciale in deficit e un buco di SO miliardi di franchi nella spesa pubblica. Sono tutti dati che compri mono l'economia francese, ep pure non è possibile al nuovo governo ignorare che la spinta popolare, che ha raccolto dietro le bandiere di Mitterrand un blocco sociale che salda il proletariato ai ceti medi, ha trovato la sua giustificazione in una domanda, sia pure generi ca, ma non per questo meno possente, di «cambiamento» In Francia, d'altra parte, lo spazio per un cambiamento possibile esiste: esso è dato dalle profonde ingiustizie di classe che caratterizzano quella società in rapporto al resto d'Europa, dai Paesi socialdemocratici alla stessa Italia. Il ventaglio salariale tra retribu zioni minime e massime è più ampio che altrove, l'ingiustizia fiscale marcata, le condizioni e i rapporti di fabbrica più arretrati e avvelenati dal razzismo contro la manodopera straniera. D'altro canto la Francia gode di un margine di manovra destinato ad ampliarsi col passar degli anni: esso è costituito dalla politica energetica avviata da Giscard che già ha ridotto il peso del petrolio al 53 per cento del bilancio energetico e che nel 1990 renderà il Paese completamente autosufficiente per la produzione di energia elettrica. Su questa base la stabilità del franco, la competitività dell'industria, il controllo dell'inflazione sono destinati a diventare entità sempre più controllabili. A questo si aggiunge un'altra eredità positiva lasciata dal duo Giscard-Barre e, cioè, una ristrutturazione profonda dell'apparato industriale orientato verso lo sviluppo dei settori chiave del futuro ad alta tecnologia. Da questi punti di vista il socialismo francese, se non com¬ metterà errori troppo gravi, è destinato ad avvantaggiarsi proprio sui tempi lunghi e a trovarsi in condizioni competitive aggressive e crescenti; soprattutto nei confronti di Paesi come l'Italia, restati alla retroguardia su tutto il fronte. Per quanto riguarda l'energia, ad esempio, è facile prevedere che presto dipenderemo non solo dagli sceicchi ma dai funzionari del governo di Parigi. Viceversa la vittoria dell'equipe mitterrandiana, che, accanto ai tecnocrati illuminati, comprende anche l'ala marxisteggiante e avveniristica dei Joxe, degli Chévenernent, dei Fabius, può deteriorarsi rapidamente se le sorpassate ricette keynesiane, sbandierate durante la campagna elettorale, verranno prese sul serio. Il rilancio della domanda con l'obiettivo di una crescita del 3 per cento, si tradurrebbe rapidamente in una spinta inflazionistica di tipo italiano, nello squilibrio della bilancia dei pagamenti, nel crollo del franco con la probabile uscita dallo Sme e il ripiegamento su posizioni protezionistiche. L'altro punto che rivela la vetustà del programma sociali¬ sta riguarda la nazionalizzazione di una decina di gruppi industriali e di banche private. Gioca qui la polverosa illusione giacobina della «stanza dei bottoni» da cui lo Stato controllerebbe i flussi economici. Né le catastrofiche esperienze stataliste del socialismo reale né la penosa degradazione dell'industria pubblica italiana, sono evidentemente servite per rinnovare l'armamentario ideologico del pensiero socialista francese. C'è chi spera che. una volta affermatosi al potere, Francois Mitterrand riporrà nel cassetto simili anticaglie. Ma costoro non valutano che l'intelligenza politica non sempre si coniuga con la cultura economica ed è assai probabile che il vecchio avvocato radicale, diventato leader del più forte partito socialista europeo, caldeggi in assoluta buona fede certe idee alla De Martino. Come forse profeticamente scrive Aron: «Penso che gli scettici si sbaglino e facciano ingiuria ci presidente della Repubblica, lo non dubito che egli creda realmente al suo socialismo, anche se questo si traduce in cliché». Mario Pirani
Persone citate: De Martino, Fabius, Francois Mitterrand, Heinz Otto Vetter, Jacques Delors, Joxe, Keynes, Mitterrand
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