Non ancora domate le rabbie del Po

Non ancora domate le rabbie del Po I FIUMI D'ITALIA: DA TORINO AL DELTA NELLA GRANDE PIANURA Non ancora domate le rabbie del Po Lo scolmatore sullo Scrivia protegge Tortona, un bacino sul Secchia salverà Modena - Ma più oltre la pianura si è abbassata e il fiume scorre pensile, alto 15 metri sui campi, mentre un saccheggio insensato di sabbia e ghiaia erode le rive e scopre i piloni dei ponti - L'inquinamento è altissimo: ogni anno la corrente eversa in mare il carico di una grossa petroliera Al Ponte della Becca, monumento di ferro sulla confluenza del Ticino che scorre lento e grigio nel tramonto nebbioso, il Po acquista l'apparenza del grande fiume. Un'isola sabbiosa, un lontano orizzonte di pioppi, zattere e case galleggianti. Il silenzio é rotto ogni tanto dal rumore di un'escavatrice che estrae sabbia e ghiaia, dando il suo contributo alla progressiva alterazione del corso del Po. Ma non è un grande fiume, dicono gli idraulici: piuttosto un gran torrente, gonfio e pericoloso in piena, punteggiato da secche nei periodi di magra, irregolare nel suo andamento e nel disegno nascosto del suo alveo, navigabile con prudenza dal Porto Cremona al mare ma tuttora scarsamente utilizzato dai convogli di chiatte. Insidioso perché manomesso dall'uomo, il primo fiume d'Italia (642 km contro i 1325 del Reno, gli 812 del Rodano) fa meno paura che in passato, dicono al Magistrato del Po, istituto sorto dopo le disastrose inondazioni del 1951, su ispirazione del « Magistrato dei saggi» che già nel 1397 si occupava dei problemi idraulici nel Veneto. «Probabilmente le migliorate difese potrebbero resistere a una piena da 12 mila metri cubi il secondo. Certamente sono sopportabili 8000-8500 metri cubi-secondo», ha affermato al conve¬ gno dì idraulica padana il presidente del Magistrato del Po, ingegner Gian Domenico Cammarata. Una volta bastavano 7500 metri cubi-secondo per far temere il peggio. Nel novembre 1951, la tristemente famosa trotta di Occhiobello» fu dovuta a una piena di 10.300 metri cubi-secondo. Vennero allagati 113 mila ettari di campagne coltivate, ci furono vittime e sofferenze umane che ancora oggi le fotografie documentano con immagini terrificanti. Altre inondazioni nel 1966, nel 1968, nel 1970, e poi quasi una ogni anno fino al 1978. La Mesola «Possiamo sentirci veramente sicuri?» domandano gli abitanti delle aree agricole del Polesine (le loro case sono sotto il livello del Po, che corre tra argini artificiali alti come palazzi a 5 piani). E la domanda si ripete nel Modenese, lungo le rive tra Piacenza e Mantova, anche nel Pavese che ha recentemente sofferto una limitata inondazione. Il professor Marco Bondesan, docente all'Istituto di geologia dell'Università di Ferrara mi dice: «Non dobbiamo abbandonarci all'ottimismo. E' vero, il volume delle acque può arrivare senza pericolo a misure molto maggiori che in passato, perché gli argini sono stati alzati e rinforzati, perché il Magistrato del Po ha compiuto ottimi interventi. Ma gli argini sono soggetti all'erosione, potrebbero cedere». L'erosione è la nuova minaccia, ancora dovuta all'uomo. Come l'inquinamento chimico, sempre più forte. Da Torino al delta (modificato nel Seicento dalla Serenissima) il Po racconta una storia di interventi umani che, a nostra vergogna, hanno sempre più i connotati del disprezzo delle leggi naturali. Si è preteso di ottenere tutto dal bacino del Po, senza preoccupazioni per le conseguenze. Un tempo il fiume scorreva incassato tra le rive, come avviene ancora oggi nel tratto piemontese fino a Casale, avendo la libertà di espandersi a ogni piena su rive incolte, coperte dì boschi e di macchie che funzionavano da freno. Nei tre secoli di dominio veneziano il Polesine fu in pace con la natura, perché il -Magistrato dei saggi» ne conosceva bene le leggi. La Mesola era un luogo di piaceri, non di paura: caccia al cervo, recite, musiche, dispute letterarie. Poi le bonifiche, male accolte dalle popolazioni locali (nei primi anni del Regno d'Italia dovettero intervenire i carabinieri). Fu necessario alzare gli argini, il fiume divenne pensile e l'acqua rallentò il suo deflusso, mentre dalle montagne disboscate arrivavano enormi quantità di materiali solidi, fino a 30 milioni di tonnellate l'anno. Il letto si alzò, gli argini dovettero essere alzati in proporzione, innescando una gara insensata (intanto sprofondava il suolo del Polesine, effetto dell'estrazione di acqua e metano). «Oggi assistiamo a un fenomeno inverso, dovuto prevalentemente all'estrazione di ghiaia e sabbia dall'alveo principale e ancor più da quello degli affluenti», mi dice il geologo Bondesan. Per la costruzione delle autostrade e negli anni del -boom» edilizio, fiumi e torrenti vennero letteralmente saccheggiati. Sabbia, ghiaia, materiali lapidei in generale, vennero estratti senza limiti, anche per l'esportazione in Svizzera (Paese che tutela i suoi corsi d'acqua). Il saccheggio continua, ed ecco la crescente erosione delle rive, degli argini ricostruiti. Sono messe allo scoperto le basi dei piloni dei ponti. Due custodi Il *Magistì ato del Po» deve riparare i guasti provocati dallo sfruttamento insensato, non dai capricci del fiume. Lo scolmatore Ossona-Scrivia protegge Tortona dagli allagamenti. Lavoro di maggiore impegno, ormai concluso, quello per la cassa di espansione sul Secchia, capace di trattenere 15 milioni di metri cubi. «Con una spesa modesta, 15 miliardi, si è messa in salvo Modena con le sue campagne», mi dicono al .Magistrato del Po». Altre opere: il rafforzamento degli argini nel delta (alcuni hanno una base di 50 metri), la modifica delle curve che strozzano il Po. Molto importante: funziona un centro di raccolta dei dati idrometrici, raccolti anche sulle Alpi, per prevedere con largo anticipo l'arrivo dell'onda di piena e dare l'allarme se necessario. Però mancano gli uomini. «Nel tratto Parma-Modena-Reggio, abbiamo due sorveglianti idraulici. Quando arriva la piena impazziscono, sono costretti a correre giorno e notte», mi dicono al «Magistrato del Po». Dopo troppi anni spesi dallo Stato nel tamponamento dei disastri, si lavora su un piano triennale, e si studia il famoso progetto «Simpo», in nuova edizione aggiornata, scientificamente. Ecco in sintesi: nel delta un canale diversivo per dimezzare i 12 mila metri cubi-secondo della massima piena, a monte sette sbarramenti per consentire la navigazione a navi fino a 2000 tonnellate, serbatoi di acqua per uso irriguo, produzione di 1 miliardo e mezzo di kWh l'anno per mezzo di sette centrali idroelettriche costruite sugli sbarramenti, assieme a impianti per l'ossigenazione del fiume inquinato. Il progetto «Simpo» non riceve giudizi unanimi. Ha però il pregio di offrire una visione unitaria dei problemi del Po, compreso quello dell'inquinamento. E' gravissimo, soprattutto quello di origine chimica. Il ddt è stato trovato persino alle sorgenti del Po. Da uno studio del professor Marchetti, ordinario di ecologia all'Università di Milano, risulta che il fiume trasporta ogni anno in Adriatico 3 mila tonnellate di detergenti, 64 mila di olii e idrocarburi (l'intero carico di una grande petroliera), 2600 tonnellate di zinco e ISSO, di rame, 485 tonnellate di piombo, 65 tonnellate di mercurio. Altre ricerche fatte da diversi istituti per conto delle Regioni aggiungono la presenza di cromo e cadmio, e forti quantità di fosforo e azoto, causa del fenomeno delle alghe rosse in Adriatico. L'inquinamento chimico è più grave dal Tanaro al delta. Lo conferma la scomparsa di molte specie di pesci. «Quest'anno non si è visto neppure uno storione, da qui a Piacenza. Soltanto pesci di cattiva qualità, che riescono a convivere col petrolio e altre diavolerie», mi dice il signor Folz, consigliere dell'associazione «Amici del Po» che ha la sua sede al Ponte della Becca. Usato come «terra e acqua di nessuno», il Po sopporta ben sette centrali termoelettriche, comprese due nucleari (Trino e Caorso), l'Enel vorrebbe aggiungere una supercentrale a carbone nei pressi di Bastida Pancarana (poco lontano da Pavia), una doppia centrale nucleare a Filippona nell'Alessandrino, un'altra a Viadana o S. Benedetto Po nel Mantovano. La protesta Un comitato di lotta contro la centrale a carbone di Bastida Pancarana, comprendente 16 Comuni, ha organizzato lunedi scorso una prima manifestazione sul Po. «Chiediamo che si rispetti la direttiva della Cee sull'impatto ambientale, verificando prima e non dopo la costruzione della centrale gli effetti sull'acqua, l'aria, il suolo, la fauna, e le loro interrelazioni», mi dice l'ex sindaco socialista di Pavia, Elio Veltri. Comitati analoghi rafforzano l'opposizione all'Enel e al Cnen per le centrali nucleari di Filippona e di Viadana, viste con timore dagli agricoltori (le derivazioni d'acqua per 2000 mW nucleari corrispondono alla portata del Po nei periodi di magra) e dalle popolazioni locali, tanto più dopo l'esperienza confusa di Caorso. Il dissenso e le apprensioni non vengono placati dalle promesse di premi in denaro ai Comuni, da generici discorsi rassicuranti. Per far sentire la loro voce, gli oppositori organizzano una » discesa ecologica del Po», con partenza da Torino il 30 agosto, su barche e canoe. A remi, ovviamente. Mario Fazio

Persone citate: Bondesan, Elio Veltri, Gian Domenico Cammarata, Mantovano, Marchetti, Mario Fazio, Modenese, Porto Cremona