Hemingway: usava meglio la penna che il fucile di Masolino D'amico

Hemingway: usava meglio la penna che il fucile VENTANNI FA MORIVA SUICIDA Hemingway: usava meglio la penna che il fucile Il due luglio di vent'anni fa — era domenica — verso le sette del mattino il famoso scrittore Ernest Hemingway si appoggiò alla fronte le canne di una doppietta e si fece saltare la calotta cranica, nella sua casa di Ketchum, Idaho. Trentatré anni prima suo padre, il dottor Clarence E. Hemingway di Oak Park, Illinois, aveva fatto più o meno la stessa cosa, puntandosi alla tempia un vecchio revolver della Guerra Civile. Anche le circostanze presentano forti analogie. Il dottor Hemingway era malato in modo incurabile, e manifestava da tempo infondate ma ossessive preoccupazioni finanziarie. Lo scrittore, solo sessantaduenne ma precocemente logorato dall'alcol e dagli abusi di una vita avventurosissima e costellata di incidenti, era diventato l'ombra querula e tremante di se stesso; aveva conservato appena l'autocontrollo necessario a evitare il ricovero in una clinica psichiatrica, dove la quarta moglie lo aveva fatto accogliere in seguito ad altri tentativi di suicidio, ma non appena rientrato fra le mura familiari non aveva più retto all'angoscia. Tanto rapido era stato il suo declino fisico, che il mondo fece fatica a comprendere come quella fine fosse stata una resa al male; lì per lì il gesto parve piuttosto un ultimo, clamoroso atto di sfida, in carattere con la conclamata spavalderia di un personaggio alla ribalta da decenni. ★ ★ La recente e splendida edizione delle lettere curate da Carlos Baker (E.H, Selected Letters, Charles Scribner's Sons, New York 1981, $ 27.50: se ne veda la recensione di Alfred Kazin, uscita su Tuttolibri), rimettendo l'accento sulla vita come componente della produzione letteraria di Hemingway ha confermato piuttosto clamorosamente i limiti e la grossolanità del personaggio pubblico, ovvero dell'immagine di se stesso che Hemingway laboriosamente creò o volle proiettarsi intorno. D'altro canto trattare le lettere come parte dell'opera di Hemingway è, per quanto ci riguarda, un abuso: spessissimo Hemingway dichiara di non considerarle assolutamente alla stregua dei propri scritti responsabili: le buttava giù in fretta, senza dar loro una forma, spinto soprattutto dal bisogno di comunicare con un amico, randagio com'era, e di ricevere una risposta; e lasciò ai suoi esecutori, chiara e tassativa, e puntualmente disattesa, l'ingiunzione di non autorizzarne, dopo le propria morte, la pubblicazione, totale o parziale. La decisione gli fa onore, non in quanto motivata dal desiderio di non divulgare pettegolezzi o giudizi aspri su terze persone, dei quali era sempre stato prodigo; ma in quanto senza dubbio dovuto al senso dell'insufficienza, dell'inadeguatezza formale di questi prodotti rispetto alla finitezza di quelli che licenziava per la stampa. Di ciò sono spia fra l'altro i numerosi errori di ortografia, le ripetizioni, le oscenità Si veda per queste ultime il passo del 28 luglio 1948, dove 10 scrittore parla dell'uso della parolaccia, facendo una distinzione importante fra lettere, ossia conversazione, e letteratura: «Vedi che ho usato quelle due parole, e se fossi uno scrittore più attento, ne avrei fatto a meno... Le usiamo per risparmiare tempo, lo quando scrivo non le spreco mai. Però parlo male, per via del dove e del come sono stato allevato...». Lo Hemingway delle lettere, sbruffone, esibizionista, violento, è insomma una pessima copia dell'artista infinitamente più complesso e raffinato, che si mostra nelle pagine dei libri. ★ ★ Proprio il contemporaneo coronamento della pubblicazione di un grande epistolario, con l'uscita dell'undicesimo e ultimo volume delle lettere di Byron (curate da L.A. Marchand per l'editore londinese John Murray) aiuta a smontare 11 bluff di Hemingway come personaggio. Byron, il prototipo dell'artista come uomo d'azione, dell'autore di una vita mirabolante e esemplare, di cui il pubblico cercava a bocca aperta i riflessi nelle opere — Ù mito era ancora ben vivo nella decadenza, e tutti conoscono la battuta di Oscar Wilde sul proprio ge- nio profuso nella vii , e solo il talento nei libri — Byron, i cui volumi nessuno cerca più, vive ancora oggi, irresistibilmente, in tutto quello che di lui ci parla in via diretta; ossia nelle sue estrose, disinibite, irriverenti, pirotecniche, impudiche ed eloquentissime lettere; e nel poema Don ]uan, dove appunto le qualità che per tutta la vita l'autore aveva sfoggiato quasi solo nelle lettere, a beneficio di pochi amici, finalmente assunsero sostanza di opera autonoma; e quell'indiavolato umorismo si rapprese in un capolavoro offerto a tutti. Diversissimo il caso di Hemingway, superficialmente il Byron del nostro secolo (pur non avaro di scrittori protagonisti anche con le circostanze della biografia), in quanto caso più clamoroso di tutti. Mentre di Byron affascina ancora la vita, e la letteratura con le eccezioni «autobiografiche» è morta, per Hemingway è vero il contrario. Dove Hemingway tentò di darsi un'identità riconoscibile — di essere personaggio — ossia nell'immagine pubblica e nelle lettere, che ne sono lo specchio — è insopportabile. La natura lo aveva fatto alto, bello e robusto; non pago, volle continue conferme popolari dei suoi primati in materia, con il narcisismo paranoico di un divo di Hollywood. Quasi tutte le sue pose oggi ci irritano. Il suo alcolismo era dopotutto un problema suo personale; anche se le tre bottiglie di Valpolicella regolarmente scolate con la prima colazione al Cipriani ci fanno rabbrividire. Le minacce ai rivali o ai recensori, e le scazzottate, fanno parte del pittoresco; anche se la lettera in cui si vanta di aver costretto a cinque giorni di letto il poeta e assicuratore Wallace Stevens è un po' ripugnante — per quanto «Papa» insista sull'alta statura del suo avversario, avremmo preferito al match una conclusione opposta. Impossibile da perdonargli appare invece l'assurdo, maniacale e da lui tanto celebrato massacro di un incalcolabile numero di animali, ai quattro capi del mondo e con impiego di risorse della tecnica moderna, come motoscafi e fucili ad alta precisione. Se è compito degli uomini di cultura dare un esempio, auguriamoci che questo deleterio caso di infantilismo sia consegnato all'oblio. Ben altrimenti rispettabile, invece, l'artista. Qui l'ubriacone, l'attaccabrighe, il millantatore, l'incorreggibile bugiardo (raccontò perfino di essere andato a letto con Mata Hari, fucilata prima del suo primo sbarco in Europa) cedono il passo a un lavoratore solitario e instancabile, a un ostinato e incontentabile cesellatore di una prosa il cui influsso sulla letteratura moderna, se più appariscente e talvolta, per via della sua imitabilità, più deleterio, non fu meno provvidenziale di quello dei suoi contemporanei J. Joyce, G. Stein, V.WocOf. Lo scrittore Hemingway deve la sua grandezza a una rivoluzione stilistica della cui portata è difficile rendersi conto col senno di poi; sopratratto da parte di chi come noi italiani lo conobbe inizialmente in traduzioni che per sottolinearne la componente innovatrice, calcavano la mano su una rozzezza ignota a chi legge l'origi¬ nale. Aiutandosi con un eccellente orecchio di musicista — era stato studente di violoncello — aperto agli influssi cosmopoliti, e in particolare studioso della stringatezza dei maestri francesi, soprattutto di Flaubert, fin da giovane Hemingway venne pazientemente elaborandosi uno strumento espressivo asciutto e levigato e funzionale rispetto a quelli correnti all'epoca della sua formazione, come una carabina Mauser poteva esserlo nei confronti dei fucili intagliati di un secolo prima. Che a tale strumento non sempre corrispondesse un adeguato bagaglio di cose da dire lo confermano, a volte clamorosamente, le cadute: nello Hemingway meno sorvegliato viene subito a galla un sentimentalismo appiccicoso, assolutamente a disagio in quella prosa, spia della lotta dello scrittore contro i propri istinti peggiori, coi quali sulla pagina era di solito spietato. In un gran numero di racconti brevi, in gran parte dei romanzi più noti, questo stile fascia la materia e in certo modo la suggerisce, come una carrozzeria aerodinamica esalta un motore; e quello che nell'uomo Hemingway era debolezza, decantato attraverso il filtro della sua arte esigente sopravvive nelle sue caratteristiche universali; e parla ancora. Masolino d'Amico Ernest Hemingway in una caricatura di Levine (Copyright N.Y. Revlew of Boòks. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa.)

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