«Per il bene di Israele lasciamo sorgere uno Stato palestinese»

«Per il bene di Israele lasciamo sorgere uno Stato palestinese» Appello di un leader ebraico americano «Per il bene di Israele lasciamo sorgere uno Stato palestinese» NEW YORK — L'articolo che segue appare oggi sul New York Times ed è destinato — almeno in molti ambienti dell'opinione pubblica e politica americana — a suscitare interesse, attenzione, probabilmente polemiche. L'autore infatti è uno del personaggi più in vista del movimento ebreo americano, è stato presidente del Congresso ebraico mondiale, è attualmente presidente della Jewish Policy Foundation e professore di storia ebraica alla Columbia University. Ciò che scrive, quasi in forma di appello a! primo ministro che viene oggi eletto in Israele, è la persuasione che uno Stato palestinese debba essere costituito al più presto. Le sue argomentazioni rovesciano 1 discorsi tradizionali sia dei «liberala» che del «conservatori». E sono destinate perciò a creare il nuovo terreno di un vasto dibattito internazionale. • Per i due principali partiti israeliani l'indipendenza palestinese della fascia di Gaza, pur nelle dovute garanzie di smilitarizzazióne e di sicurezza, è una prospettiva troppo disastrosa per essere presa in considerano- ' ne. Su ciò sono d'accordo il Likud e i laborìsti. Il giorno delle elezioni in Israele rappresenta pertanto un'occasione propizia per discutere il problema. Mettendo da parte tutte le argomentazioni sui diritti del nazionalismo palestinese, si può avanzare un punto di vista deciso, addirittura inconfutabile. L'occupazione a tempo indeterminato del territorio di Gaza, anche se dovesse durare non più di 14 anni, distruggerebbe Israele come Stato ebraico. La cosiddetta «soluzione dei due Stati», il voler insistere cioè che nella regione c'è spazio soltanto per Israele e Giordania, con il confine fra le due nazioni non definito, appare per Israele più pericolosa del «modello a tre Stati», che includerebbe uno Stato palestinese sulla cosiddetta riva occidentale. Una delle indicazioni più significative viene dal fatto che la popolazione araba di «Israele indiviso» è di almeno un milione e 750 mila, forse due milioni di persone, su un totale di meno di 5 milioni. E' vero che gli arabi residenti entro i confini israeliani antecedenti al 1967 sono cittadini israeliani, e pochi di loro sono coinvolti apertamente nella causa del nazionalismo palestinese, mentre il milione e più che affollano la riva occidentale sono cittadini giordani che, se Begin vincerà, otterranno un'«autonomia personale» e vivranno in un territorio integrato in Israele. Tuttavia, più presto del previsto, si avrà una maggioranza araba all'interno di «Israele indiviso», una maggioranza che inevitabilmente si costituirà in forza politica destinata a influire nella vita interna del Paese. Ciò d'altronde era chiaro fin dal 1967 a moderati come il primo ministro Levi Eshkol e il ministro delle Finanze Pinhas Sapir. La retorica di Yasser Arafat, che nel 1970 invocava uno Stato democratico di Israele basato sul principio «un uomo, un voto» nelle zone a maggioranza araba, verrebbe cosi realizzata non dalle «colombe» nei confronti dei palestinesi, ma dai «falchi» che si rifiutano di ritirarsi dalla Giudea e dalla Samaria. Nel mondo ebraico, sia in Israele sia nella «diaspora», l'opinione pubblica è divisa sulla continuazione dell'occupazione dei territori occidentali più che su ogni altro problema; e ciò avviene da quando lo Stato ebraico è stato fondato. Persino negli Stati Uniti, dove la retorica dell'appoggio a Israele è abituale, il disaccordo ormai è chiaro. Per la prima volta nella storia di Israele alcuni soldati — giovani come quelli une pattugliano i cieli settentrionali e che hanno eseguito senza discutere l'ordine di attaccare il reattore atomico iracheno — si sono rifiutati di prestare servizio sulla riva occidentale. Alcuni sono finiti in prigione per il loro atto di disobbedienza. L'aspetto più serio del problema riguarda il dibattito sulla sicurezza, Israele diventerà più sicuro mantenendo un'astiosa insubordinata «quasi-maggioranza» sotto il suo controllo? E se si dovesse realizzare il progetto laborista che prevede la restituzione di buona parte dei territori occupati alla Giordania la sicurezza di Israele si accrescerebbe? Re Hussein non ha dimostrato alcun entusiasmo per la proposta laborista, e non solo perché pretende l'intera restituzione della riva occidentale. Uno dei segicti peggio custoditi nel mondo politico riguarda appunto l'ipotesi che nella soluzione «a due Stati», i palestinesi si impadronirebbero rapidamente dello Stato giordano per aprire subito le porte ai rifugiati dei campi. In questo caso, 1' «opzione giordana» provocherebbe la nascita di una probabile base di sovversione degli interessi israeliani e americani nella regione. I palestinesi nei campi sono forse il motivo principale dell'interesse israeliano per uno Stato palestinese. Si calcola che siano almeno un milione. E' chiaro che non tutti potrebbero tornare sulla riva occidentale del Giordano. Nei negoziati per la soluzione che ora la maggioranza del mondo arabo dice di volere, cioè almeno la costituzione di uno Stato palestinese, Israele potrà insistere perché la grande maggioranza di abitanti, impossibilitata a rientrare nei territori occupati, sia assorbita dai «partners» arabi che partecipano alle trattative. Se questo Stato palestinese fosse creato dalla logica degli eventi, quindi contro il volere di Israele, Israele perderebbe l'occasione di esercitare un'influenza sull'estensione e sulla composizione della sua popolazione, e forse anche il controllo, con un trattato o altre garanzie, sul suo potenziale militare. Gli accordi di Camp David del 1978 precisano che il problema palestinese deve essere affrontato entro cinque anni. Toccherà dunque al governo che uscirà dalle urne. Chiunque sia il nuovo primo ministro, né Sadat né Reagan gli consentiranno di dimenticare quella scadenza, anzi, forse cercheranno di accelerarla. Domani mattina il primo ministro designato dovrà incominciare a preparare il suo popolo ad accettare il distacco della striscia di Gaza da Israele e la creazione di una nuova entità politica. Per il bene e la sicurezza di Israele, il governo che sta per assumere il potere non può dilazionare questo compito. Arthur Hertzberg

Persone citate: Arthur Hertzberg, Begin, Levi Eshkol, Re Hussein, Sadat, Sapir, Yasser Arafat