Un bugiardo alla corte di Pechino

Un bugiardo alla corte di Pechino Un bugiardo alla corte di Pechino QUALCHE anno fa usci per Einaudi, con ottimo successo, René Leus o il mistero del palazzo imperiale, romanzo postumo (scritto nel 1912) di Victor Segalen. contenente il ritratto dal vero di un giovane francese clnesizzato, che nella turbolenta Pechino degli inizi secolo millantava al narratore i suoi quasi incredibili e pur verosimili traffici con i massimi dignitari di quel morente regime, al punto di arrivare quasi a convincerlo della propria attività di eminenza grigia nella Città Proibita. Non meno straordinario appare, oggi che Hugh Trevor-Roper ne ha ricostruite le gesta, in «L'eremita di Pechino», appena uscito da Adelphl nella traduzione di Gabriella Luzzani, (453 pagine. 14.000 lire) un altro personaggio che più o meno negli stessi anni riuscì a convincere molti europei tutt'altro che sprovveduti delle proprie quasi completamente Immaginarle entrature nelle alte sfere politiche del Celeste Impero. Nato da famiglia quacchera, banchieri per tradizione, il futuro Sir Edmund Backhouse era stato inizialmente una pecora nera, suscitando preoccupazione nei suoi con certi debiti fatti mentre si trovava a Oxford, dove Inve1te di studiare si era mescolato con l'ambiente di giovani esteti e omosessuali gravitante intorno a Oscar Wilde (per il quale fra l'altro tentò di organizzare una colletta al tempo del processo). Taci. tati in qualche modo i creditori, Backhouse secondo le notizie «ufficiali» avrebbe quindi messo la testa a partito; durante un protratto grand tour, di cui si sa poco, imparò perfettamente il francese e il russo — era un linguista eccezionale — e infine si stabili intorno all'inizio del secolo a Pechino, città che sarebbe rimasta il principale teatro delle sue operazioni. Da Pechino gli venne grande notorietà europea quando, nel 1910 e nel 1914, collaborò con l'eminente sinologo J. O. P. Bland a due libri a lungo considerati fondamentali, l'uno sul regno da poco concluso dell'Imperatrice Vedova, l'altro con annali e memorie della corte di Pechino durante l'epoca precedente. Poco dopo Backhouse si rese benemerito donando all'Università di Oxford una immensa e inestimabile raccolta di manoscritti e opere d'arte cinesi, salvati ai saccheggi seguiti alla rivolta dei Boxers; e per poco non ottenne, subito dopo, la cattedra cinese presso quell'Ateneo. Deluso In questa aspirazione, si contentò di restarsene in Cina, solitaria figura di erudito di cui il mondo accademico rimase in vana attesa di nuove ope- re fino alla morte, sopraggiunta nel 1944. Tali i dati noti, fino a quando, in tempi assai più recenti, il celebre storico Hugh Trevor-Roper non fu sollecitato a cercare di saperne di più , da una circostanza piuttosto singolare. Provenienti dalla Svizzera, gli pervennero nel 1973 due volumi inediti di ricordi autobiografici, dettati da Backhouse ormai vecchio, In seguito alle insistenze e anche grazie al finanziamento di un suo ammiratore, tale professor R. Hoeppli, console svizzero a Pechino. 11 quale si era impegnato a ottenerne la pubblicazione. Ora, il contenuto di questi volumi, sulla cui qualità letteraria Trevor-Roper si esprime negativamente (e che comunque non cita che in minima parte: lasciandoci pieni di curiosità), era poco credibile per non dire sorprendente. In uno Backhouse descriveva una gioventù a stretto contatto con tutto un Walhalla di grandi autori tardo ottocenteschi, fra 1 quali spiccano Verlaine e Tolstoi; nell'altro riandava al suo primo periodo pechinese, contrassegnato da una non disslmile famigliarità con i più alti dignitari di quella Corte, Imperatrice non esclusa. Fin qui passi pure, ma anche uno svizzero avrebbe dovuto perlomeno insospettirsi davanti al condimento di queste memorie, che è la descrizione senza veli di una instancabile attività etero e soprattutto omosessuale, in una serie di contatti singoli e di orge. Il culmine è raggiunto nei rapporti con l'Imperatrice Vedova, all'epoca più che settantenne, le cui brame Backhouse riesce brillantemente a soddisfare. Assai incuriosito dal documento, e per sua stessa dichiarazione memore della famosa e in qualche modo analoga scoperta del precedentemente ignoto «Baron Corvo» per mano dello studioso A. J. A. Symons, il quale ne narrò le tappe, stimolante da un-ritrovamento iniziale quasi fortuito, nel l'appassionante e giustamente acclamato volume Alla ricerca del Baron Corvo, Trevor-Roper volle compiere qualcosa di analogo: e lasciando, forse troppo severamente, inediti - due volumi di «autobiografie», strutturò il suo studio intorno alla ricerca della vera identità di Backhouse. A differenza di Symons, però, critico letterario assai ammirato dell'artista Corvo. Trevor-Roper in quanto storico appare continuamente sdegnato dalle manovre di Backhouse, nel quale finisce per riconoscere il nemico ancestrale della propria professione. In un crescendo rossiniano (riscatta qui il banale aggettivo quel che di gioiosamente, serenamente tripudlante nelle proprie macchinazioni, che a posteriori la carriera di Backhouse sembra possedere) Backhouse non fece altro, in vita sua, che falsificare minuziosamente, a ciò dedicando la sua vasta e singolare cultura, la Verità. Se non riuscì a essere un grande scrittore — ce lo garantisce Trevor-Roper, che è uomo onorevole — fu certamente un geniale artista nelle manipolazioni che architettò, e dalle quali sembra non abbia mai. tratto utile alcuno, appagandosi del puro e segreto piacere della beffa. I dati concreti della sua vita fin qui elencati non toccano che alcuni momenti: le memorie senili, che ingannarono praticamente il solo Hoeppli; i volumi eruditi, che invece furono ammirati da molti esperti, e alla cui base erano documenti contraffatti con grande abilità. Ma c'è molto, molto di più, e tutto U resto che ora sappiamo è stato svelato dall'ai"fascinata e non di rado affascinante attività di segugio di Trevor-Roper, il quale, partendo da indizi apparentemente trascurabili, ha ricostruito alcune imprese veramente omeriche. Nel 1915, a guerra appena iniziata, quando l'Industria bellica britannica stentava a prendere il passo richiesto, Backhouse convinse il governo inglese che, grazie ai suoi contatti, era in grado di acquistare centinaia di rnigliaia di fucili e di altre armi S i da fuoco in Cina. Dòpo cóm- ' plica te trattative, gli ufficiali di Sua Maestà si misero ad aspettare fiduciosi una immensa flotta carica di armi, che sarebbe dovuta giungere a Hong Kong — ma che all'ultimo momento fu «dirottata», e della quale si impiegò parecchio tempo a capire che non era esistita mal. Un'altra volta Backhouse convinse una grossa ditta americana a investire una somma nell'acquisto di certi strepitosi pezzi di antiquariato e gioielleria, di cui stilò l'Inventario, arrivando fino a Inviare un regolare contratto con le firme di alcuni fra i principali dignitari dell'epoca... ecc., ecc. E confessiamolo pure: non riusciamo, leggendo l'eccellente (seppure un tantino prolisso) libro di Trevor-Roper, a provare neppure un briciolo di disapprovazione. La nostra indulgenza in considerazione dei meriti «artistici» di Backhouse — sulla cui formazione decadente giustamente Trevor-Roper mette l'accento: e certo la sua carriera sarebbe piaciuta a Oscar Wilde, cantore dell'avvelenatore-esteta Wainewright — non deve però diminuire la riconoscenza per il magnifico lavoro di riesumazione: lavoro che non esaurisce certo l'argomento. Di Backhouse sentiremo certamente riparlare. Maso lino d'Amico Trevor-Roper svela la storia di Edmund Backhouse, l'erudito inglese che ingannò Oxford con i suoi falsi memoriali L'Imperatrice Vedova w Edmund Backhouse