Campanile: peccato, peccato che di qui dobbiamo andarcene di Achille Campanile

Campanile: peccato, peccato che di qui dobbiamo andarcene Benigno, opera postuma dell'umorista Campanile: peccato, peccato che di qui dobbiamo andarcene ACHILLE Campanile aveva da parte una sorpresa, destinata ai posteri: un personaggio che pensa, discute in lunghi soliloqui notturni il problema di Dio e gli ultimi destini dell'uomo, si preoccupa per le sorti sconsolatamente aleatorie dei suoi simili. E questo personaggio è lui, smascherato con intenzione da tanti particolari autobiografici. Dietro la figura di Benigno c'è lo scrittore che ha coltivato tutta la vita il desiderio di lasciare l'opera alta, quasi per riscattare il proprio nome dalla qualifica consumante e forse, per lui. un po' degradante di umorista. C'è l'uomo che ha giocato a scomporre la parola in una serie infinita di nonsenses e ora sembra cercare un senso diverso in quel gioco. Per fortuna questo personaggio è anche pieno di umori e insofferenze, lascia i filosofemi alla notte e vive alla giornata, sempre in fuga da se stesso, perseguitato dai propri tic, quasi compiaciuto dai contrattempi che si tira addosso. Benigno è opera postuma per vocazione, si direbbe per necessità. E' il libro che l'autore delle • Tragedie in due battute» si portò dietro per decenni, come il suo protagonista si trascina di albergo in albergo la valigia che non aprirà mai. Una lunga saga personale, di cui appare ora, con prefazione di Carlo Bo, la parte intitolata «La casa dei vecchi». E fin dal titolo indica lo spirito dell'intero ciclo. La casa è il mondo dello scrittore, come il trasloco, con cui il romanzo praticamente si apre, la sua unica possibilità di avyentura. Le storie più seducenti sono quelle che sprigionano dai mobili tarlati, dai quadri dei bisnonni riapparsi d'improvviso alla luce. La vita vera è quella portata dal parentado, importuno, perfino un po' becero, ma umanamente certo. In questo spazio, dove l'universo si riduce a famiglia, gli interrogativi ultimi devono stringersi nelle dimensioni delle stanze e dei corridoi, secondo l'ottica felicemente diminutiva dell'umorista, che tocca i grandi problemi per riprecipitarli nella realtà quotidiana. L'autoironia con cui Campanile registra le preoccupazioni piccolo borghesi dei suoi personaggi («Che cosa dirà il portiere?») è assai più genuina del mèlo che lo impiglia in generiche divagazioni esistenziali. E, sicuramente, lo aiuta a superare le secche di un rondismo retrodatato, inautentico, dove lo scrittore rischia qua e là di arenarsi. Dietro il filosofo di seconda classe c'è, a salvarlo, l'osservatore sorridente e irridente, che fulmina i nodi del pensiero con una battuta: mio, messo in un mondo che non ho creato io, debbo servirmi del fuoco e delle bistecche per prepararmi il cibo. Ma il Creatore di tutto, come ha creato il fuoco e gli animali poteva benissimo creare le bistecche già cotte, se queste fossero il suo vero scopo». La sua filosofia vera scatta dall'interno del paradosso verbale, è legittima solo quando intuisce la contraddizione dell'essere, e la risolve in riso: 'Pregava per credere. E mentre pregava gli pareva che tutti i pregati stessero affacciati sulle nubi a guardarlo ridendo e dicessero: guarda quello scemo, ci prega e noi non esistiamo». Ma lo stesso riso che nasce dal dubbio è quello che consente l'ipotesi della fede: 'Tutte le idee bizzarre, liete, da ridere, ci vengono da Dio». Un «Dio grazioso», come piace al suo Benigno, che chiede su di sé un'attenzione rapida, senza pretese di esclusiva, e sembra lasciare il protagonista al suo vagabondaggio feriale, fra le liti con i parenti e le avventure con le ragazze, in un corteo di vecchie fantesche, bambini strillanti, ballerine avvizzite, gentildonne rompiscatole, tutto il repertorio più tipico del gran teatro campaniliano. La domanda di fondo, che ritorna a ogni svolta, non è mai perentoria, la risposta cerca tutti i margini del possibile, anche nel definitivo: minvece si muore. Peccato. Si fatica si fatica e, quando tutto è sistemato, ce ne andiamo. Sarebbe bello restar tutti, sempre cosi. Peccato. Peccato». Con leggerezza, quasi con divertimento. Giorgio Calcagno Achille Campanile, Benigno. Rizzoli, 270 oaqine 10.000 lire. Achille Campanile

Persone citate: Achille Campanile, Campanile, Carlo Bo, Giorgio Calcagno