Alla scoperta dell'altra Spoleto sulle tracce di Annibale e Lucrezia Borgia

Alla scoperta dell'altra Spoleto sulle tracce di Annibale e Lucrezia Borgia Itinerari: la città del Festival Alla scoperta dell'altra Spoleto sulle tracce di Annibale e Lucrezia Borgia SPOLETO — I due ideatori del Festival. Giancarlo Menotti e Tommy Schippers. non ebbero certo a scegliere Spoleto per un caso. Girellando per l'Umbria, s'imbatterono in una città che. pur con i suoi soli trentamila abitanti, possedeva più teatri di Torino: ma vi trovarono anche un'antologia di bellezze nascoste, che dai Romani arrivavano fino al grande Rinascimento passando per i Longobardi. Questa è la vera Spoleto, quella che rimane anche dopo l'ondata festivaliera e mondana della manifestazione. E questa è la Spoleto che il visitatore attratto da una parata di stelle deve badare a non perdersi: segreta, quasi misteriosa, eppure caparbiamente affascinante nei suoi luoghi imprevedibili. Prima di tutto, il Duomo, naturalmente (nella stessa piazza ascoltate i rituali Concerti di Mezzogiorno), romanico duecentesco anche se manomesso quattro secoli dopo, una splendida facciata affiancata dal Campanile originario, con tre navate e una grande abside: chiedete al sacrestano, con una modesta mancia, di aprirvi la cappella per vedere l'affresco del Pinturicchio, mentre da voi potrete ammirarvi i quattro grandi affreschi di Filippo Lippi, morto a Spoleto e proprio nel Duomo sepolto. Nella stessa piazza si trova lo splendido, cinquecentesco Palazzo Arroni: sull'architrave d'una finestra, potete leggere un lapidario commento di vita: «Babylon orbis universus» (tutto il mondo è una Babilonia). Di fronte, c'è il Caio Melisso, ovverossia, com'è stato ormai universalmente denominato, il «teatrino-bomboniera» di Spoleto. Il palazzo è più antico, ma il teatro (non sembra) è appena del 1880. Funziona praticamente, durante i giorni del Festival, da mezzogiorno a mezzanotte. Se resisterete alla temperatura torrida, fermatevi una decina di minuti a non guardare soltanto quel che avviene in palcoscenico. E subito dietro questo gioiello, rivolgetevi al custode del Teatro (anche qui una piccola mancia), dove tra iscizioni romane sarcofagi e marmi vi farete mostrare la «chicca» di un autografo di Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI che. incinta di sei mesi, fi «spedita» dal Pontefice a reggere la città. Vi leggerete: • Placet ut supra Lucretia de Borgia». La scalinata, dolcemente degradante verso il Duomo, è uno spettaccolo a sé. pittorescamente affollato durante il giorno e letteralmente preso d'assalto il pomeriggio del conclusivo «Concerto in Piazza». Di sculture contemporanee ne trovate anche qui (a parte l'imponente e bellis-. simo Calder che vi accoglie nel piazzale della Stazione, se arrivate col treno). E' un segno inconfondìbile di una cittadina che. trecentesca nelle sue linee, nei suoi colori, nei vicoli stretti e impennali tisi, non esita a mostrare Marini o Manzù. Un po' più su. evitando sempre, con la massima cura, di visitare le mostri- ciattole di finti artisti che fioriscono in quei giorni (cosi come i prodotti di un inesistente, ahimè, «artigianato locale», c'è il Palazzo Campello, ormai affettuosamente ribattezzato «casa Menotti» perché vi abita lui. il Duca di Spoleto. Da Palazzo Campello un'occhiata, solo da lontano purtroppo, alla rocca eretta nel tardo Trecento e soggiorno abituale di numerosi Papi. Dico purtroppo, perché è ancora sede del penitenziario locale, a disdoro quarantennale di almeno tre ministeri congiunti. (Grazia e Giustizia. Beni Culturali e Pubblica Istruzione). Comunque, quasi ogni anno in occasio- ne dell'afflusso turistico, i detenuti improvvisano dai tetti un'impressionante manifestazione di protesta. Altri «gioielli» veri e propri: l'Arco di Druso (23 dopo C). vicino alla brulicante Piazza del mercato (una bella Fontana) e passati davanti al Palazzo Comunale (d'estate, la Pinacoteca è aperta solo di pomeriggio), eccovi in una salìtina che nel cortile del Palazzo Arcivescovile vi offre un altro nudo e perfetto esempio romanico, la Chiesa di Santa Eufemìa. LI fu trasportata e sepolta la salma di un vescovo. San Giovanni, martirizzato dai Goti nel VI secolo e trovato — dice una leggenda — J& quattrocent'anni più tardi dalla badessa Gunderanda. attirata in un giardino dalle fiammelle che ardevano nottetempo, nel buio della campagna. Ma di chiese, a Spoleto, ce ne son proprio tante, quasi più che a Roma, basta saperle trovare. Almeno sei vanno segnalate (ma son poche, per un curioso): San Gregorio Maggiore, dodicesimo secolo con un campanile coevo (e 11 nei pressi c'è il «Ponte Sanguinario», detto cosi per via dei molti martiri cristiani): Ss. Giovanni e Paolo, nei presssi del Teatro Nuovo, stessa epoca; San Domenico. 11 vicino, a bande bianche e rosse, dove si può vedere un bel crocefisso trecentesco: San Nicolò con la sua altissima abside poligonale, anch'essa sede di tanti spettacoli (vi ha sede anche la Gallerìa d'Arte Moderna nell'adiacente antico Convento): ma le due autentiche «perle» sono alla periferia: San Pietro, a un passo dalla Flaminia, addirittura del quinto secolo, e (conviene fare la strada a piedi, cosi si attraversa l'impressionante Ponte delle Torri), due chilometri più in là. San Salvatore, paleocristiana, la più antica di Spoleto. Per chi ama il brivido in via Garibaldi c'è la Torre dell'Olio, da dove il liquido bollente veniva versato sui nemici. Per chi vuole rievocare gli studi liceali c'è a un passo la Porta Fuga, o di Annibale, per lo scorno della resistenza spoletina ai cartaginesi cantata da Tito Livio. E per una pausa serena fuori città ci sono Monteluco. immersa nel bosco di lecci, un tempo bosco sacro, un'aria d'incanto, le Fonti del Clitunno con le sue verdi isolette e i salici piangenti cantati da Giosuè. Ma soprattutto bisogna godersi Spoleto. E tornateci magari, dopo il Festival. I vicoletti irti, le mura ciclopiche, la confusione di stili clie vi regna, la quiete. E il profumo, dolce, penetrante, dei suoi glicini. Giorgio Polacco q gggFONTI ìfàJÈ&£m ti-