Non lasciamo che l'arte si nasconda nei nostri musei

Non lasciamo che l'arte si nasconda nei nostri musei Non lasciamo che l'arte si nasconda nei nostri musei inizia martedì 23 a Milano, nell'aula Magna di Brera, un convegno intemazionale di due giorni sul tema «Immagine del musei negli Anni 80»; Ai lavori, organizzati dal ministero dei Beni Culturali, e presieduti da Sergio Romano e Guglielmo Triches, interverranno numerosi studiosi americani e italiani. Il convegno si propone di approfondire in particolare il ruolo del museo come centro di ricerca e promotore di cultura, il rapporto tra museo e collezionismo, il contributo dei privati alle raccolte pubbliche. Su questi problemi interviene Salvatore Settis, docente di archeologia greca e romana all'Università di Pisa e autore del volume su Giorgione «La Tempesta interpretata» (Einaudi). IL museo-selezione di opere d'arte, raccolta di «Mirabilia», archivio di reperti, somma di collezioni? O il museo come luogo privilegiato di comunicazione, di discussione «intorno» agli oggetti che contiene? A questa domanda, a questa sfida, è tempo di rispondere. Possiamo formularla in un altro modo: l'oggetto museificaio è sufficiente ad autodefinirsi, nel suo significato e nel suo contesto? O richiede, al contrario, un apparato illustrativo-didascalico che ne suggerisca le coordinate di riferimento? E quali? Domande come queste trascinano con sé ogni aspetto della vita di un museo, dall'allestimento alla fruizione, perché portano a ridefinire il rapporto fra l'istituzione museale (dunque: gli operatori che vi lavorano) è il suo pubblico. Per troppo tempo abbia. mo creduto che il quadro, la statua, il vaso «da museo» parlassero da sé, evocando nel visitatore tutto l'essenziale. Per alcuni, Inessenziale» includeva .nozioni sulla cronologia, il significato, il contesto storico; per altri, consisteva soprattutto in una specie di flusso estetico, che il bel quadro e il bel bronzo emanano tutt'intorno. Questo secondo approccio è stato certamente quello dominante, e di per sé non escludeva il primo: ma, dandolo in larga misura per scontato, lo relegava di fatto a un rango secondario. Organizzandosi intorno a questa gerarchia di valori, l'immagine del museo e il mestiere del critico hanno percorso strade intrecciate, a volte sino a sovrapporsi. Il museo pubblico è così nato come proiezione ingigantita della collezione privata: involucro, come può esserlo un palazzo, di oggetti d'arte, che sono (o possono essere) «insieme» oggetti d'arredamento. Perciò una sala di museo e la sala di ricevimento di una casa ricca sono tendenzialmente intercambiabili. Rispetto a una concezione come questa, moltissimo è mutato, nei fatti e nella coscienza di tutti: molto meno, nell'organizzazione dei musei (in particolare, in Italia). Ila preso sempre più rilievo il fatto che gli oggetti museificati sono strappati non solo al passato, ma à un loro preciso contesto, di volta in volta «diverso», che condizionava l'operato dell'autore: e. per converso, il desiderio di ricostruire quel conlesto fin dove è possibile. D'altro canto, si è diffusa l'abitudine di raccogliere nei musei anche oggetti di minore qualità artistica, dai quali un visitatore difficilmente sente promanare un qualsiasi «flusso estetico», e la cui presenza nel museo va giustificata su altre basi. Infine, i musei sono stati sempre più frequentati da persone che. per distanza culturale (educazione, nazionalità...) dagli oggetti che vedono esposti, li capiscono sempre meno: in altri termini, ormai più nulla, o quasi, del contesto storico e del significato di un quadro può darsi per scontato. Ma la transizione dal museo «arredato» di oggetti al museo che organizza le sue raccolte secondo percorsi, significanti, evidenziandoli con speciali' apparati illustrativi, è lenta e dolorosa; e probabilmente più in Italia che altrove. A quel che pare, chi lavora nella più gran' parte dei nostri musei nutre la ferrea certezza che didascalie come «Kotyle protocorìnzia» o «Maestro del bambino vispo» dicano al visitatore tutto il necessario. '. Anche il facile accorgimento, comunissimo in Germania o in Inghilterra, di illustrare i musei stanza per stanza, con foglietti staccati a disposizione del pubblico (e quindi senza turbare arredamenti storici) non è praticato in Italia quasi mai. Ma neppure il visitatore accanito, che cercasse notizie in catalo- tslii a stampa, ha la vita facile: forse in un caso su vènti (ma probabilmente assai meno) troverà qualcosa da comprare nell'ingresso del museo. Cosi una visita a un museo è,ancora troppo spesso la caccia al capolavoro, sperando di imbattersi in qualcosa davanti a cui poter dire almeno: «Bello!». Ma qui parliamo (questo si che è ottimismo!) dei musei come se fossero .aperti: quando invece l'esperienza più frequente è proprio di trovarli chiusi in tutto o in parte «per le note carenze di personale». Là verità è che chiudere una sala di un museo o chiudere un vaso dietro una didascalia indecifrabile ai più è di fatto la stessa cosa. La «Kotyle protocorinzla» può dare una qualche emozione, se uno se la trova che spunta fra le zolle, durante una passeggiata; e c'è allora almeno il fascino del mistero, che può far nascere domande, curiosità. Ma passando attraverso il museo non può restare uguale a se stessa: o viene «ricontestualizzata» (ma non con una didascalia come quella, che non dice proprio niente a nessuno!), o viene etichettata in codice, e allora tutto quello che suggerisce al visitatore è clie non è possibile capire, che è meglio andarsene. E' dunque evidente che il principale problema del museo oggi è un problema di linguaggi. Individuare un pubblico, «cercarlo» vuol dire prima di tutto «trovare le, parole» (ma anche i percorsi, le luci...), mentre ' nello spazio del museo il visitatore è troppo spesso lasciato solo. L'immagine del museo in Italia è in generale quella di un luogo di conserva;. zlqne. che neanche, funàio' na bene come tale. Il compito (urgente) di chi lavora in questo campo non è solo di farlo funzionare meglio, ma di modificare profondamente l'immagine del museo, rendendola assai più viva e dinamica: un museo che non solo «conserva», ma «produce» cultura. Salvatore Settis Si apre martedì a Brera un convegno sui beni culturali 1 Ugo Nespolo: «D museo» 1975-76 (particolare)

Persone citate: Brera, Einaudi, Giorgione, Guglielmo Triches, Salvatore Settis, Sergio Romano, Ugo Nespolo

Luoghi citati: Germania, Inghilterra, Italia, Milano