Marina Cvetaeva, amata da Pasternak divorata dalla poesia

Marina Cvetaeva, amata da Pasternak divorata dalla poesia Il «boom» postumo della scrittrice russa morta suicida Marina Cvetaeva, amata da Pasternak divorata dalla poesia Marina Cvetaeva: a quarantanni dalla morte cresce l'Interesse intorno alla figura e all'opera di questa straordinaria poetessa russa. In Italia la scopriamo oggi: negli ultimi due anni sono apparsi cinque suoi libri, altri due sono In preparazione. Marina Cvetaeva nacque a Mosca il 26 settembre 1892, coetanea o quasi di Pasternak, Mandel'stàm, Majakovskj, Eoenin. Il padre era filologo e storico dell'arte; la madre un'appassionata pianista: «Aveva fretta di fard conoscere le note, le lettere dell'alfabeto. Dopo una madre così non mi restava che diventare poeta». Marina rivelò presto un carattere indipendente, ribelle; le sue precoci letture furono I classici tedeschi e francesi, i testi del folklore russo; tra I suoi idoli: Napoleone. Cominciò a scrivere liriche a sei anni, pubblicò la prima raccolta a 18. Nel '12 la Cvetaeva sposa Sergej Efron, giovane studente di origine ebraica, futuro critico letterario: avranno tre figli, Aljia, Irina e Georgji. Fino al '17 una vita serena: si afferma come poetessa, al di fuori e al di sopra di ogni scuola e tendenza. Poi la svolta della rivoluzione: Marina vi oppone un romantico e sofferto individualismo, rifiuta ideologia e violenza rivoluzionarie, il marito va a combattere con I «bianchi» e lei nel '18 abbandona la Russia. Comincia cosi la sua preparazione in Europa, tra continui trasferimenti e difficoltà finanziarie; una vita di stenti senza mai smettere di scrivere, tradurre, pubblicare. Va prima a Berlino, dove diventa amica di Erenburg e Belyi; poi nel '22, ritrovato il marito, a Praga, fino al '25. Di qui a Parigi. Negli ambienti dell'emigrazione russa, settari e diffidenti, la Cvetaeva patirà sospetti.e ostilità. Le sue uniche, vere amicizie saranno quelle epistolari. E' di quegli anni il carteggio con Pasternak, che definirà Marina suo unico «cielo legittimo, sua sposa» (per lei fu sul punto di lasciare la famiglia e la Russia) e con Rilke. # Isolata e incompresa dai suoi compatrioti, sconvolta dallo spettro del nazismo nel '39 Marina lascia la Francia per rientrare In Urss, dove già erano tornati la figlia Aljia e il marito, accusato di essere diventato una spia dei servizi segreti staliniani e coinvolto in misteriosi casi di assassini! politici. Ma ben presto sarà di nuovo sola: figlia e marito scompaiono in un gulag: «Mosca mi rigetta. Con II continuo cambiar luogo perdo il segno della realtà: di me resta sempre meno», scriverà nel '40. Con l'avanzare della guerra Marina si ritira a Elabuga, nella repubblica tartara, sempre più stanca e cupa. Qui il 31 agosto '41 morirà suicida. Verrà sepolta in una fossa comune. Solo nel '56 un saggio di Erenburg rompe¬ rà il silenzio in Urss su Marina Cvetaeva e avvlerà una pur lenta riscoperta della sua opera. In Italia la sua piima raccolta di poesia è uscita da Rizzoli nel '67, ripubblicata da Feltrinelli nel '79. Presso Guanda sono apparse le Prose di «Indizi terrestri» e da poche settimane la «Lettera all'amazzone»; dagli Editori Riuniti il carteggio con Pasternak e Rilke, sotto II titolo «Il settimo sogno» • il racconto autobiografico «Il diavolo». La Mondadori sta preparando un altro volume di poesie per lo Specchio e la Tartaruga una raccolta di saggi critico-memoriallstici, dal titolo «Incontri», annunciata per settembre. Al centro di queste iniziative è la slavista Serena Vitale, che ha tradotto e curato I due volumi della Guanda, con due saggi introduttivi, l'epistolario e sta ora preparando il volume mondadoriano. A lei abbiamo chiesto un profilo della scrittrice, e le ragioni che ci portano oggi a leggerla. PER / miei versi scritti così presto I che neanche sapevo di essere poeta... I per i miei versi senza lettori... I come per vini pregiati I verrà il momento, prima o poi...» si legge in una poesia di Mari- ' na Cvetaeva del 1913. Per quanti ormai sanno del violento destino che si accanì contro la vita e l'opera della poetessa russa, l'ingenua e accorata certezza di quei remoti versi si carica, postumamente, di significati ironici e drammatici: quanto ha tardato, quel «momento», ad arrivare, quanti ostacoli e divieti si sono dovuti rimuovere, quanto «imbarazzo» si è dovuto superare! Un «imbarazzo», innanzitutto, Storico: in un tempo, come il nostro, amante di formule e di schemi, di etichette ideologiche, come classificare (come accettare) la vicenda di questa donnabianca e «controrivoluzionaria» nella Russia bolscevica; dal 1921' inerme pellegrina per l'itinerario della diaspora e dell'emigrazione (Berlino, Praga, Parigi...); dal 1925 esule e ospite «ingrata», sempre sprezzante pur nella solitudine e nel bisogno, della Francia, la nuova patria-matrigna; nel '39 disperata revenante nell'Urss oscurata dalla guerra e dai «torbidi» staliniani, ombra in fuga verso la propria morte, come per prevenirla in un'ultima sfida. Quella morte che solo casualmente la attendeva sotto forma di suicidio, di un cappio attaccato alla trave di un'izba di una sperduta cittadina tartara... L'imbarazzo, ancora, della logica e adiiesprit de mésure di fronte a un temperamento «smisurato», vorace e autodivoratore, ribelle e sconfinato nella sua ansia di assoluto, sempre votato al rischio esistenziale, disposto a misurare e a misurarsi solo con il metro del sublime e dell'eterno; imbarazzo di fronte a un poeta che, rifiutando il ruolo storico delibimeli ettuale». rivendica e conquista — con le unghie, con il sangue — il proprio esclusivo diritto alla scrittura, condanna e missione, comunicazione «ultraterrena» con interlocutori «altri», laboriosa e devota «pazienza» di un udito medianico, di un'anima pretenziosa, di un corpo che lotta per trascendersi... Oggi che il «momento» della Cvetaeva sembra essere giunto in modo definitivo (sia pure lentamente, le porte degli archivi si vanno schiudendo; in Urss, dopo le tre, sia pure parziali, edizioni della sua poesia succedutesi dal '61 a oggi, si annuncia un'organica edizione delle prose; in quell'«occidente» che per anni aveva, anch'esso; rimosso l'opera di Marina dalla sita coscienza culturale, si moltiplicano, talvolta anche in modo «selvaggio», le iniziative editoriali legate al suo nome), esiste addirittura il rischio di una mitizzazione del suo dolente personaggio di donna sola e in lotta, al di là e prima di una pacata riflessione sulle profonde ragioni per cui la poesia di Marina Cvetaeva si pene come una delle più alte e originali esperienze liriche del Novecento. Dopo un apprendistato precoce e per nulla epigonistico (il debutto, nel 1910, segnalava al contrario il netto rifiuto dei moduli tar- dodecadenti, in un progetto di nitidezza e concisione originalmente contrappuntato da una fantasia accesamente e- programmaticamente «romantica»), la Cvetaeva doveva trovare e precisare il suo irripetibile carattere poetico attraverso il sondaggio e l'uso di diverse maschere letterario-esistenziali in cui, di volta in volta, andò incarnando l'immagine di un'«eroina» lirica mai conciliata e conciliante, segnata da un destino di fatali passioni. Già veiso la fine degli Anni Dieci il prepotente dono musicale della Cvetaeva si organizza nei ritmi impetuosi e turbolenti della «stichifa» (l'elemento naturale, incontrollabile) del canto popolare. Il fatidico '17, là rivoluzione rifiutata in modo spavaldo e immemore dalla ragione della Cvetaeva, lasciano invece profonde tracce sulla sua creazione: nascono le prime splendide prose (i «diari» di Indizi terrestri), mentre l'isolamento e la sfida al gusto corrente inducono un salto a ritroso nel passato «da camera» del 700 francese (il ciclo di pièces «romantiche»): un'eccezionale scuola ed esperienza per la Cvetaeva che, portata a una tonalità maggiore e iperbolica, deve qui esercitarsi su tonalità minori e leggiadre. Ma è soprattutto lo sprofondamento alle più remote radici della poesia russa (L'accampamento dei cigni, '17-'21: accorata canzone delle disperate gesta dei soldati «bianchi») ad anticipare la feconda e geniale esperienza della poesia «folclorica» dei primi Anni Venti. Niente «style russe», ma una potente e stravolta ri-creaziohe delle infinite pò- ' tenzialità del linguaggio e dell'orecchio popolare, secondo una strada già indicata, per esempio, da Blok e da Chlebnikov, ma che la Cvetaeva percorre fino in fondo, fino alle più oltranzistiche conseguenze. Marina, si badi, non appartenne mai a nessuna «scuola», o circolo, o «ambiente» letterario; perfino il suo lungo e intenso rapporto (poetico, di amore, di amicizia) con Boris Pasternak ebbe inizio solo quando l'emigrazione ratificò l'impossibilità di un rapporto «concreto» tra i due poeti. E un tema, questo — dettato dalla vita o dalla vita imitato — centrale per la grande poesia evetaeviana degli Anni Venti, dove il motivo dell'amore non corrisposto (o meglio, non corrispondente — all'ansia di assoluto, di trasfigurazione, di miracolo) si allarga a tragica e potente metafisica del «norf-incontro», dell'impossibile, della rinuncia come unica ed estrema vittoria sul reale. E' in queste poesie (e nei contemporanei drammi lirici) che la Cvetaeva preleva dal repertorio del mito e della tradizione i nomi, i , fatti, gli eroi — sorta di sigle emotive, tessere simboli-1 >T che di uh astratto e sconvòlto mosaico cubista che raffigura la lotta dell'uomo con un fato sempre tetro e vittorioso. Recuperando i ritmi larghi e maestosi dell'ode settecentesca per violarli con una scansione convulsa