La biblioteca di Babele dall'a alla z
La biblioteca di Babele dall'a alla z Un dizionario del '900 La biblioteca di Babele dall'a alla z DA Lambertus Aafjes, poeta olandese vivente, a Stefan Zweig, ci dovrebbero essere tutti. Il solo indice dei nomi prende 85 pagine, il Dizionario spazia per oltre tremila. Più che il numero dei personaggi entrati in rassegna (4150), impressiona l'elenco delle lingue prese in esame. Insieme con i grandi filoni tradizionali ci sono la sezione macedone e la pakistana, gli scrittori della Corea e di Haiti, la letteratura yiddish e quelle delle minoranze europee, dal gruppo baltico al frisone, dall'occitano al gaelico. L'impresa è ambiziosa quanto densa di rischi, garantisce parecchi vantaggi all'informazione e presenta qualche inevitabile scompenso. Non si mette impunemente ordine alla biblioteca di Babele; anche perché la vita letteraria è per sua natura circolare, entropica, stenta a farsi ridurre nelle geometrie della ziggurat. Bisogna ammettere che la équipe riunita per il Dizionario si è lasciata condizionare solo in parte dalle esigenze della organizzazione. Dalla torre sporgono qua e là pietre impreviste, vetri colorati e anche qualche raro corpo estraneo. Alcune schede diventano veri e propri saggi (come il «Mauriac» di Carlo Bo), altre includono curiose note polemiche (come il Moravia di Ines Scaramucci, per la quale gli ultimi libri dello scrittore sarebbero, chissà perché, «irrecensibili»). Ma la maggior parte dell'edificio si regge su mattoni squadrati secondo le regole, e molti con cura. Nella premessa il direttore dell'opera, Francesco Licinio Galati. professa una volontà di plurall- smo e di rispetto alla libertà di coscienza del collaboratori, pur essendo le Paoline «una casa dichiaratamente cattolica». Al di là di una excusatio non petita, che potrebbe suggerire qualche timore, l'impegno sembra mantenuto. Solo pochi scrittori di seconda fila vengono «promossi» per affinità ideologica; non c'è, per fortuna, influenza confessionale nella scrittura delle varie voci, anche per la personalità di molti estensori. Lukacs è affidato a Cesare Cases, Freud a Emilio Servadio, Spitzer a Elena Croce. La norma generale è quella della informazione enciclopedica, per fornire utili strumenti di lettura, dove studiosi di matrice diversa possono equamente ritrovarsi, senza prevaricare con la propria opinione. Si possono citare come esempi, anche di chiarezza, le voci curate da Chiusano e Ulivi, Pe¬ trocchi e Barberi Squarotti, Jacobbi e Masolino d'Amico, Marchesani e Anzilotti. Il criterio di ammissione è obiettivo, senza pregiudizi fideistici. Nietzsche e Brecht hanno tutto il loro rilievo, che casomai viene lesinato, non si capisce per quale ragione, a Simone We il o a Clemente Rebora. Il problema è quello della misura, che in un repertorio di questo tipo può divenire importante. Anche se la maggior parte dei contributi rispetta le regole prefisse, si direbbe che sia mancato uri controllo sugli spazi assegnati. Gli squilibri ne risultano evidenti, fra letteratura e letteratura: al romeno Arghezi vengono dedicate più colonne che a Borges, Werfel sembra più importante di Faulkner, e Montherlant equivarrebbe a Joyce. Più clamorosi i confronti fra gli italiani. Carlo Terron ha quasi l'evidenza di Pirandello, più di Eduardo e il doppio di Fo. Le dieci colonne di Grazia Deledda sembrano eccessive rispetto alle sette di Svevo, alle tre di Marinetti, alle due di Gadda. Fra i critici, Marcazzan surclassa Concetto Marchesi, Giacomo Debenedetti e Contini. Fra i romanzieri viventi, Gina Lagorio e Iajolo si avvicinano a Calvino e Sciascia, lasciano a grande distanza Primo Levi, Malerba, Arbasino. I giudizi, per fortuna, non sono proporzionali agli spazi, gli aggettivi sono spesi con parsimonia. A condizione di non lasciarsi influenzare dai rapporti di quantità, può essere un dizionario prezioso. g.c. Dizionario della letteratura mondiale del Novecento, ed. Paoline, 3 volumi per 3420 pagine compi., 90.000 lire.
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