A Ginevra l'indifferenza è d'oro

A Ginevra l'indifferenza è d'oro RITRATTO DI UNA CITTA' DI CONFINE CON L'ANIMA MULTINAZIONALE A Ginevra l'indifferenza è d'oro Nei suoi palazzi si decidono a colpi di telex destini di aziende e perfino di Stati - Non c'è ostentazione, la prosperità è considerata il giusto premio di un certo illuminismo - L'ospitalità verso i «rifugiati» da Voltaire a Lenin che si lamentava per la «freddezza» dell'ambiente: «Mi sembra di essere nella tomba» - Dice il presidente del consiglio municipale: «Entusiasmi? Assistiamo a troppi eventi spettacolari per eccitarci» - Tutto viene accettato, nulla assimilato GINEVRA — .Nessuna donna potrà portare più di quattro anelli d'oro alle dita, eccetto il giorno prima e dopo le nozze. A tutti gli abitanti viene imposta la proibizione di adornarsi con preziosi, braccialetti, collane di perle e oggetti di lusso sia in pubblico che al riparo dell'intimità domestica». Questo buffo editto, così drastico nell'invito al rispetto di un comportamento morigerato, almeno nei suoi aspetti più appariscenti, da far immediatamente sorgere il sospetto che fosse dovuto alla necessità di arginare il dilagare di costumi dissoluti, venne promulgato oltre tre secoli fa in Svizzera. Adesso lo si potrebbe forse liquidare come una ghiotta curiosità per lo storico, ma due aspetti singolari dell'antico documento suscitano l'interesse del profano: il luogo dove fu emesso e soprattutto chi ne era stato l'autore. La località da esorcizzare fu infatti Ginevra, e la firma in calce al divieto quella di Calvino, il padre della Riforma protestante. Se dunque gli elvetici di allora erano stati indetti ad istruire la popolazione del Cantone a vestirsi quanto più sobriamente possibile, con tanti saluti agli inevitabili danni commerciali, e si videro costretti a scomodare la Chiesa locale per avvalorare una tesi perlomeno ana-. cronistica, di certo si può dire che non furono preveggenti. Perché già nel 1832, nelle sue -Impressioni di un viaggio in Svizzera», Alessandro Dumas descriveva Ginevra con notazioni rimaste abbastanza attuali: «Qui si respira l'aristocrazìa del denaro. è una città che sfoggia lussi sfrenati, con gioielli di pregio raramente visti altrove. Le sue tremila oreficerie fanno impazzire le gran dame di ogni parte d'Europa mentre Cleopatra si rigira nella tomba, rosa dall'invidia». Ginevra quindi opulenta,' un affasciante forziere che non si vergogna di mettere in vetrina le sue ricchezze, che si esalta anzi nel contendere il primato delle città più care del mondo. Le cifre confermano d'altronde il trend emerso dalla fine della guerra. Entrata nel giro delle capitali della finanza mondia¬ le, nei suoi palazzi ogni giorno si consumano, si creano e si concludono i destini delle multinazionali, e a volte persino degli Stati. Immensi rivoli di denaro l'attraversano con fulminee transazioni a colpi di telex; si trattano affari con ogni mezzo; il radiotelefono installato in automobile, usato fra distratte occhiate gettate ai cigni bianchi che nuotano nel lago, sotto i ponti del centro commerciale, è sceso ormai alla portata del modesto funzionario; si fanno e si disfano fortune economiche. E'il novello regno di Afida. Non diventa però una città blasée, non denuncia l'ostentazione di chi potrebbe levarsi ogni capriccio, il possedere solidissimi conti in banca non comporta- scivolate nel Kitsch del nouveau riche. i7 potente businessman al sabato va a fare la spesa nei supermercati mettendosi pazientemente in coda dietro il manovale stagionale, che non sospetterà mai, o poco gli importa, di avere avuto al suo fianco, per qualche attimo, un moderno Creso; le caste sociali vivono ognuna nella propria autonomia e su tutte impera la democrazia del censo. Ginevra si è abituata in sostanza a confrontarsi con la prosperità, e questa finisce per essere considerata il giusto e meritato premio ad un illuminismo che va ben oltre la tradizionale 'accettazione del derelitto» che tanto inorgoglisce lo svizzero. I suoi tempi di reazione sono lunghi, il richiamo alla collaudata neutralità offre solide garanzie di continuità, i disordini populisti di Zurigo appaiono lontani, quasi appartenessero ad un altro pianeta. Se Calvino, nel suo furore purificatore, trovava doveroso combattere 'la ricerca del piacere» che la Francia prerivoluzionaria si apprestava ad esportare nel resto dell'Europa, trovando appunto in una Ginevra abbastanza ricettiva la sede adatta a quei tempi per porre le radici alla sua crociata, la stessa città si proclamava, a qualche decennio di distanza, rifugio ideale per gli esiliati politici, per gli oppressi, per i perseguitati religiosi. Il passaggio fra i due proselitismi, rigoroso il primo sotto il profilo della pulizia morale, aperturista il secondo, addirittura pionieristico in un continente ancora ottusamente chiuso ai rinnovamenti, non deve però sorprendere. Non si trattò di un voltafaccia, piuttosto fu la conseguenza naturale di una banale constatazione. Ginevra diventava ricca, sicura e perciò in grado di ospitare chi le chiedeva il suo aiuto, chi sollecitava un posto dove dormire e una platea dove continuare a recitare. E non deve nemmeno meravigliare che una certa autoselezione abbia caratterizzato la lunga lista dei profughi, privilegiando cioè il martire del pensiero piuttosto che l'umile vittima del sopruso popolare. A Ginevra non si rifugiò insomma il sindacalista ante litteram ma Voltaire (che sardonicamente raccomandava: «Se vedete un banchiere gettarsi giù dalla finestra, niente lacrime ma datevi da fare in quanto ci sarà certamente un po' di oro per terra là dove il suicida è andato a spiaccicarsi»); poi Liszt, fuggito da Parigi con la «colpa» di essere l'amante della contessa d'Agoult, troppo vecchiotta per lui, e solo più tardi Lenin, primo di una vasta schiera di esuli politici più o meno illustri. Al rivoluzionario bolscevico Ginevra comunque non piacque. La detestava, gli dava «l'impressione di essere già nella tomba» per la sua atmosfera rarefatta, asettica, impermeabile a qualsiasi entusiasmo. Fredda e distaccata Ginevra lo è in qualche modo rimasta. «Assistiamo a troppi eventi spettacolari per eccitarci», spiega Fidel Bistrot, presidente del Consiglio municipale, a conferma indiretta che ai ginevrini piace in qualche modo essere etichettati con una flemma di tipo britannico. Oltretutto sono in minoranza, appena un terzo dei duecentomila cittadini svizzeri residenti in città ai quali vanno aggiunti quasi centomila stranieri, e sanno anche di rappresentare una razza a parte nel contesto della Confederazione. «Sulle nostre targhe è scritto GE, e non sta per Ginevra», recita una canzoncina che furoreggia nei night-clubs vicino la Rue du Rhòne, la strada dei negozi mozzafiato frequentata da nababbi orientali che si disputano Rolex, Piaget e Audemars Piguet pagandoli con cifre da capogiro. «Vuol dire "gueules élastiques", gole elastiche che dicono sempre ciò che ci piace». E cosi si spiegano la battuta che definisce la autoroute fra Ginevra e Losanna 'l'autostrada per la Svizzera» e {'aplomb con il quale i ginevrini si sono abituati a vivere a due passi dal confine, -frontiera di sobborgo» che consente di entrare ed uscire dalla Francia con la massima naturalezza per comprare di là un aggettino meno caro, per andare al cinema porno, per sciare a pochi chilometri da casa. Non mancano infine i fedelissimi, testardamente contrari a qualsiasi commistione con il cugino francese, svizzeri fino al midollo al punto tale da non lasciarsi impressionare dall'eclatante presenza degli organismi internazionali che ruotano attorno all'Onu, accettati come un omaggio dovuto, il riconoscimento al sicuro benessere ginevrino, la laurea del laissez faire. In splendido isolamento, sono ventiquattro enti che vanno dal Bit, l'Ufficio internazionale del lavoro, al Gatt. la sede in cui si negoziano gli accordi generali sulle tariffe doganali e il commercio; dall'Organizzazione mondiale per la sanità al Comitato internazionale per la Crose Rossa, passando per sigle tuttora in parte misteriose, l'Ompi, Organizzazione mondiale della Proprietà intellettuale, l'Afep, che sta per Associazione dei Paesi esportatori dei minerali di ferro. Nel suo »ghetto multinazionale» Ginevra ospita con nonchalance. da vera nobildonna, altri istituti prestigiosi, il Consiglio ecumenico delle Chiese, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare, la Federazione luterana mondiale, l'Associazione del trasporto aereo internazionale, l'Unione europea per le radiodiffusioni, la Commissione elettrotenica internazionale, il Battelle, tanti megauffici che danno lavoro a oltre 17 mila dipendenti, in massima parte stranieri, generando ogni anno quasi duemila riunioni con circa 65 mila delegati itineranti (l'aeroporto dista meno di quindici minuti dal centro), e rovesciando sul Cantone una massa di valuta pari all'82 per cento del bilancio statale. Senza contare le rappresentanze commerciali, le filiali di banche estere, i consolati, le missioni diplomatiche permanenti presso le Nazioni Unite che a loro volta impiegano il dieci per cento della manodopera cantonale. Fra le due comunità non ci sono molti vasi comunicanti; ognuna vive la sua vita, i gi¬ nevrini a produrre e a vendere, gli 'internazionali» a stilare mozioni, istanze, prese di posizione. Nessuno pretende mecenatismi sul modello mediceo, alla mancanza di creatività culturale sopperisce un proliferare di musei, il Baur, il Bodmer, il Barbier-Mùller, in grado di rivaleggiare con le più grandi collezioni private d'oltre oceano; il Grand Théàtre allestisce dignitosi spettacoli sul suo palcoscenico, più vasto dell'Opera di Parigi o della Scala; nei teatrini per cosi dire off suonano complessi jazz che non sfigurerebbero a New Orleans. Se c'è qualcosa di straordinario, ammettono i ginevrini con un pizzico di humour, il più delle volte sono le raffiche di vento che increspano il lago, inondando di acqua le rive della Cité. Soltanto la recente fugace apparizione di Lech Walesa, il leader di -Solidarietà», venuto a parlare per il congresso annuale del Bit, ha acceso un po' gli animi. Per alcuni giorni il sindacalista polacco è rimasto al centro dell'attenzione, una vedette da stella filante; poi, al pari di moltissimi visitatori famosi, è stato ingoiato nel dimenticatoio. Questa è in fondo Ginevra: accetta tutto ma non assimilaniente. p|erodeGarzarolll Ginevra, sede di 24 enti intemazionali, ospita ogni anno duemila riunioni con 65 mila delegati