Marco Donat-Cattin, capitan Alberto parla del suo passato di terrorista

Marco Donat-Cattin, capitan Alberto parla del suo passato di terrorista Depone stamane, come testimone, al processo delle Vallette contro Prima linea Marco Donat-Cattin, capitan Alberto parla del suo passato di terrorista Ai magistrati ha già raccontato la storia del partito armato - «Ci finanziavamo con le rapine» - Come falli il sequestro del figlio di un industriale di Firenze - Una colletta per mantenere in latitanza Susanna Ronconi - Dice di Farioli: «Cercava la morte da eroe» Tocca a Marco Donat-Cattin. Deve presentarsi al processo die si svolge alle Vallette contro gli uomini di "Prima linea» per parlare del suo passato di terrorista. "Capitano Alberto» — come lo chiamavano in battaglia — uno dei fondatori dell'or-, ganizzazione armata, delitti e aggressioni sulla coscienza, non compare come imputato. E' stato arrestato a Parigi, a due passi dall'Arco di Trionfo degli Champs Elisées: il tribunale francese ha concesso l'estradizione per tutte le accuse che gli venivano rivolte ma non per il reato generico di "banda armata». Marco Donat-Cattin, extraparlamentare arrabbiato, mediocre bibliotecario del "Galileo Ferraris» ma abile nel maneggiare le armi, viene sentito come testimone. Il suo racconto consegnato a centinaia di pagine di verbale è la storia di "Prima linea». Alla lotta armata si sono avvicinati — secondo le sue valutazioni — gli uomini del gruppo Scalzone, Piperno, Dalmaviva (e, in generale, l'area della rivista "Linea di condotta») e l\ala Negri» cui facevano riferimento a Bologna Maurice Bignami e a Padova Emilio Vesce con «tutti gli altri imputati del 7 aprile». In un secondo tempo si sarebbe aggiunta la corrente di «Lotta continua» die si muoveva con Roberto Rosso. Le idee non dovevano essere mólto chiare Fra i militanti erano rimasti forti dissensi e per parecchi il sogno della rivoluzione in nome del proletariato si traduceva nella pratica feroce, vigliacca e spesso ottusa di una violenza sbalorditiva. «Ci finanziavamo con le rapine — racconta Marco Donat-Cattin —,i Ma all'inizio dell'attività, nel 1975, abbiamo dovuto autotassarci per provvedere alla latitanza di Susanna Ronconi. Una volta — aggiunge — si tentò a Firenze un sequestro. Alcuni compagni rapirono un ragazzo sotto gli occhi del padre e a questo poveraccio, un industriale abbastanza noto, venne chiesto di pagare subito il riscatto. L'uomo accettò, andò in banca per prelevare il denaro ma la sua agitazione lo tradì. La polizia fu avvisata e si fu obbligati a rilasciare l'ostaggio». £ i soldati di •Prima linea»? Di Umberto Farioli Marco Donat-Cattin dice die «si candidava per azioni suicide perché era molto malato». Cercava una morte da eroe. Antonio Di Falco, invece, «era un folle». «Voleva uccidere, a caso, uno spacciatore di droga per vietare il commercio degli stupefacenti». Ma la cosa riscuoteva pochi consensi. Anche perché fra i terroristi qualche tossicodipendente c'era. Furio Masi, per esempio, il quale aveva confezionato la bomba che scoppiò prima del tempo uccidendo Martin Pinones e Attilio Di Napoli mentre si stavano muovendo per colpire un obiettivo. Logica perversa. «Si pensò — confessa l'ex leader di 'Prima linea» —che l'avesse fat¬ to apposta per prendere i soldi di Pinones e Di Napoli. Aveva sempre fame di denaro perché era schiavo dell'eroina e il suo vizio costava un patrimonio». / proletari rivoluzionari aprirono una specie di inchiesta ma non raccolsero le prove della coU pevolezza del compagno. Le forze dell'ordine ritenevano che "Prima linea' fosse una efficiente macchina di morte. In realtà si affidava al caso e all'improvvisazione. Chiede il magistrato. La vostra organizzazione era riuscita a infiltrarsi nella magistratura? «Macché — dice secco Donat-Cattin —, non abbiamo nemmeno allacciato rapporti di complicità con gli avvocati. Di ciò i compagni in carcere si lamentavano. "Guardate " — ci rimproveravano — come fanno le Brigate rosse. Hanno legali amici che assicurano contatti fra il carcere e gli altri latitanti. Si danno un sacco da fare mentre noi siamo abbandonati". E per la verità in quel campo noi. nonostante qualche tentativo, non siamo mai riusciti a fare nulla». I "piellinU volevano uccidere il giudice Bernardi che adesso è il pubblico ministero nel processo die si celebra contro di loro. Ma era troppo difficile. Fecero fuori l'agente di custodia delle carceri Lorusso. Perché? «Ma fu una forzatura del gruppo torinese — risponde DonatCattin — purtroppo i compagni piemontesi volevano fare di testa loro. Erano una specie di gruppo nel gruppo». Sparatorie e morti ma la rivoluzione, quella vera, tardava a venire. Anche perché i leader chiudevano spesso sotto chiave pistole e fucili e andavano a spasso per loro conto. "Capitano Alberto' passava le vacanze in 'barca' con la Viriglio e un gruppo di amici e d'inverno sciava a Bardonecchia con altri conoscenti. Chiede il magistrato. E' vero che fu lei a proporre nel giugno 1978 l'assalto alla società di computer "I.C.L."? Risposta a verbale. «Ma no. Impossibile. Non partecipai a quella riunione perché ero a Roma per seguire le semifinali dell'incontro di tennis di Coppa Davis». Lorenzo Del Boca Marco Donat-Cattin depone stamane - Il p.m. Bernardi e Susanna Ronconi

Luoghi citati: Bardonecchia, Bologna, Firenze, Padova, Parigi, Roma