Venezia scopre «come eravamo» di Stefano Reggiani

Venezia scopre «come eravamo» DA META' LUGLIO UNA GRANDE MOSTRA SULLA CULTURA QUOTIDIANA Venezia scopre «come eravamo» La Biennale presenta una «storia degli italiani dal '45 a oggi» - Una raccolta-spettacolo di immagini e di oggetti che hanno segnato i nostri anni: dalle macchine alla televisione, ai fumetti, ai giochi, allo sport - Martelli, Nuvoletta*, Pippo Baudo • hanno mandato un vestito - Che senso ha la rivisitazione del passato adesso che tutto cambia e non sappiamo come DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE VENEZIA — L'ipotesi è questa: siamo giunti alla svolta risolutiva, la società italiana sta entrando in una dimensione nuova che potrebbe anche significare l'esplosione del mondo precedente, siamo al cambio di scena e quasi non conserviamo il ricordo di quello che stiamo perdendo. Dalla fine della guerra gli anni sono passati in fretta e la memoria s'è fatta corta. Ci vuole una mostra del nostro passato quotidiano; non l'arte, ma gli oggetti d'uso, non i grandi autori, ma i piccoli complici del gusto comune, non la cultura d'elite, ma la cultura di massa. Insomma, una mostra sul costume dal dopoguerra ad oggi. Mentre infuria la polemica sui bilanci e sui soldi che non bastano (è di sei miliardi il contributo annuo per tutte le manifestazioni) la Biennale prepara, con poca spesa (280 milioni) la mostra dell'estate. Mentre la discussione sugli sperperi ha coinvolto il Comune per la grande rassegna della dama che costerà oltre un miliardo e messo, la Biennale s'appresta a riaprire il padiglione italiano ai Giardini per catturare tutti nel gioco e nel tormento del -come eravamo'. La mostra si aprirà il 18 luglio e si chiamerà «Il consumo culturale: una storia degli italiani dal '45 a oggi.. E' un titolo che viene da lontano, fa parte dei progetti speciali che la Biennale affianca alle inisiative tradizionali intorno al teatro, alla musica, all'arte, al cinema. All'inisio doveva trattarsi di una mostra dialettica su cultura di massa e intrattenimento, poi di un'esposizione sul consumo degli oggetti, un'appendice critica del consumismo. Ha prevalso la didattica più diretta e suggestiva, anche se Marino Livolsi dice: «Non sappiamo ancora che cosa nascerà. Potrebbe uscire una mostra diversa da ogni progetto». Il sociologo Livolsi, con l'altro sociologo Roberto Guiducci, con lo psicologo Gabriele Calvi, con lo scenografo Luciano Damiani, con gli allestitori Morburgo e Fabris, con una schiera di frequentatori e raccoglitori del costume, ha la responsabilità dell'avventura, tanti titoli alle spalle, qualche rìschio davanti. Dice Livolsi: «A questo punto, dopo aver raccolto tutto il materiale, non so più dire che cos'è la mostra». Ma ha ben vigile dentro di sé il sentimento delle cose che cambiano forse definitivamente e della nostra memoria che ha bisogno di supporti. La Cinquecento Ai Giardini c'è appena qualche brandello della costruzione che accoglierà i visitatori alla prova. Si lavora intorno ai praticabili, alle quinte, ai pannelli. All'entrata del padiglione italiano stanno distese immagini di folla, visi anonimi, volti italiani appena usciti dalla guerra. In un angolo, da un perfetto ovale, sorride l'ex diva, Marisa Allasio, povera ma bella degli Anni 50. Su un muro, in mezzo ai tralicci degli imbianchini, la fotografia ingrandita della prima Cinquecento. E poi, tra i barattoli di vernice, come ospiti imbarazzati, un frigorifero e una lavatrice. Verrà Luciano Damiani, lo scenografo di Fellini, a inventare un ordine e uno spettacolo, una specie dì città delle memorie, una foresta dei segni quotidiani. Damiani ha preparato un percorso obbligato, che sarà reso più insidioso da un labirinto sotterraneo. Ogni gruppo omogeneo di sale e corridoi sarà segnato da una data. «Non abbiamo scelto la scansione in decenni, che è falsa, pretestuosa, andremo per gruppi di tre o quattro anni dal dopoguerra ad oggi». Si metterà piede nel '45per usci- re néll'80, non ci sono uscite laterali, possibilità di fuga, soltanto brevi isole, punti di sosta, dedicati per esempio al cinema o alla moda. Spiega Livolsi: «Ma cinema e moda saranno protagonisti anche nelle altre sale dell'esposizione, insieme con radio, televisione, giornali, rotocalchi, fotoromanzi, narrativa popolare, fumetti, musica leggera, sport, pubblicità, umorismo, giochi elettronici». Nel catalogo ha preparato un primo elenco di immagini: «Coppi che vince solitario, la Lollobrigida, Silvana Pampanini, Fred Buscagliene, il primo Festival di Sanremo, i film mitologici e quelli di Matarazzo con la Sanson e Nazzari, le canzoni con i loro divi, da Claudio Villa a Mina, i vestiti di tutti i giorni che abbiamo indossato con orgoglio e che adesso ci sembrano buffi, le vignette che ci hanno fatto ridere, i volti dei primi personaggi televisivi, gli eroi dei fumetti Infatti c'è una sagoma di Batman appoggiata a uno stipite del padiglione in allestimento. Livolsi aggiunge alle immagini gli oggetti che saranno esposti. Per esempio: «L'Alfa Romeo campione nel 1950. un modello della prima Seicento, la prima telecamera, le biciclette di Bartali e di Maspes, la moto di Agostini, il bob di Monti, gli sci di Zeno Colò e di Thoeni, la racchetta di Pietrangeli, il ferro del cavallo Ribot». Gli sportivi sono stati i primi a collaborare, anche se Maspes ha voluto assicurare la sua bicicletta per un valore di 10 milioni (•rem, affettivamente vale molto di più»). Poi c'è stato il contributo degli straordinari raccoglitori che l'Italia nasconde. I raccoglitori di vestiti vecchi, di maglie rubate ai campioni, di collezionisti di scarpe e di calze d'epoca. «Sono orgogliosi, tutto il loro vecchiume forse preso in giro dagli amici diventa un fatto culturale». I rumori Sono tanto orgogliosi che in genere non si sono fatti pagare. Poi, ci sono gli invitati di riguardo. Nell'isola della moda una specie di grande guardaroba circolare intorno a un manichino nudo presenterà i vestiri di personaggi contemporanei. Interpellati, hanno volentieri mandato un abito completo, giacca, pantaloni, camicia e calze, il politico Claudio Martelli, lo scrittore Giovanni Nuvoletti («Un adulterio mantovano»;, il presentatore televisivo Pippo Baudo, indicato da alcuni curiosi sondaggi come uno degli uomini più ben vestiti d'Italia. E i rumori? Ce ne saranno moltissimi, dall'uccellino della Radio alla sigla di Carosello, dall'Eurovisione ai clamori degli stadi. E la tv, presente anche in veste ufficiale come Rai, con proiezioni di pezzi storici da Lascia o raddoppia? al teleromanzo La cittadella, alle prime ballerine svestite. E la tecnologia? Quasi protagonista delle stanze conclusive con giochi intelligenti e computers eccezionali, uno addirittura in grado di comporre una musica su ordinazione con i numeri o con le lettere del nome del visitatore. E i curatori? Scriveranno a mano lunghe didascalie'-dopo che avranno visitato la mostra, faranno anche dei piccoli comizi di commento. Del resto, nel catalogo sono stati molto prudenti e generici, hanno preso tempo. Guiducci: «H filone trasgressivo molte volte viene risucchiato dalle calamite della tradizio¬ ne e del costume... Oli stili di vita si incontrano, si intrecciano, si accavallano, si unificano, si dividono continuamente come specchio di battaglie superiori e più importanti». Calvi: «Non si può guardare alla cultura sociale e in particolare a quella popolare, come a una cultura subalterna... Non si può considerare l'intrattenimento come pura evasione o come fuga». Certo, a questa grande mostra del 'Come eravamo" si possono muovere in anticipo alcune obiezioni. Che si tratta dello sfruttamento di un'altra moda, delle rievocazioni, dei revival; che si tratta dell'ampliamento di un viaggio di costume ornato di puntelli sociologici; che si tratta di un lavoro non svolto, di una proposta giornalistica invece che saggistica; che si tratta della prosecuzione scaltra di mostre specialistiche sugli oggetti come già si videro alla Biennale ("«L'oggetto banale »j. Ma a molte obiezioni c'è risposta nella curiosità che la mostra suscita in anticipo. Livolsi si difende: «Soprattutto nessuna operazione di riflusso, nessun vagheggiamento della memoria. Mi auguro che il visitatore esca frastornato e che cerchi nella confusione delle immagini la sua identità, la sua storia». Aggiunge: «Abbiamo voluto dare un segno positivo di speranza a tutta la raccolta anche se le immagini talvolta spingono la riflessione a un pessimismo totale». Si comincia con immagini di violenza, nel dopoguerra, e si finisce con altre immagini di violenza, i sequestri, il terrorismo, la droga: «Potevamo incominciare e finire con degli spari simbolici, ma non abbiamo voluto. La mostra è una ricerca, non una condanna». Tuttavia, al fondo, c'è l'ipotesi che Livolsi approva e fa sua: «Sta cambiando davvero tutto e non ce ne accorgiamo. Chissà come cambierà. Almeno tentiamo di capire come eravamo per non perderci». Stefano Reggiani IP ' ' ¥ÌÈ r /fé; ' ' ' X La Lollobrigida di «Pane, amore e fantasia», Coppi in azione, la Allasio e Sah"adori in «Poveri ma belli» tra i volti del dopoguerra

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