Il sogno gotico di un portoghese a Torino

Il sogno gotico di un portoghese a Torino MOSTRA DEI BROGLIACCI E DEGLI SCHIZZI DI ALFREDO D'ANDRADE Il sogno gotico di un portoghese a Torino In filigrana la vicenda culturale che portò a quel «libro di storia e d'arte» che è il Borgo medioevale TORINO — La mostra dedicata ad Alfredo d'Andrade e alla prima organizzazione pubblica in Piemonte e Liguria della tutela e del restauro monumentale, che si inaugura oggi nelle due sedi di Palazzo Reale e Palazzo Madama (fino al 27 settembre), è fra le più complesse e affascinanti organizzate negli ultimi anni a Torino. Essa si pone sulla linea dell'approfondimento della ricca cultura ottocentesca piemontese-ligure, già proposta l'anno scorso dalla mostra del Regno Sardo. Straordinario personaggio, questo Alfredo Cesare Reis Freire de Andrade (1839-1915), di ricca famiglia portoghese di commercianti e finanzieri, che approda a Genova nel 1854, si iscrive all'Accademia Ligustica nel 1857 e per lunghi anni — praticamente fino alla morte del padre nel 1888 — è in continua lotta con la famiglia per affermare la propria vocazione di pittore e di «archeologo», cioè di indagatore e annotatore, assai più positivista che romantico della vita «storica» che ha lasciato nei secoli impronte nel manufatto, dal castello alla serratura, dal torrione all'impannata della finestra, dall'affresco decorativo al capitello. Corre instancabile, con una sorta di avida inquietudine che va al di là della cultura e dello studio empirico, da un centro all'altro dell'Europa «gotica», e annota, trascrive su migliaia di fogli (la fotografia gli è solo da supporto, da promemoria complessivo; non afferra e non gli evoca la «pelle», il «corpo» vivo del manufatto, del costruito, dello scolpito, dell'intagliato, del martellato). Aldi là di d'Andrade, il variegato panorama di documenti grafici, di rilevamenti tecnici, di «calchi» al vivo di elementi decorativi, fino alla meraviglia della ricostruzione in scala, in gesso, della Sacra di San Michele coinvolge ma anche esige paziente attenzione e lettura da parte del visitatore, ricostruisce la fase pionieristica, nella teoria e nella pratica, della tutela pubblica del monumento e dell'ambiente. Partita a scacchi Come giustamente sottolinea Maria Grazia Cerri introducendo il catalogo (ricchissimo di documentazione e di puntuali studi), d'Andrade è protagonista, con Boito e Beltrami a Milano, Rubbiani a Bologna; e come gli altri comprimari, appare bene inserito nel dibattito ottocentesco, dalla Francia di Viollet-le-Duc all'Inghilterra di Ruskin e di Morris; e come Boito e Rubbiani, e forse in anticipo (già a Roma come studioso nel 1867, a Genova come docente d'ornato dal 1869), intuisce ed opera per stringere il legame fra lo studio storicistico dell'architettura e delle arti decorative e le scuole pubbliche di arte applicata e la divulgazione museale ed espositiva. Negli anni 1860 e 1870 l'appassionato studioso dilettante è nel contempo paesista «della realtà», fra i maggiori esponenti e animatore della «scuola di Rivara», dopo aver conosciuto Fontanesi a Ginevra nel 1860, Pittara nel 1861, poi via via Pastoris, Avondo, Teja: dalla Liguria alla Savoia e Piemonte «feudali», dove famiglie come i Pittara e gli Avondo «tengono castello» a Rivara, a Lozzolo, a Issogne, e collezionano opere-documenti di arte applicata gotica e tardo gotica. E' un paesismo della «realtà di natura» e pittura di costume storico nutrita di microfilologia del quotidiano e dell'arredo, solida professionalità pittorica ie vagheggiamento del «bai costume» neomedievale; benessere della borghesia postunitaria che si diletta (ma con minu¬ ta serietà di studi e documentazioni) di forme cavalleresche e feudali, ma è singolarmente pronta a conferire il frutto di questi giochi «privati» al pub-, blico, allo Stato, ai municipi. La «Partita a scacchi» di Giuseppe Giacosa si svolge all'interno del castello degli Challant a Issogne, acquistato nel 1872 da Vittorio Avondo, restaurato dal proprietario e da Andrade, donato nel 1907 allo Stato. La scuola di Rivara Anche qui, nella sezione più esteriormente «godibile» di Palazzo Madama che ospita i dipinti di paesaggio di Andrade, i dipinti e i disegni di paesaggio e di costume storico degli amici della «scuola di Rivara», fra cui la straordinaria Fiera di Saluzzo di Pittara appositamente restaurata, ma nel contempo anche le donazioni al Museo Civico di oggetti di arte decorativa e applicata di Avondo, di Bertea, di Edoardo Calandra, bisogna leggere in filigrana tutta questa vicenda culturale. E, dopo, il visitatore potrà, meglio dovrà andare a rileggere quel «libro di storia e arte», costruito, materializzato, arredato che è il Borgo Medioevale al Valentino, realizzato per l'Esposizione Generale Italiana del 1884, sezione arte antica. L'idea iniziale di Avondo, della «riproduzione delle diverse parti più importanti e caratteristiche dei nostri castelli piemontesi», fu ripresa ed im posta alla commissione esecutiva da Andrade, allargandola alla scenografia ricostnittiva dell'edilizia civile maggiore e minore, sboccante e culminante nell'integralità tridimensionale della Rocca (che antologizza Fenis, Verres, Issogne, Manta, Chieri, Strambino. Fu l'inizio delle fortune pubbliche di Andrade, chiamato nello stesso 1884 a far parte della commissione per il restauro di Palazzo Madama, un anno dopo della commissione nazionale per l'insegnamento artistico industriale e nel 1891 primo soprintendente dell'ufficio regionale di conservazione del Piemonte e Liguria). Il borgo medioevale fu ancora modello nel 1900 per il «Vieux Paris» di Robida all'Expo parigina, che segnò nel contempo il fuggevole trionfo dell'«Art Nouveau» franco-belga. Sta di fatto, però, che il Borgo Medievale al Valentino fu ed è inserito nel corpo vivo della realtà quotidiana torinese: provate a chiedere ad un tassista di condurvi al Castello del Valentino e, otto volte su dieci, non vi porterà davanti al castello-palazzo del '600, ma all'ingresso del borgo. Marco Rosei tino schizzo di D'Andrade per il restauro di Palazzo Madama